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Tre pensieri

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23 giugno 2022

Tre pensieri mi sono saltati alla mente nell’ascoltare la parola “strada”. Il primo mi ha riportato ad un’esperienza forte. Ho viva ancora davanti a me una scena indimenticabile di un film, visto molti, molti decenni fa, quello di Fellini: La strada. Ricordo in maniera vivida la scena che aveva toccato le corde più intime del mio essere, la scena dell’incontro tra la disarmante semplicità, quasi angelica, della protagonista – Gelsomina – “venduta” a un giocoliere per la sopravvivenza della famiglia povera, e il “matto”, entrato sulla “sua” strada in un momento di disperazione. Ricordo i grandi occhioni dell’attrice — Giulietta Masina – che guardano il sasso consegnatole dal “matto” che le dice «tutto ciò che c’è in questo mondo serve a qualcosa, anche questo sasso… non lo so a che cosa serve... ma se questo sasso fosse inutile anche le stelle sarebbero inutili... anche tu servi a qualcosa…». Gli occhi di Gelsomina si sgranano, si illuminano… emerge il sasso nella sua mano. È la risposta alla sua domanda… «che ci sto a fare in questo mondo… io non servo a nessuno». Sorride allora! Una luce nuova è entrata nel suo animo e canta, si sente forte, riprende a vivere.

Un secondo pensiero… Eravamo giovani, era il tempo del dopo Concilio…. grande la gioia… ed anche il desiderio di vivere intensamente la vita... il tempo delle avventure. Ho avuto la fortuna di essere il “Baloo” e l’assistente spirituale del gruppo Scout Roma74. La parola “strada” mi ha riproposto tante sensazioni e pensieri. Quanta strada abbiamo fatto! La strada la chiamavamo “maestra di vita”. Ci dicevamo: «Tutta la nostra vita è un cammino e la strada ci insegna a vivere…» e ancora, la strada ci aiuta a «vincere i propri limiti, trarre fuori le nostre virtù, educare se stessi all’obbedienza, all’umiltà, all’essenzialità». È vero, abbiamo imparato, per esperienza diretta, che tante «comodità, prima ritenute necessarie, viste dalla prospettiva della strada diventano superflue, e si riconoscono come “peso”». Però, poi la vita ci ha fatto capire quanto è differente vivere la strada da vittime e non da “scimmiottatori del precario!”.

E per ultimo: ricordo… le chitarre in mano e i momenti di preghiera seduti intorno al falò, dopo una giornata di cammino, con il cielo stellato sopra le teste. Si cantava: «Quando busserò alla Tua Porta, avrò fatto tanta strada, avrò piedi stanchi e nudi, avrò mani bianche e pure… Avrò fatto tanta strada… o mio Signore!». Si ricordava, sì, il dolore, ma accanto gli si poneva l’amore… «avrò grappoli d’amore» da offrire al Signore.

Ecco il senso profondo della strada… precarietà, solidarietà, cammino, dolore, amore, e, per chi crede, la certezza che quel Qualcuno che ci ha detto «io sono la strada» ci farà arrivare alla meta, la vera vita.

È bella la strada per chi cammina.

È bella la strada per chi va.

È bella la strada che porta a casa

Dove ti aspettano già.

Sono parole che ho ascoltato per la celebrazione di un matrimonio. Che sia il nostro canto!

del cardinale Enrico Feroci