· Città del Vaticano ·

Alla presenza di Papa Francesco si è aperto il X Incontro mondiale delle famiglie
La missione indicata dal Pontefice

Chiamate a trasformare
il mondo in una “casa”
che accoglie tutti

 Chiamate a trasformare  il mondo in una “casa”  che accoglie tutti  QUO-142
23 giugno 2022

Cinque “passi in più” verso il matrimonio, la croce, il perdono, l’accoglienza e la fratellanza: li ha indicati Papa Francesco ai partecipanti al Festival delle Famiglie che ieri pomeriggio, mercoledì 22 giugno, ha aperto il decimo Incontro mondiale delle famiglie, in corso a Roma fino a domenica 26 giugno. A ispirare la riflessione del Pontefice — che pubblichiamo di seguito — le testimonianze presentate nell’Aula Paolo vi per dare voce all’esperienza di quanti vivono le medesime gioie, inquietudini, sofferenze e speranze.

Care famiglie!

è per me una gioia essere qui con voi, dopo eventi sconvolgenti che, negli ultimi tempi, hanno segnato le nostre vite: prima la pandemia e, adesso, la guerra in Europa, che si aggiunge ad altre guerre che affliggono la famiglia umana.

Ringrazio il Cardinale Farrell, il Cardinale De Donatis e tutti i collaboratori del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e della Diocesi di Roma, che con la loro dedizione hanno reso possibile questo Incontro.

Desidero poi ringraziare le famiglie presenti, venute da tante parti del mondo; e in particolare quelle che ci hanno regalato la loro testimonianza: grazie di cuore! Non è facile parlare davanti a un pubblico così vasto della propria vita, delle difficoltà o dei doni meravigliosi, ma intimi e personali, che avete ricevuto dal Signore. Le vostre testimonianze hanno fatto da “amplificatori”: avete dato voce all’esperienza di tante famiglie nel mondo, che, come voi, vivono le medesime gioie, inquietudini, le medesime sofferenze e speranze.

Per questo ora mi rivolgo sia a voi qui presenti sia agli sposi e alle famiglie che ci ascoltano nel mondo. Vorrei farvi sentire la mia vicinanza proprio lì dove vi trovate, nella vostra concreta condizione di vita. Il mio incoraggiamento è anzitutto proprio questo: partire dalla vostra situazione reale e da lì provare a camminare insieme: insieme come sposi, insieme nella vostra famiglia, insieme alle altre famiglie, insieme con la Chiesa. Penso alla parabola del buon samaritano, che incontra per strada un uomo ferito, gli si fa vicino, si fa carico di lui e lo aiuta a riprendere il cammino. Vorrei che proprio questo fosse per voi la Chiesa! Un buon samaritano che si fa vicino, vicino a voi e vi aiuta a proseguire il vostro cammino e a fare “un passo in più”, anche se piccolo. E non dimenticare che la vicinanza è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Provo a indicare questi “passi in più” da fare insieme, riprendendo le testimonianze che abbiamo ascoltato.

1. “Un passo in più” verso il matrimonio. Ringrazio voi, Luigi e Serena, per aver raccontato con grande onestà la vostra esperienza, con le sue difficoltà e le sue aspirazioni. Penso che per tutti è doloroso ciò che avete raccontato: “Non abbiamo trovato una comunità che ci sostenesse a braccia aperte per quel che siamo”. È duro, questo! Questo deve farci riflettere. Dobbiamo convertirci e camminare come Chiesa accogliente, perché le nostre diocesi e parrocchie diventino sempre più “comunità che sostengono tutti a braccia aperte”. Ce n’è tanto bisogno, in questa cultura dell’indifferenza! E voi, provvidenzialmente, avete trovato sostegno in altre famiglie, che infatti sono piccole chiese.

Mi ha molto consolato quando avete spiegato il motivo che vi ha spinto a far battezzare i vostri figli. Avete detto una frase molto bella: “Nonostante gli sforzi umani più nobili, noi non ci bastiamo”. È vero, possiamo avere i sogni più belli, gli ideali più alti, ma alla fine scopriamo anche i nostri limiti — è saggezza conoscere i propri limiti —, questi limiti che non superiamo da soli ma aprendoci al Padre, al suo amore, alla sua grazia. Questo è il significato dei sacramenti del Battesimo e del Matrimonio: sono l’aiuto concreto che Dio ci dona per non lasciarci soli, perché “noi non ci bastiamo”. Quella frase, ha fatto tanto bene sentirla: “Noi non ci bastiamo”.

