· Città del Vaticano ·

Il Papa ripercorre il pellegrinaggio penitenziale in Canada

Un cammino di memoria riconciliazione e guarigione

 Un cammino di memoria riconciliazione e guarigione  QUO-176
03 agosto 2022

Memoria, riconciliazione, guarigione: sono i tre “passi” del cammino che ha scandito il pellegrinaggio in Canada compiuto dal Papa dal 24 al 30 luglio. Lo stesso Francesco ha voluto ripercorrerne stamane le tappe principali durante l’udienza generale, svoltasi nell’Aula Paolo vi , sottolineando il senso «penitenziale» del viaggio e ribadendo la sua vicinanza alle popolazioni indigene vittime delle politiche di assimilazione alle quali hanno contribuito anche molti cristiani.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei condividere con voi alcune riflessioni sul viaggio apostolico che ho compiuto in Canada nei giorni scorsi. Si è trattato di un viaggio diverso dagli altri. Infatti, la motivazione principale era quella di incontrare le popolazioni originarie per esprimere ad esse la mia vicinanza e il mio dolore e chiedere perdono — chiedere perdono — per il male loro arrecato da quei cristiani, tra cui molti cattolici, che in passato hanno collaborato alle politiche di assimilazione forzata e di affrancamento dei governi dell’epoca.

In questo senso, in Canada è stato intrapreso un percorso per scrivere una nuova pagina del cammino che da tempo la Chiesa sta compiendo insieme ai popoli indigeni. E infatti il motto del viaggio “Camminare insieme” spiega un po’ questo. Un cammino di riconciliazione, di guarigione, che presuppone la conoscenza storica, l’ascolto dei sopravvissuti, la presa di coscienza e soprattutto la conversione, il cambiamento di mentalità. Da questo approfondimento risulta che, per un verso, alcuni uomini e donne di Chiesa sono stati tra i più decisi e coraggiosi sostenitori della dignità delle popolazioni autoctone, prendendo le loro difese e contribuendo alla conoscenza delle loro lingue e culture; ma, per altro verso, non sono purtroppo mancati cristiani, cioè preti, religiosi, religiose, laici che hanno partecipato ai programmi che oggi capiamo che sono inaccettabili e anche contrari al Vangelo. E per questo io sono andato a chiedere perdono a nome della Chiesa.

È stato dunque un pellegrinaggio penitenziale. Tanti sono stati i momenti gioiosi, ma il senso e il tono dell’insieme è stato riflessione, pentimento e riconciliazione. Quattro mesi fa avevo ricevuto in Vaticano, in gruppi distinti, i rappresentanti dei popoli originari: sono state in totale sei riunioni, per preparare un po’ questo incontro.

Le grandi tappe del pellegrinaggio sono state tre: la prima, a Edmonton, nella parte occidentale del Paese. La seconda, a Québec, nella parte orientale. E la terza nel nord, a Iqaluit, a 300 km forse dal circolo polare artico. Il primo incontro si è svolto a Masqwacis, che significa “la collina dell’orso”, dove sono convenuti da tutto il Paese capi e membri dei principali gruppi indigeni: First Nations, Métis e Inuit. Insieme abbiamo fatto memoria: la memoria buona della storia millenaria di questi popoli, in armonia con la loro terra: questa è una delle cose più belle dei popoli originari, l’armonia con la terra. Mai maltrattano il creato, mai. In armonia con la terra. E anche abbiamo raccolto la memoria dolorosa dei soprusi subiti, anche nelle scuole residenziali, a causa delle politiche di assimilazione culturale.

Dopo la memoria, il secondo passo del nostro cammino è stato quello della riconciliazione. Non un compromesso tra noi — sarebbe un’illusione, una messa in scena — ma un lasciarsi riconciliare da Cristo, che è la nostra pace (cfr. Ef 2, 14). L’abbiamo fatto tenendo come riferimento la figura dell’albero, centrale nella vita e nella simbologia dei popoli indigeni.

