· Città del Vaticano ·

È morto il cardinale brasiliano Cláudio Hummes

Una vita per la Chiesa
e per i poveri

 Una vita per la Chiesa e per i poveri  QUO-151
05 luglio 2022

Dopo una lunga malattia, è morto ieri mattina, lunedì 4 luglio, nella sua casa a São Paulo, il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, religioso dell’ordine dei Frati minori, prefetto emerito del Dicastero per il clero. Aveva 87 anni, essendo nato a Montenegro l’8 agosto 1934. Era stato ordinato sacerdote il 3 agosto 1958. Eletto alla Chiesa titolare di Carcabia il 22 marzo 1975 e nominato vescovo coadiutore, con diritto di successione, della diocesi di Santo André, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 25 maggio. Il 29 maggio 1996 era stato promosso arcivescovo metropolita di Fortaleza e il 15 aprile 1998 era divenuto arcivescovo metropolita di São Paulo. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001 era stato creato e pubblicato cardinale del titolo di Sant’Antonio da Padova in Via Merulana. Il 31 ottobre 2006 aveva rinunciato al governo pastorale dell’arcidiocesi di São Paulo ed era stato nominato prefetto dell’allora Congregazione (oggi Dicastero) per il clero, incarico a cui aveva rinunciato il 7 ottobre 2010. Dal 2015 al 2020 era stato presidente della Rete ecclesiale pan-amazzonica (Repam) e, dal 29 giugno 2020 al 27 marzo 2022, presidente della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia. Le esequie saranno celebrate dall’arcivescovo di São Paulo, il cardinale Odilo Pedro Scherer, mercoledì 6 luglio, alle 10, nella cattedrale cittadina, nella cui cripta sarà poi sepolto il corpo del compianto porporato.

«Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito per il clero, il cardinale Cláudio Hummes: un grande amico. Quando la cosa stava diventando pericolosa lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, è giunto l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi ha abbracciato e mi ha detto: “Non dimenticarti dei poveri!”. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi». Le parole di Papa Francesco — nel racconto dell’elezione e della scelta del nome che lui stesso ha fatto ai rappresentanti dei media ricevuti in udienza nell’Aula Paolo vi il 16 marzo 2013 — delineano la figura e la testimonianza del cardinale Hummes, rivelando il rapporto di fraterna consonanza che lo ha unito umanamente e pastoralmente a Jorge Mario Bergoglio.

Uomo che ha vissuto il carisma francescano in uno stile di missione, filosofo e appassionato della formazione dei sacerdoti, Hummes si è speso con generosità per la causa dei poveri e degli ultimi. Con un’attenzione particolare per le popolazioni indigene dell’Amazzonia, alle quale ha dedicato tutte le sue forze fino alla fine.

La sua voce di denuncia è sempre risuonata ferma e limpida, lontana da sterili rivendicazionismi o contrapposizioni ideologiche, mossa solo dalla consapevolezza che «quando una persona aderisce a Gesù Cristo, la conseguenza immediata è la preoccupazione per i fratelli: Gesù Cristo ci insegna la fraternità, che ci porta necessariamente a combattere l’individualismo, l’egoismo e l’avidità», come aveva affermato nel maggio 1988, alla vigilia della presa di possesso dell’arcidiocesi di São Paulo.

Non amava sottrarsi al dialogo e al confronto, convinto com’era della responsabilità personale di ciascun cristiano nella edificazione del Regno di Dio: «Convertiamoci noi per primi» era la sua eloquente risposta a chi si lamentava delle crisi ecclesiali o della progressiva erosione del numero dei fedeli brasiliani, sempre più orientati a cercare conforto spirituale nelle sette.

Cresciuto in una famiglia di immigrati tedeschi con 14 figli, era nato a Montenegro, nello Stato del Rio Grande do Sul, da Pedro Adão e Maria Frank Hummes. Battezzato con i nomi di Auri Afonso (avrebbe poi scelto il nome Cláudio al momento della sua professione religiosa), aveva compiuto gli studi elementari nella sua città natale e quelli superiori nel seminario dei Frati minori di Taquari, nel Rio Grande do Sul. Entrato nell’ordine francescano il 1° febbraio 1952, aveva emesso la professione solenne il 2 febbraio 1956.