Possiamo dire che quando un uomo e una donna s’innamorano, Dio offre loro un regalo: il matrimonio. Un dono meraviglioso, che ha in sé la potenza dell’amore divino: forte, duraturo, fedele, capace di riprendersi dopo ogni fallimento o fragilità. Il matrimonio non è una formalità da adempiere. Non ci si sposa per essere cattolici “con l’etichetta”, per obbedire a una regola, o perché lo dice la Chiesa o per fare una festa; no, ci si sposa perché si vuole fondare il matrimonio sull’amore di Cristo, che è saldo come una roccia. Nel matrimonio Cristo si dona a voi, così che voi abbiate la forza di donarvi a vicenda. Coraggio, dunque, la vita familiare non è una missione impossibile! Con la grazia del sacramento, Dio la rende un viaggio meraviglioso da fare insieme a Lui, mai da soli. La famiglia non è un bell’ideale, irraggiungibile nella realtà. Dio garantisce la sua presenza nel matrimonio e nella famiglia, non solo nel giorno delle nozze ma per tutta la vita. E Lui vi sostiene ogni giorno nel vostro cammino.

2. “Un passo in più” per abbracciare la croce. Ringrazio voi, Roberto e Maria Anselma, perché ci avete raccontato la storia commovente della vostra famiglia e in particolare di Chiara. Ci avete parlato della croce, che fa parte della vita di ogni persona e di ogni famiglia. E avete testimoniato che la dura croce della malattia e della morte di Chiara non ha distrutto la famiglia e non ha eliminato la serenità e la pace dai vostri cuori. Lo si vede anche nei vostri sguardi. Non siete persone abbattute, disperate e arrabbiate con la vita. Anzi! Si percepiscono in voi una grande serenità e una grande fede. Avete detto: “La serenità di Chiara ci ha aperto una finestra sull’eternità”. Vedere come lei ha vissuto la prova della malattia vi ha aiutato ad alzare lo sguardo e a non rimanere prigionieri del dolore, ma ad aprirvi a qualcosa di più grande: i disegni misteriosi di Dio, l’eternità, il Cielo. Vi ringrazio per questa testimonianza di fede! Avete citato anche quella frase che Chiara diceva: «Dio mette la verità in ciascuno di noi e non è possibile fraintenderla». Nel cuore di Chiara Dio ha posto la verità di una vita santa, e perciò lei ha voluto preservare la vita di suo figlio a costo della sua stessa vita. E come sposa, accanto a suo marito, ha percorso la via del Vangelo della famiglia in modo semplice, spontaneo. Nel cuore di Chiara è entrata anche la verità della croce come dono di sé: una vita donata alla sua famiglia, alla Chiesa, al mondo intero. Sempre abbiamo bisogno di esempi grandi a cui guardare: che Chiara sia d’ispirazione nel nostro cammino di santità, e che il Signore sostenga e renda feconda ogni croce che le famiglie si trovano a portare.

3. “Un passo in più” verso il perdono. Paul e Germaine, voi avete avuto il coraggio di raccontarci la crisi che avete vissuto nel vostro matrimonio. Vi ringraziamo di quesato, perché in ogni matrimonio ci sono le crisi: dobbiamo dircelo, dobbiamo svelarlo e andare sulla strada per risolverla. Non avete voluto addolcire la realtà con un po’ di zucchero! Avete chiamato per nome tutte le cause della crisi: la mancanza di sincerità, l’infedeltà, l’uso sbagliato dei soldi, gli idoli del potere e della carriera, il rancore crescente e l’indurimento del cuore. Mentre voi parlavate, penso che tutti noi abbiamo rivissuto l’esperienza di dolore provata di fronte a situazioni simili di famiglie divise. Vedere una famiglia che si disgrega è un dramma che non può lasciarci indifferenti. Il sorriso dei coniugi scompare, i figli sono smarriti, la serenità di tutti svanisce. E il più delle volte non si sa cosa fare.