Memoria, riconciliazione, e quindi guarigione. Abbiamo fatto questo terzo passo del cammino sulle rive del Lago Sant’Anna, proprio nel giorno della festa dei Santi Gioacchino e Anna. Tutti possiamo attingere da Cristo, fonte di acqua viva, e lì, in Gesù, abbiamo visto la vicinanza del Padre che ci dà la guarigione delle ferite e anche il perdono dei peccati.

Da questo percorso di memoria, riconciliazione e guarigione scaturisce la speranza per la Chiesa, in Canada e in ogni luogo. E lì, la figura dei discepoli di Emmaus, che dopo aver camminato con Gesù risorto, con Lui e grazie a Lui passarono dal fallimento alla speranza (cfr. Lc 24, 13-35).

Come dicevo all’inizio, il cammino insieme ai popoli indigeni ha costituito l’asse portante di questo viaggio apostolico. Su di esso si sono innestati i due incontri con la Chiesa locale e con le Autorità del Paese, alle quali Autorità desidero rinnovare la mia sincera gratitudine per la grande disponibilità e la cordiale accoglienza che hanno riservato a me e ai miei collaboratori. E ai Vescovi, lo stesso. Davanti ai Governanti, ai Capi indigeni e al Corpo diplomatico ho ribadito la volontà fattiva della Santa Sede e delle Comunità cattoliche locali di promuovere le culture originarie, con percorsi spirituali appropriati e con l’attenzione alle usanze e alle lingue dei popoli. Nello stesso tempo, ho rilevato come la mentalità colonizzatrice si presenti oggi sotto varie forme di colonizzazioni ideologiche, che minacciano le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli, appiattendo le differenze, concentrandosi solo sul presente e trascurando spesso i doveri verso i più deboli e fragili. Si tratta dunque di recuperare un sano equilibrio, recuperare l’armonia, che è più di un equilibrio, è un’altra cosa; recuperare l’armonia tra modernità e culture ancestrali, tra la secolarizzazione e i valori spirituali. E questo interpella direttamente la missione della Chiesa, inviata in tutto il mondo a testimoniare, a “seminare” una fraternità universale che rispetta e promuove la dimensione locale con le sue molteplici ricchezze (cfr. Enc. Fratelli tutti, 142-153). Ho già detto, ma voglio ribadire il mio ringraziamento alle Autorità civili, alla signora Governatore generale, al Primo ministro, alle Autorità locali dei posti dove sono andato: ringrazio tanto per il modo con cui hanno favorito la realizzazione dei propositi e dei gesti che ho accennato. E desidero ringraziare i Vescovi soprattutto per l’unità dell’episcopato: la realizzazione degli scopi del Viaggio è stata possibile perché i Vescovi erano uniti, e dove c’è unità si può andare avanti. Per questo vorrei sottolineare questo e ringraziare i Vescovi del Canada per questa unità.

E nel segno della speranza è stato l’ultimo incontro, nella terra degli Inuit, con giovani e anziani. E vi assicuro che in questi incontri, soprattutto l’ultimo, ho dovuto sentire come schiaffi il dolore di quella gente: gli anziani che hanno perso i figli e non sapevano dove fossero finiti, per questa politica di assimilazione. È stato un momento molto doloroso, ma si doveva mettere la faccia: dobbiamo mettere la faccia davanti ai nostri errori, ai nostri peccati. Anche in Canada questo è un binomio-chiave, giovani e anziani, è un segno dei tempi: giovani e anziani in dialogo per camminare insieme nella storia tra memoria e profezia, che sono in accordo. La fortezza e l’azione pacifica dei popoli indigeni del Canada sia di esempio per tutte le popolazioni originarie a non chiudersi, ma ad offrire il loro indispensabile contributo per un’umanità più fraterna, che sappia amare il creato e il Creatore, in armonia con il creato, in armonia tra tutti voi.