· Città del Vaticano ·

Le testimonianze di padre Patrick Alumuku e dell’arcivescovo Matthew Man-Oso Ndagoso

Sul sangue dei sacerdoti uccisi crescerà la Chiesa
in Nigeria

 Sul sangue dei sacerdoti uccisi crescerà la Chiesa in Nigeria  QUO-145
27 giugno 2022

«Come sacerdoti, non torniamo indietro, non abbiamo paura: siamo preparati ad essere martiri, perché è sul sangue del martirio che crescerà la Chiesa in Nigeria». Queste le parole di padre Patrick Alumuku, responsabile delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja e direttore della tv cattolica nazionale della Nigeria, di fronte alla scia di sangue che sta tragicamente colpendo il Paese africano e in particolare la Chiesa cattolica.

Altri due sacerdoti sono stati uccisi in questo week-end nello Stato meridionale di Edo e in quello centro-settentrionale di Kaduna, a poche settimane dalla carneficina della domenica di Pentecoste, quando ad essere assassinate furono almeno 40 persone nella chiesa di San Francesco Saverio a Owo, nello Stato sud-occidentale di Ondo. A risollevare gli animi dei fedeli, solo la notizia della liberazione di padre Stephen Ojapa e padre Oliver Okpara, i sacerdoti sequestrati sabato nello Stato di Katsina, nel nord.

Nello Stato di Edo, padre Christopher Odia, 41 anni, è stato rapito ieri dalla sua canonica, nella chiesa di San Michele, Ikabigbo, Uzairue, mentre si preparava alla celebrazione della messa. Il sacerdote è stato poi ucciso dai suoi aggressori, ha spiegato un comunicato della Chiesa locale.

Sabato scorso don Vitus Borogo, sacerdote dell’arcidiocesi di Kaduna, è stato invece assassinato presso la Prison Farm, lungo la Kaduna-Kachia Road, dopo un’incursione di «terroristi», riferisce padre Alumuku, come riportano anche la stampa locale e fonti di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il sacerdote, 50 anni, «si trovava lì – spiega il responsabile delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja — con due persone, suo fratello e un altro ragazzo, che sono poi stati rapiti» dagli uomini armati. «Conoscevo don Vitus, era un mio studente quando ero rettore del seminario di St. James, nella diocesi di Makurdi, nello Stato di Benue», ricorda padre Alumuku. «Era un ragazzo davvero gentile e brillante. L’avevo incontrato ultimamente, un paio di mesi fa a Kaduna. Come cappellano del Politecnico dello Stato di Kaduna, guidava nella fede gli studenti cattolici di quell’istituto universitario, per essere segni positivi nella comunità locale».

«La zona di Kaduna è una delle più colpite dai pastori Fulani», spiega il sacerdote, con riferimento all’etnia nomade dell’Africa occidentale, diffusa dalla Mauritania al Camerun, spesso in sanguinosa lotta con le popolazioni agricole stanziali, in un contesto generale di insicurezza generato dalla violenza delle varie ramificazioni dell’estremismo islamico di Boko Haram.

Padre Alumuku parla di una deriva «jihadista» nel Paese, in una situazione in cui «la Chiesa cattolica è un “obiettivo da colpire”» semplicemente «per la propria fede cristiana: noi non combattiamo nessuno, non abbiano armi». Predicare l’amore in queste condizioni «è difficile, ma lo era anche al tempo di Gesù. Abbiamo la speranza che tutta questa violenza finirà», aggiunge guardando con fiducia alle elezioni presidenziali del 2023.

A nome di Signis Nigeria, la realtà locale dell’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, di cui padre Alumuku è presidente ad Abuja, il sacerdote esorta le «agenzie di sicurezza a livello federale e statale a intensificare gli sforzi per consegnare gli assassini alla giustizia, moltiplicando al contempo l’impegno» a salvaguardare la vita di tutti i cittadini.

«È dovere dello Stato proteggere ogni nigeriano», evidenzia monsignor Matthew Man-Oso Ndagoso, arcivescovo di Kaduna, ponendo l’attenzione sui tanti religiosi uccisi nel Paese africano. «È una cosa terribile. La Chiesa è addolorata, ma non solo essa: tutti i nigeriani lo sono per quello che sta succedendo». «Le persone non si sentono al sicuro nelle loro case, per la strada, in nessun luogo», prosegue il presule. «Centinaia di nigeriani sono vittime di sequestratori e terroristi e tutto questo — osserva — nell’impunità». «Se c’è la pace nel Paese, quelli che hanno il compito di proclamare il Vangelo, come noi, hanno la possibilità di farlo; dove non ci sono pace e sicurezza, come succede ora, la nostra opera» risulta difficile, «inibita» dal fatto che «non possiamo girare liberamente»: questa, conclude l’arcivescovo di Kaduna, «è la situazione terribile che viviamo oggi» in Nigeria.

di Giada Aquilino


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