Per questo la vostra storia trasmette speranza. Paul ha detto che, proprio nel momento più buio della crisi, il Signore ha risposto al desiderio più profondo del suo cuore e ha salvato il suo matrimonio. È proprio così. Il desiderio che c’è nel fondo del cuore di ognuno è che l’amore non finisca, che la storia costruita insieme con la persona amata non s’interrompa, che i frutti che essa ha generato non vadano dispersi. Tutti hanno questo desiderio. Nessuno desidera un amore a “breve scadenza” o a “tempo determinato”. E per questo si soffre molto quando le mancanze, le negligenze e i peccati umani fanno naufragare un matrimonio. Ma anche in mezzo alla tempesta, Dio vede quello che c’è nel cuore. E provvidenzialmente voi avete incontrato un gruppo di laici che si dedica proprio alle famiglie. Lì è iniziato un cammino di riavvicinamento e di risanamento della vostra relazione. Avete ripreso a parlarvi, ad aprirvi con sincerità, a riconoscere le colpe, a pregare insieme ad altre coppie, e tutto ciò ha portato alla riconciliazione e al perdono.

Il perdono, fratelli e sorelle, il perdono risana ogni ferita; il perdono è un dono che sgorga dalla grazia con cui Cristo riempie la coppia e la famiglia intera quando lo si lascia agire, quando ci si rivolge a Lui. È molto bello che abbiate celebrato la vostra “festa del perdono”, con i vostri figli, rinnovando le promesse matrimoniali nella celebrazione eucaristica. Mi ha fatto pensare alla festa che il padre organizza per il figlio prodigo nella parabola di Gesù (cfr. Lc 15, 20-24). Solo che questa volta quelli che si erano smarriti erano i genitori, non il figlio! I “genitori prodighi”. Ma anche questo è bello e può essere una grande testimonianza per i figli. I figli, infatti, uscendo dall’infanzia, si rendono conto che i genitori non sono dei “super eroi”, non sono onnipotenti, e soprattutto non sono perfetti. E i vostri figli hanno visto in voi qualcosa di molto più importante: hanno visto l’umiltà per chiedersi perdono e la forza che avete ricevuto dal Signore per risollevarvi dalla caduta. Di questo loro hanno veramente bisogno! Anch’essi, infatti, nella vita sbaglieranno e scopriranno di non essere perfetti, ma si ricorderanno che il Signore ci rialza, che tutti siamo peccatori perdonati, che dobbiamo chiedere perdono agli altri e dobbiamo anche perdonare noi stessi. Questa lezione che hanno ricevuto da voi rimarrà nel loro cuore per sempre. E anche a noi ha fatto bene ascoltarvi: grazie di questa testimonianza di perdono! Grazie tante.

4. “Un passo in più” verso l’accoglienza. Ringrazio voi, Iryna e Sofia, per la vostra testimonianza. Avete dato voce a tante persone la cui vita è stata sconvolta dalla guerra in Ucraina. Vediamo in voi i volti e le storie di tanti uomini e donne che hanno dovuto fuggire dalla loro terra. Vi ringraziamo perché non avete perso fiducia nella Provvidenza, e avete visto come Dio opera in vostro favore anche attraverso persone concrete che vi ha fatto incontrare: famiglie ospitali, medici che vi hanno aiutato e tanti uomini dal cuore buono. La guerra vi ha messe di fronte al cinismo e alla brutalità umana, ma avete incontrato anche persone di grande umanità. Il peggio e il meglio dell’uomo! È importante per tutti non rimanere fissati sul peggio, ma valorizzare il meglio, il tanto bene di cui è capace ogni essere umano, e da lì ripartire.

Ringrazio anche voi, Pietro ed Erika, per aver raccontato la vostra storia e per la generosità con cui avete accolto Iryna e Sofia nella vostra già numerosa famiglia. Ci avete confidato che l’avete fatto per gratitudine a Dio e con uno spirito di fede, come una chiamata del Signore. Erika ha detto che l’accoglienza è stata una “benedizione del cielo”. In effetti, l’accoglienza è proprio un “carisma” delle famiglie, e soprattutto di quelle numerose! Si pensa che in una casa dove si è già in tanti sia più difficile accogliere altri; invece nella realtà non è così, perché le famiglie con molti figli sono allenate a fare spazio agli altri. Sempre trovano uno spazio per gli altri.