Aveva studiato Filosofia a Garibaldi e Teologia a Divinópolis, nello Stato del Minas Gerais. E proprio qui era stato ordinato sacerdote nel 1958 da monsignor João Batista Resende Costa, arcivescovo coadiutore di Belo Horizonte.

Dal 1959 al 1963 era stato a Roma dove, alla Pontificia università Antonianum, aveva conseguito la laurea in Filosofia, con una tesi sul «Rinnovamento delle prove tradizionali dell’esistenza di Dio in L’Action di Maurice Blondel (1893)», pubblicata a Braga nel 1964.

A Roma, da francescano, aveva studiato all’Antonianum, conducendo una vita conventuale. E aveva avuto l’opportunità, come raccontava, di vivere «i primordi del concilio Vaticano ii, appena indetto». Avrebbe dovuto dedicarsi alle Sacre scritture e al Diritto canonico, invece il suo superiore provinciale lo aveva indirizzato verso la Filosofia: dal pensiero di sant’Agostino fino alla «filosofia moderna, soprattutto contemporanea: Marx, Heidegger, gli esistenzialisti francesi e la neoscolastica, in particolare quella illuminata dalla riflessione trascendentale di Kant».

Quel «cambio di rotta», ebbe a ricordare il cardinale, si sarebbe rivelato provvidenziale per comprendere meglio le profonde trasformazioni introdotte dal concilio anche nell’ambito della riflessione teologica. L’esperienza a Roma, insieme a una passione per la Città eterna, gli aveva anche suggerito una particolare attenzione al tema dell’ecumenismo.

E così, forte dei suoi studi, al rientro in patria era stato professore di Filosofia nel seminario francescano di Garibaldi, collaborando alla vita pastorale di una parrocchia (1963-1968). In quel periodo, tra il 1965 e il 1968, era stato consulente proprio per l’ecumenismo della Conferenza dei vescovi del Brasile (Cnbb). E nel 1968 la Cnbb lo aveva inviato in Europa per specializzarsi, sempre sulle questioni ecumeniche, all’Istituto di Bossey, in Svizzera.

Dal 1969 al 1972 era stato professore e rettore della facoltà di Filosofia di Viamão. Allo stesso tempo, a Porto Alegre, era stato professore della stessa materia alla Pontificia università Cattolica e formatore dei giovani chierici francescani studenti. Dal 1972 al 1975 era stato superiore provinciale dell’ordine nel Rio Grande do Sul, a Porto Alegre.

La formazione dei sacerdoti è stata una delle priorità verso cui ha orientato tutta la sua vita. E già all’indomani del suo ritorno da Roma, aveva iniziato questo servizio, nel clima del dopo-concilio e alle prese anche con le crisi di alcuni seminari. Un lavoro che ha sempre portato avanti, anche da vescovo nelle diverse diocesi, con una pastorale vocazionale attenta, senza trascurare i risvolti più pratici e concreti di tale missione: tra questi, la costruzione di edifici adatti all’iter formativo dei candidati al presbiterato. Il punto di fondo è stato semplice: i giovani devono avere davanti qualcuno di cui potersi fidare per parlare della loro vocazione e ricevere l’orientamento adeguato.

Nel 1975 era stato eletto alla Chiesa titolare di Carcabia e nominato vescovo coadiutore, con diritto di successione, di Santo André, città dal clima sociale “rovente”, nella cintura industriale di São Paolo, con 250 mila operai metalmeccanici, sede di multinazionali e di aziende automobilistiche come la Volkswagen. Poco dopo aveva ricevuto l’ordinazione episcopale nella cattedrale di Porto Alegre dal suo professore — si è sempre considerato suo discepolo — Aloisio Lorscheider, cardinale arcivescovo di Aparecida. Co-consacranti erano i vescovi Urbano José Allgayer, allora ausiliare di Porto Alegre, e Mauro Morelli, allora ausiliare di São Paolo. Omnes vos fratres il motto episcopale scelto.

Con il cardinale Lorscheider, e anche con monsignor Luciano Mendes de Almeida, aveva un particolare rapporto di fraternità. Lorscheider, appunto, lo aveva accolto all’Antonianum perché nel 1959 insegnava Teologica dogmatica. Questo il suo ricordo: «Sapeva dare alla teologia, oltre il suo carattere dottrinale, un respiro spirituale e pastorale... Ha lavorato strenuamente per i poveri».

