· Città del Vaticano ·

Lettere dal Direttore

Nostalgia del silenzio

 Nostalgia del silenzio  QUO-185
13 agosto 2022

Il treno che parte dalla Stazione Centrale di Oslo impiega venti minuti per arrivare all’aeroporto e ha al suo centro un vagone riservato ad una “silent zone”, come indica la scritta sulla parete «questa è una zona silenziosa, non parlate». È scritto in norvegese ma il messaggio è chiaro. Io e mia moglie pur stando seduti proprio di fronte alla scritta non ce n’eravamo accorti anche perché eravamo tutti presi da una discussione di quelle un po’ animate, finché non siamo stati redarguiti e zittiti da un severo controllore.

Mortificati restiamo in silenzio per tutto quel lungo quarto d’ora restante di viaggio. Un quarto d’ora è lungo in silenzio. Bloccata la lingua si attiva il cervello. E comincio a pensare. Se perdi un senso, anche provvisoriamente, gli altri si potenziano. E così “apro gli occhi” e leggo meglio la scritta davanti a me e noto che è in due lingue, in norvegese ma anche in inglese, e la sfumatura è minima ma significativa, in inglese infatti dice «Questa è una zona silenziosa, godetevela (enjoy)». Una bella differenza: il silenzio va goduto, procura gioia.

Bloccata la lingua si attiva anche l’orecchio, incomincio ad ascoltare il silenzio. In quel vagone in effetti c'è veramente silenzio. Anche il treno è “silenzioso”, niente a che vedere con lo sferragliare dei treni a cui sono abituato: procede in mezzo a un suono ovattato, come in sordina, quasi dolce.

Un treno che viaggia per venti minuti e propone ai passeggeri l’opzione di passarli in silenzio: la cosa mi colpisce, come se rivelasse un bisogno più profondo, al quale spesso evidentemente non do ascolto. Più profondo dell’esigenza di parlare. Tra l’altro, una volta arrivati all’aeroporto io e mia moglie, “liberi” dalla costrizione del silenzio, ci siamo detti: ma di che stavamo discutendo così animatamente solo qualche minuto fa? L’irruzione, anche violenta, del silenzio ci ha come “ridimensionati”, costringendoci all’essenzialità. Non male per un’esperienza iniziata così duramente.

Mi viene in mente quello che diceva il Papa tornando dal Giappone, sul fatto che dall’Oriente tornava con un desiderio di “più poesia”, visto che in Occidente la poesia vive un “deficit”. Nel mio piccolo sono tornato dal Nord con l’analoga nostalgia non per la poesia ma per il silenzio, che poi forse sono parenti stretti.