E questa, in fondo, è la dinamica propria della famiglia. In famiglia si vive una dinamica di accoglienza, perché anzitutto i coniugi si sono accolti l’un l’altro, come si sono detti a vicenda il giorno delle nozze: “Io accolgo te”. E poi, mettendo al mondo i figli, hanno accolto la vita di nuove creature. E mentre nei contesti anonimi chi è più debole viene spesso rigettato, nelle famiglie, invece, è naturale accoglierlo: un figlio con disabilità, una persona anziana bisognosa di cure, un parente in difficoltà che non ha nessuno... E questo dà speranza. Le famiglie sono luoghi di accoglienza, e guai se venissero a mancare! Guai. Una società diventerebbe fredda e invivibile senza famiglie accoglienti. Sono un po’ il calore della società, queste famiglie accoglienti e generose.

5. “Un passo in più” verso la fratellanza. Ringrazio te, Zakia, per averci raccontato la tua storia. È bello e consolante che quello che avete costruito insieme, tu e Luca, rimane vivo. La vostra storia è nata e si è basata sulla condivisione di ideali molto alti, che tu hai descritto così: «Abbiamo basato la nostra famiglia sull’amore autentico, con rispetto, solidarietà e dialogo tra le nostre culture». E niente di tutto questo è andato perso, nemmeno dopo la tragica morte di Luca. Non solo, infatti, l’esempio e l’eredità spirituale di Luca rimangono vivi e parlano alle coscienze di molti, ma anche l’organizzazione che Zakia ha fondato, in un certo senso, porta avanti la sua missione. Anzi, possiamo dire che la missione diplomatica di Luca è diventata ora una “missione di pace” di tutta la famiglia. Nella vostra storia si vede bene come ciò che è umano e ciò che è religioso possono intrecciarsi e dare bellissimi frutti. In Zakia e Luca troviamo la bellezza dell’amore umano, la passione per la vita, l’altruismo e anche la fedeltà al proprio credo e alla propria tradizione religiosa, fonte d’ispirazione e di forza interiore.

Nella vostra famiglia si esprime l’ideale della fratellanza. Oltre che essere marito e moglie, voi avete vissuto da fratelli nell’umanità, da fratelli nelle diverse esperienze religiose, da fratelli nell’impegno sociale. Anche questa è una scuola che s’impara in famiglia. Vivendo assieme a chi è diverso da me, in famiglia s’impara ad essere fratelli e sorelle. S’impara a superare divisioni, pregiudizi, chiusure e a costruire insieme qualcosa di grande e di bello, partendo da ciò che ci accomuna. Esempi vissuti di fratellanza, come quello di Luca e Zakia, ci danno speranza e ci fanno guardare con più fiducia al nostro mondo lacerato da divisioni e inimicizie. Grazie per questo esempio di fratellanza! E non vorrei finire questo ricordo di Luca e te senza menzionare tua mamma. Tua mamma che è qui e ti ha accompagnato sempre nel tuo percorso: questo è il bene che le suocere fanno in una famiglia, le brave suocere, le brave mamme! Ringrazio lei di essere venuta con te, oggi.

Cari amici, ogni vostra famiglia ha una missione da compiere nel mondo, una testimonianza da dare. Noi battezzati, in particolare, siamo chiamati ad essere «un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 21). Per questo vi propongo di farvi questa domanda: qual è la parola che il Signore vuole dire con la nostra vita alle persone che incontriamo? Quale “passo in più” chiede oggi alla nostra famiglia? Alla mia famiglia: ognuno deve dire questo. Mettetevi in ascolto. Lasciatevi trasformare da Lui, perché anche voi possiate trasformare il mondo e renderlo “casa” per chi ha bisogno di essere accolto, per chi ha bisogno d’incontrare Cristo e di sentirsi amato. Dobbiamo vivere con gli occhi puntati verso il Cielo: come dicevano i Beati Maria e Luigi Beltrame Quattrocchi ai loro figli, affrontando le fatiche e le gioie della vita “guardando sempre dal tetto in su”.