Aveva preso possesso di Santo André come coadiutore il 29 giugno e sei mesi dopo ne era divenuto vescovo.

Nella diocesi l’autorevole professore di Filosofia era entrato subito in contatto con la bruciante questione sociale, a partire dalle battaglie dei metalmeccanici esplose alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, anche come sfida politica al regime militare. Il leader di quegli operai era il futuro presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che ha poi sempre riconosciuto a Hummes un ruolo decisivo nella soluzione di quella complicata vertenza. Infatti il vescovo era arrivato ad aprire le porte delle chiese per permettere le riunioni dei sindacalisti, ai quali il governo aveva chiuso le sedi, e in più occasioni aveva fatto da mediatore tra polizia e manifestanti per evitare degenerazioni violente. Ma non era stato mai quello che si dice un “prete operaio” né “operaista”.

Aveva sempre ripetuto che la sua azione era basata sul Vangelo e il suo obiettivo era l’evangelizzazione, non la lotta sociale fine a se stessa, che non può mai sostituire l’esperienza di fede. Dunque, giustizia sociale come applicazione del Vangelo.

Per lui erano stati anni appassionanti, che lo avevano reso ancora più consapevole della realtà dei poveri e degli oppressi. L’esperienza in mezzo agli operai, ripeteva, gli era stata di grande aiuto per i suoi incarichi successivi.

Nel 1980 aveva preso parte alla quinta assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata alla famiglia. Quindi, nel 1992, alla quarta Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano a Santo Domingo.

Nell’ambito della Conferenza episcopale era stato membro delle commissioni per l’ecumenismo, i laici e la pastorale operaia dal 1979 al 1983 e per la famiglia e la cultura dal 1995 al 1998. Era stato anche consulente nazionale per la pastorale operaia dal 1979 al 1990.

Aveva guidato la diocesi di Santo André per ventuno anni, fino al 1996, quando era stato nominato arcivescovo metropolita di Fortaleza, nel Ceará. E se a Santo André aveva conosciuto la povertà urbana delle favelas, a Fortaleza invece si era trovato di fronte l’altrettanto tremenda povertà dei contadini che vivevano di nulla.

Nei due anni trascorsi nell’arcidiocesi aveva ricoperto anche il ruolo di responsabile per la famiglia e la cultura nella Conferenza episcopale brasiliana. Era stato quindi uno degli artefici del secondo Incontro mondiale delle famiglie con il Papa, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1997. Nello stesso anno aveva preso parte all’assemblea speciale per l’America del Sinodo dei vescovi.

Nel 1998 era stato nominato arcivescovo metropolita di São Paulo, una delle maggiori megalopoli dell’America latina, con 20 milioni di abitanti e 216 parrocchie. Qui aveva dato particolare impulso alla pastorale vocazionale, alla formazione dei sacerdoti e all’evangelizzazione nel cuore della città. Importante il ruolo svolto nel campo della comunicazione, perché la Chiesa dialogasse con la città. «Ci vogliono risposte nuove alle esigenze delle persone» aveva raccomandato ai suoi preti, senza mai però venir meno all’essenziale, alla verità di Dio sull’uomo. E ai movimenti Hummes chiedeva di essere «più visibili» nella Chiesa e per la Chiesa. Non aveva comunque dimenticato la sua spiccata vocazione filosofica e culturale: in quel periodo era stato, tra l’altro, gran cancelliere della Pontificia università Cattolica cittadina.

Nell’ambito della Curia romana, era stato membro degli allora Pontifici Consigli per il dialogo interreligioso (1997), per la famiglia (1998), per la cultura (1998), della Pontificia Commissione per l’America Latina (1999) e dell’allora Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (1999).

Nel Concistoro del febbraio 2001 era stato creato e pubblicato cardinale del titolo di Sant’Antonio da Padova in Via Merulana. Sempre nel 2001 aveva preso parte alla decima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata proprio alla figura del vescovo come «servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo».

