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La buona Notizia
Il Vangelo della XVII domenica del tempo ordinario (Luca 11, 1-13)

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19 luglio 2022

All’eterno dal tempo. In questa direzione si muovono i secoli. Trascinati dalla forza inarrestabile della preghiera. Al centro della Trinità c’è il volto di un uomo. La nostra effige, dice Dante. Al centro della storia quel volto ha i tratti di un uomo che prega. Un homo orans. Un figlio, il Figlio, che connette gli istanti all’eternità del Padre. E li riempie dell’amore trasformante dello Spirito. Per riportarli all’eterno, da dove erano venuti. Dal tempo, dove erano stati inviati. Per seminare vita.

Paternità ed eternità. È strano, ma in fondo sono sinonimi. Perché chi genera dà la vita. E la vita non muore mai. «La generazione fisica, corporale si lega alla generazione all’eterno», svela Rondoni, un poeta dei nostri giorni. Per questo, quando l’umanità, arsa dal desiderio, chiede: «Insegnaci a pregare», l’eternità non può che rispondere: «Padre». Eterna generazione di Bene. Che sei nelle viscere più intime della carne. Negli abissi più luminosi del cielo. Padre. E il corpo, il tempo si scopre eterno. E si fa preghiera.

Il corpo, il tempo. Il nome, il regno, il pane. Perché il nome del Padre è il nome del figlio. Il Suo regno la sua eredità, il pane il suo nutrimento, il perdono la sua suprema libertà. La Sua protezione il braccio potente che lo accompagna nel cammino attraversato dal male. Cose nuove e cose antiche. Cose umane e cose divine. Che ci dicono il tutto dal frammento. L’eterno dal tempo. E danno luce. Significato stabile e definitivo anche alle innumerevoli paternità ferite di cui sanguina il mondo. Dolorose ferite “da padre”. Pietre, serpenti e scorpioni, che schiacciano, stringono, trafiggono e avvelenano i cuori. Ma non hanno nulla di eterno. Perché nelle mani di chi guarda all’eterno ridiventano pani, pesci, uova. Alimenti straordinariamente nutrienti per dar da mangiare al mondo. Nelle mani di chi ha il coraggio di cercare e di chiedere: “Insegnaci a pregare”. E sente nelle viscere della sua storia e nel misterioso abisso del cuore di Dio risuonare la stessa, radicale risposta: Padre.

Impronta di vita eterna, incisa nella carne e nello spirito di ogni uomo dal tocco misterioso della creazione. Vincolo ancestrale che ci lega corpo e anima al Paradiso. Sommo e profondo bene dell’esistenza, del semplicemente esserci. Attraverso il quale, da qualsiasi abisso, si può risalire alla pienezza della gioia senza fine.

È malata la paternità del mondo. Eppure è salvata e redenta. Perché se voi che siete cattivi, sapete dare la vita ai vostri figli, è un segno sicuro e una promessa già mantenuta: c’è un Padre che accende d’amore ogni vita. E restituisce ogni esistenza da lui voluta, pensata, creata a un’altra vita. La sua. Perfetta, felice, senza fine. È scritta nella vita mortale la promessa dell’immortalità. Nascono dall’amore ferito dell’uomo i figli amati dal Padre. Ma la vita è il sigillo dell’eternità. E nella scintilla primordiale dell’esistenza c’è tutta la luce per vedere l’Amore che l’ha generata, tutta la forza per ardere di Lui. E anche la radice del più intimo dei desideri: “Insegnaci a pregare”. Insegnaci a rendere eterna la nostra umanità. A riconoscerci figli amati. Che glorificano il nome del Padre e ricevono un’identità nuova. Chiedono un regno e vengono accolti nella Gerusalemme celeste. Domandano il pane e ottengono cibo che non perisce. Implorano il perdono e si ritrovano liberi. Desiderano protezione dal male e vengono esauditi con il potere di sconfiggerlo.

All’uomo il Padre risponde. All’uomo dona le cose umane che chiede. Ma dalle sue mani divine escono impastate di Spirito Santo. Impastate di eternità. Per far lievitare il mondo. Noi non sappiamo quello che è conveniente domandare, ma ciò che chiediamo ci giunge dal Padre ardente di Spirito, infiammato d’Amore. Perché chi chiede la vita ottiene l’eternità. Chi cerca l’uomo ottiene Dio. A chi bussa alla porta dell’amore sarà aperto. Di più, più in alto — an(á)-oighésetai. Fino alla casa del Padre.

di Enza Ricciardi