Vi ringrazio di essere venuti qui. Vi ringrazio dell’impegno nel portare avanti le vostre famiglie. Avanti, con coraggio, con gioia. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.


Il saluto del cardinale Farrell


Questo è il testo del saluto che il cardinale Farrell ha rivolto al Pontefice all’inizio dell’incontro:

Santo Padre, è con profonda gratitudine che mi rivolgo a Lei, innanzi a questa gioiosa platea di famiglie, che vengono non solo dalla città di Roma, ma da tutto il mondo.

La ringrazio anche a nome della Diocesi di Roma, che con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha organizzato questo Incontro, e a nome di tutte le famiglie presenti, specialmente di quelle che sono venute in rappresentanza di altri Paesi.

Dopo quasi due anni di pandemia e tante incertezze organizzative, siamo finalmente giunti a questo Incontro, che in tanti attendevano: sposi, famiglie, religiosi, operatori della pastorale, che dopo 4 anni dall’Incontro mondiale di Dublino, desideravano incontrarla di nuovo per vivere in comunione con lei, Santo Padre, le gioie, le fatiche e la bellezza di essere famiglia!

Abbiamo qui oggi con noi, su questo palco, cinque famiglie, che hanno accolto l’invito di donare al mondo la testimonianza del proprio cammino umano e spirituale. Alcune famiglie romane, una famiglia dalla martoriata Ucraina e una famiglia dal Congo.

Non sono famiglie perfette quelle che Le presentiamo, perché — come Lei dice sempre — le famiglie perfette non esistono. Sono famiglie normali che, come tante altre, in ogni Paese e latitudine, attraversano le difficoltà e le sofferenze tipiche del nostro tempo: il timore di sposarsi, in una società che le scoraggia ad impegnarsi “per sempre”; la fatica di perdonarsi in un mondo che spinge all’individualismo e al pensare solo a sé stessi; la malattia che si accanisce, fino alla scelta di donare la propria vita per salvare quella di un figlio; la guerra e la perdita improvvisa di una persona cara. Eventi sconcertanti, che agli occhi degli uomini appaiono senza senso, ma che, vissuti con fede, possono aprire cammini incredibili di santità familiare.

La famiglia, oggi, è una realtà complessa: lo snodo di sfide e problemi che nella vita quotidiana dei fidanzati, degli sposi e dei figli a volte sembrano insuperabili. Ma è proprio di questa realtà che la Chiesa desidera prendersi cura, con coraggio, misericordia e premura di madre. Perché, come Lei ci esorta, Santo Padre, la Chiesa possa essere per tutti una “casa della tenerezza”, casa dell’Amore di un Padre che, con pazienza, attende e allarga le braccia ai figli che lo cercano con sincerità e umiltà. 

Grazie, Santo Padre, di essere qui oggi con noi.


Le testimonianze delle coppie

Quando l'amore salva dalle situazioni più difficili


Una grande festa a suon di musica e di canti, con una particolare attenzione alle esperienze di vita di cinque nuclei familiari. In questa atmosfera si è svolto il Festival delle famiglie — dal titolo «The beauty of family» — che mercoledì pomeriggio, 22 giugno, alla presenza di Papa Francesco, ha dato inizio nell’Aula Paolo vi al decimo Incontro mondiale, incentrato sul tema «L’amore familiare: vocazione e via di santità». 

Alla conduzione della serata non poteva mancare una famiglia: quella della nota coppia televisiva Amadeus e Giovanna Civitillo. Numerosi gli artisti e i musicisti presenti. Ospiti di eccezione, seppur in collegamento streaming, alcune famiglie riunite nella parrocchia dell’Assunzione della Vergine a Kiev, in Ucraina, con il parroco don Pedro Zafra. Sono intervenuti, poi, Francesco Beltrame Quattrocchi, nipote dei coniugi Luigi e Maria, i patroni di questo Incontro mondiale, e Gilberto Grossi, medico neurochirurgo che ha ricevuto una guarigione riconosciuta dalla Chiesa come miracolo per intercessione dei due beati. 

