· Città del Vaticano ·

Cinque anni fa iniziava la fuga dei rohingya
Prorogato di sei mesi lo stato d’emergenza

Myanmar
Dramma senza fine

FILE PHOTO: An exhausted Rohingya refugee woman touches the shore after crossing the ...
02 agosto 2022

Cinque anni equivalgono a 1.825 giorni: tanti ne sono trascorsi dall’agosto 2017, periodo in cui sono esplose le violenze contro i rohingya, minoranza etnica musulmana del Myanmar. All’epoca furono centinaia i villaggi distrutti e decine di migliaia i morti dopo gli attacchi compiuti dai militari governativi, mentre circa 738.000 sfollati fuggirono in Bangladesh. Altri 140.000 invece trovarono riparo nel campi-profughi birmani, come quello di Ah Nauk Ywe, situato su un’isola remota e difficile da raggiungere.

Un lustro più tardi, la situazione non può dirsi migliorata, anzi: mentre la giunta militare al potere a Yangon proroga lo stato di emergenza per altri sei mesi, tra gli sfollati rohingya cresce l’allarme delle malattie mentali. Lo rende noto l’ong Medici senza frontiere (Msf), rivelando il dramma di migliaia di persone costrette a vivere in abitazioni fatiscenti costruite in bambù, in condizioni igienico-sanitarie rese difficili dal sovraffollamento e dalla frequente mancanza di generi di prima necessità. Nei campi-profughi, gli incendi sono all’ordine del giorno e le restrizioni imposte da due anni di pandemia da covid-19 hanno aggravato ulteriormente la situazione. «La maggior parte dei rifugiati — afferma Msf — non ha accesso al lavoro, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Ogni giorno è una lotta per il cibo e per la sicurezza, nella disperazione, con conseguenze drammatiche sulla salute mentale». Le donne e le ragazze, soprattutto, sono esposte al rischio di abusi, molestie sessuali e violenza domestica, mentre i bambini rimangono segnati da traumi impossibili da dimenticare.

Cinque anni fa, la donna rohingya ritratta in questa foto toccava, esausta, la riva del mare dopo aver passato il confine tra Bangladesh e Myanmar, attraversando in barca la Baia del Bengala, a Shah Porir Dwip. Cinque anni dopo, non sappiamo cosa ne sia stato di lei. C’è solo da sperare che quell’approdo di fortuna le abbia regalato una vita migliore. O per lo meno possibile. (isabella piro)