Dal 17 al 23 febbraio 2002 aveva predicato in Vaticano, alla presenza di Giovanni Paolo ii, gli esercizi spirituali sul tema: «Sempre discepoli di Cristo». Dopo una introduzione sul «senso del ritiro», aveva affrontato alcuni significativi temi teologici, dedicando particolare attenzione anche a questioni più strettamente ecclesiali, come la missionarietà, il dialogo con tutti, la solidarietà con i poveri. Aveva concluso gli esercizi spirituali con una speciale meditazione dal titolo «Una Chiesa in preghiera». Al termine della intensa settimana di riflessione, Giovanni Paolo ii lo aveva salutato con queste parole: «Grazie di cuore per averci guidato ai floridi pascoli della rivelazione e della tradizione cattolica, con la premura, la saggezza e la sicurezza del Buon Pastore e di averci portato anche in questi giorni, con l’intonazione della sua voce questa testimonianza di São Paulo e della grande Chiesa brasiliana. Queste giornate di raccolta contemplazione ci hanno aiutato a riscoprire con gioia la grazia inesauribile della vocazione cristiana e apostolica. Lo Spirito ci ha nuovamente fatto capire che tutta la nostra esistenza è centrata su Cristo, il Rivelatore del Padre».

Il 16 marzo 2004 era stato nominato membro del Consiglio di cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.

Aveva partecipato al Conclave che il 19 aprile 2005 aveva eletto Papa Benedetto xvi. E nello stesso anno aveva preso parte alla undicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata all’Eucaristia.

L’anno dopo era stato nominato prefetto dell’allora Congregazione per il clero, rinunciando, allo stesso tempo, all’ufficio di arcivescovo metropolita di São Paulo.

Nel maggio 2007 aveva partecipato alla quinta Conferenza episcopale latinoamericana ad Aparecida, nel 2008 alla dodicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio e nel 2009 alla seconda assembla speciale per l’Africa.

Come prefetto dell’allora Congregazione per il clero aveva animato l’Anno sacerdotale, indetto dal 19 giugno 2009 all’11 giugno 2010, in occasione dei 150 anni dalla morte di Jean-Marie Baptiste Vianney, il santo curato d’Ars, patrono dei parroci. E nel maggio 2010 era stato inviato speciale del Papa alle celebrazioni del 16° Congresso eucaristico del Brasile. In quello stesso anno il Pontefice aveva accettato le sue dimissioni da prefetto.

Tornato in patria, era stato nominato presidente della Commissione episcopale per l’Amazzonia nell’ambito della Cnbb, incarico svolto fino al 2022. Quindi aveva preso parte al Conclave che il 13 marzo 2013 aveva eletto Papa Francesco. Nel 2013 era stato nominato inviato speciale ad Asunción, in Paraguay, alle celebrazioni conclusive per i 25 anni della canonizzazione di san Roque González de Santa Cruz e compagni martiri. E nel 2014 era stato confermato membro della Pontificia Commissione per l’America latina.

Nel 2014 si era impegnato nella creazione della Rete ecclesiale pan-amazzonica (Repam), della quale era stato primo presidente fino al 14 ottobre 2020. E anche grazie al suo impulso e al suo contributo creativo, il 15 ottobre 2017 Papa Francesco aveva deciso di convocare l’assemblea speciale per la Regione pan-amazzonica, tenutasi in Vaticano dal 6 al 27 ottobre 2019, sul tema «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale». In tutto il complesso e articolato processo e progetto ecclesiale che aveva preceduto e seguito l’assise, il cardinale Hummes — come relatore generale — aveva svolto un ruolo di primissimo piano nel ridefinire le linee pastorali, adattandole ai tempi contemporanei. «L’umanità — aveva detto introducendo i lavori dell’assemblea — ha un grande debito verso le popolazioni indigene nei diversi continenti della terra e anche in Amazzonia. Ai popoli indigeni deve essere restituito e garantito il diritto di essere protagonisti della loro storia». E a conclusione del Sinodo, aveva ricordato che il grido dei popoli amazzonici è anche il grido della terra, ribadendo che la preservazione dell’Amazzonia è fondamentale per la salute del pianeta; e la Chiesa deve prendere sempre più coscienza del fatto che occorre una «conversione integrale» per un «ecologia integrale».

Nel 2020 era stato eletto presidente della neonata Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, incarico al quale aveva rinunciato nel marzo di quest’anno. E fino a quando le forze glielo avevano permesso, aveva continuato a insistere sulla necessità di concretizzare e portare a compimento i frutti dell’esperienza sinodale. Perché, ripeteva, «occorre passare dal “dover fare” al “fare”».