Al suo arrivo in Aula, il Pontefice è stato accolto dalle note dell’Alleluja di Coen, cantata da “Il Volo” con l’accompagnamento dell’Orchestra filarmonica marchigiana. Il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia, la vita, accompagnato da una famiglia romana e da una di delegati, ha salutato il Pontefice  a nome dei presenti. Quindi, è stata la volta della prima testimonianza, sul tema «Chiamati al matrimonio», presentata da Serena Zangla e Luigi Franco, con i figli Matteo Francesco, Riccardo e Gabriele. «Noi — hanno spiegato — non siamo un esempio, rappresentiamo una realtà forse ormai numerosa, delle famiglie conviventi; siamo semplici genitori che hanno fondato tutto sui principi umani: amore, obbedienza, rispetto, responsabilità, sacrificio, solidarietà, perdono e resilienza». L’incontro con altre famiglie ha permesso loro di riavvicinarsi alla Chiesa e di riaccendere quella «fede sopita»: così hanno confidato di voler coronare il desiderio di un matrimonio, che «sia non un punto di arrivo, ma un ulteriore punto di ripartenza».

Sono intervenuti poi i coniugi Roberto e Maria Anselma, genitori della serva di Dio Chiara Corbella, per la seconda testimonianza sul tema «Chiamati alla santità». Ricordando la figlia — morta nel 2012 a 28 anni dopo aver scelto di rimandare le cure di un carcinoma per poter dare alla luce il piccolo Francesco — i due hanno detto che la sua forza è stata «l’abbandono confidente in Dio che è Padre buono e che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».  Hanno  sperimentato, come famiglia, «l’importanza di far crescere ed educare le nostre figlie, ricordando che non sono nostre e non sono un diritto da avere a tutti i costi, sono prima di tutto un dono e chi lo riceve deve essere consapevole che il suo compito è solo di accompagnamento fin dove ci viene richiesto».

Terza testimonianza, sul tema «Chiamati al perdono», quella di Paul e Germaine Balenza, congolesi, 27 anni di vita matrimoniale nei quali non sono mancati momenti critici, come quando la donna ha lasciato suo marito perché era infedele, mancava di sincerità e non si interessava più a lei. Paul oggi è il presidente dei deputati cattolici del suo Paese, impegnato nella pastorale e anche artista di Christian Music. L’uomo ha confidato che la sua vita era diventata insopportabile, ma non voleva divorziare. Poi i due  hanno trovato un aiuto grazie ad alcuni laici dell’associazione Comunità familiare cristiana. «Questi incontri — ha affermato Germaine — ci hanno consentito di dirci in faccia dure verità, di svuotare i nostri cuori dall’odio, dalla rabbia, dalla cattiveria e da altri sentimenti negativi. Alla fine ci siamo sinceramente perdonati a vicenda e abbiamo deciso di riprendere la nostra vita insieme».

È stata poi la volta della quarta testimonianza, sul tema «Chiamati ad accogliere», con Pietro ed Erika Chiriaco e i loro sei figli, che ospitano Iryna e sua figlia Sofia, fuggite dall’Ucraina a causa della guerra. «La decisione di partire — ha detto Iryna — non è stata facile, mi ha provocato tanta sofferenza. Da un lato desideravo stare in un luogo sicuro con mia figlia e riuscire a dormire senza la paura e i rumori che sentivamo a causa degli scontri, senza le sirene». Da parte sua Erika ha confidato che fin da subito, con Pietro, ha avvertito «il desiderio di offrire la disponibilità all’accoglienza. Abbiamo sentito che era un invito che veniva da Dio: rinunciare un po’ alle nostre comodità per accogliere dei fratelli in difficoltà». 

