· Città del Vaticano ·

Per un pugno di grano e un po’ di verità

A man holds stacks of bread as he makes his way through a crowd of people queuing for bread outside ...
04 agosto 2022

La calca, il caldo, l’attesa. La crisi del grano strangola il Libano e folle di gente invadono le panetterie di tutto il Paese per cercare di accaparrarsi qualche forma di pita, distribuita in quantità razionata e a prezzi calmierati alle fasce più vulnerabili della popolazione. Secondo le Nazioni Unite, quasi la metà dei circa sette milioni di abitanti soffre di insicurezza alimentare e oltre l’80 per cento dei residenti vive sotto la soglia di povertà.

Tre anni dopo il palesarsi della peggiore crisi economica della sua storia, con la lira locale che ha perso più del 95 per cento del proprio valore rispetto al dollaro, il Libano vede crescere la tensione sociale a causa della carenza di farina e altri beni essenziali. Sullo sfondo, le conseguenze della guerra in Ucraina: da anni Beirut importa l’80 per cento del suo grano dal Paese oggi devastato dal conflitto e, dall’invasione russa di fine febbraio, le forniture sono state interrotte, per il Libano come per altri Stati. Solo lunedì scorso è partita la prima nave carica di cereali ucraini dal porto di Odessa.

Il parlamento di Beirut ha da poco approvato l’acquisizione di un prestito di 150 milioni di dollari dalla Banca mondiale, per finanziare le importazioni. L’aumento dei prezzi globali del petrolio ha ulteriormente aggravato l’emergenza, già accentuata dall’impatto della pandemia da covid-19 e dalle conseguenze delle gravi esplosioni al porto di Beirut, il 4 agosto 2020.

Sono trascorsi infatti due anni da quando una scorta di fertilizzanti a base di nitrato di ammonio stoccati in modo inadeguato provocò molteplici esplosioni — tra le più potenti nella storia di quelle non nucleari, secondo gli esperti — e un devastante incendio, causando più di 200 morti e 7.000 feriti, oltre a lasciare 300 mila persone senza casa. I giganteschi silos di grano del porto furono colpiti dalle deflagrazioni e in parte crollarono ma, secondo le ricostruzioni, limitarono l’impatto, risparmiando danni maggiori alla città. Per questo motivo, i familiari delle vittime avevano chiesto alle autorità di non abbattere ciò che rimaneva della struttura, affinché restasse nel tempo come simbolo della tragedia. Poi, domenica scorsa, uno dei silos è crollato, dopo che da un paio di settimane i depositi erano nuovamente in fiamme a causa della fermentazione del cereale nel caldo torrido. Ad oggi, però, le indagini sul disastro di due anni fa sono sospese, per ostruzionismo politico, e manca una spiegazione ufficiale a quanto accaduto.

Il pensiero del Papa, ieri all’udienza generale, è andato alle famiglie delle vittime e, in generale, al «caro popolo libanese». Il Pontefice ha pregato «affinché ciascuno possa essere consolato dalla fede e confortato dalla giustizia e dalla verità, che non può essere mai nascosta». Francesco ha inoltre auspicato che il Libano, con l’aiuto della comunità internazionale, «continui a percorrere il cammino di “rinascita”, rimanendo fedele alla propria vocazione di essere terra di pace e di pluralismo, dove le comunità di religioni diverse possano vivere in fraternità», come rilanciato in queste ore anche sull’account Twitter @Pontifex.

Intanto il Paese, alle prese con l’approssimarsi a fine ottobre della scadenza del mandato presidenziale di Michel Aoun e con i tentativi del premier Najib Mikati di formare un nuovo governo, celebra oggi la ricorrenza del 4 agosto con una giornata di lutto nazionale. (giada aquilino)