L’ultima testimonianza, sul tema «Chiamati alla fratellanza», quella di Zakia Seddiki, vedova dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio — ucciso in un agguato nel 2017 vicino Goma, nella Repubblica Democratica del Congo —  con le figlie Sofia, Lilia e Miral. Originaria di Casablanca, in Marocco, di fede musulmana, Zakia ha  sottolineato che «la differenza di religione nella nostra famiglia non è mai stato un ostacolo»;  anzi, «ci ha resi sicuramente più ricchi: abbiamo basato, infatti, la nostra famiglia sull’amore autentico, con rispetto, solidarietà e dialogo tra le nostre culture». L’amore, ha evidenziato la donna,  «è stata la chiave per superare ogni differenza e difficoltà: con mio marito abbiamo imparato, infatti, l’importanza della comunicazione e dell’ascolto, soprattutto nei momenti più complessi, quando, da marito e moglie, ci siamo ritrovati a condividere esperienze in terre difficili».

Il Festival si è concluso con l’inno ufficiale del X Incontro mondiale delle famiglie, “We believe in love”, cantato dal Coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina, autore del brano.


Al via i lavori del congresso teologico-pastorale


Un momento di riflessione e di confronto che ha Roma al suo centro, ma che si svolge contemporaneamente in forma analoga nelle varie diocesi del mondo: è  questa la novità del congresso teologico-pastorale aperto dal cardinale Farrell  giovedì mattina, 23 giugno, nell’Aula Paolo vi. Si terrà per tre giorni e sarà  un momento «di autentica comunione ecclesiale con tutte le famiglie del mondo che parteciperanno, che ci ascoltano e si aspettano dalla Chiesa non solo parole di sostegno, ma anche i segni di una consapevolezza ecclesiale nei confronti di tante situazioni di cui è necessario prendersi cura» ha sottolineato il porporato.

I temi che verranno approfonditi, ha spiegato Farrell, sono stati scelti insieme alla diocesi di Roma e in base a ciò che è emerso in questi ultimi tre anni dagli incontri al Dicastero con i vescovi di tutto il mondo, in quanto ritenuti più urgenti per la pastorale familiare e matrimoniale.  Non si tratta, peraltro,  di fare un elenco di tutte le specifiche situazioni che una famiglia potrebbe ritrovarsi a vivere, ha precisato il prefetto, ma «di impostare insieme un atteggiamento di accompagnamento pastorale adeguato», come mostra Papa Francesco in Amoris laetitia. Esso deve «saper prendere le mosse sempre da ciò che la famiglia è: un luogo di accoglienza e di amore, se riesce a generare e a far crescere la vocazione di ogni membro» e se riesce a mettere Cristo «al centro delle proprie relazioni per trasformare le circostanze della vita quotidiana in un cammino di santità per gli sposi, per ciascun figlio, per i nonni». 

La famiglia fondata sul sacramento del matrimonio, ha aggiunto,  è un «moltiplicatore potente della grazia presente nel sacramento stesso», che non si limita agli sposi ma «si espande intorno a sé, trasformando il modo di percepire e comprendere la vita da parte di ogni membro della famiglia e da parte delle altre famiglie intorno a sé». Per questo la Chiesa «ha bisogno delle famiglie, del loro contributo operoso». 

Gli interventi della prima giornata  — dopo la conferenza iniziale su «Chiesa domestica e sinodalità. Verso una nuova ecclesiologia attraverso la liturgia della vita ecclesiale domestica» —  hanno approfondito due temi principali: «Sposi e sacerdoti insieme per costruire la Chiesa» e «Giovani e anziani insieme per la Chiesa di domani».   Quanto al primo, è stato sottolineato come il sacerdozio e il celibato non siano in contrapposizione al matrimonio e alla vita familiare: le due vocazioni, infatti, si completano a vicenda nella vocazione integrale dell’uomo ad amare. Riguardo al secondo,  è stato evidenziato come gli anziani non debbano essere visti soltanto come persone fragili, da curare e difendere, ma come attori e protagonisti, a partire dalla trasmissione della fede nelle famiglie. 


Posticipata alle 18.30 la messa di sabato

«La santa messa di sabato 25 giugno, in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie, si celebrerà alle ore 18.30 e non più alle 17.15». Lo ha reso noto stamane la Sala stampa della Santa Sede attraverso una comunicazione ai giornalisti in cui si evidenzia che la decisione è stata presa «per favorire la partecipazione dei fedeli nonostante il caldo di questi giorni».