· Città del Vaticano ·

Per le strade della città con gli operatori del Servizio notturno itinerante della Caritas di Roma

La notte dei gesti gentili

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23 giugno 2022

La macchina si ferma. Michele spegne il motore e accosta delicatamente lo sportello. Indica due costruzioni coperte da alcuni teli cerati di colore grigio. La prima è piccola, rettangolare, più lunga che ampia; sembra una sorta di mobiletto da casa in campagna, dove si ripongono gli attrezzi di lavoro. Solo che non ci sono attrezzi, ma dei contenitori o quelli che sembrano dei portavasi, illuminati da una luce al neon di una delle case del circondario. «Sono per i gatti!», dice. La seconda, invece, è più grande, sarà alta un metro scarso ed occupa tutto lo spazio del marciapiede. È rivestita di pancali. No, è proprio fatta di pancali.

«Permesso? Sì, può?... Georg, ci sei? Posso entrare?». Michele direziona la torcia del telefonino verso il basso. Resto indietro, mentre sposta un telo e lo accompagna sopra un pallet appoggiato sulla destra. Ci faccio caso solo in quel momento, ma quel pallet mi ricorda una porta. Entra.

Sono le 22:10 di venerdì. È una strana situazione questa, lo è almeno per me. Michele fa cenno di indietreggiare. Cammina in punta di piedi, ripone il telo davanti l’entrata di quel bugigattolo. Spegne la torcia e raddrizza la schiena. «È a casa, ma sta dormendo profondamente. Vorrei evitare di svegliarlo». Una casa? Questa non può essere una casa, non deve essere una casa.

Sono circa 7 anni che Michele scende in strada per il Servizio notturno itinerante ( sni ), insieme ad altri operatori e volontari della Caritas di Roma; prende la macchina di notte, setaccia la città seguendo le segnalazioni di persone senza fissa dimora, persone proprio come Georg, che hanno bisogno di un aiuto. Stona la parola “fissa” vicino a “dimora”, perché anche se non ho potuto incontrare Georg una dimora fissa lui ce l’ha nel quartiere Alessandrino, dove ha fatto amicizia e si occupa di gatti randagi e di quelli che gli affidano gli abitanti della zona quando partono per qualche giorno. Ma questa è solo una parte della realtà, perché è difficile inquadrare chi vive per strada, un homeless. Una persona che ha occupato una casa non lo è? La Fio. psd (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora) ci aiuta in questo: un homeless è un «soggetto in stato di povertà materiale ed immateriale, portatore di un disagio complesso, dinamico e multiforme, che non si esaurisce alla sola sfera dei bisogni primari ma che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona, specie sotto il profilo relazionale, emotivo ed affettivo».

Ed è proprio su questo aspetto che operatori e volontari dello sni si concentrano: instaurare una relazione, creare un legame, stringere un vero rapporto.

Di cosa ha bisogno una persona che vive per strada? Acqua, cibo, vestiti? Certo, ci sono anche queste necessità, ma ha bisogno di essere anche compresa, di essere accettata. Accompagnando Michele, ho visto la notte riempirsi di gesti gentili, di premura, di attenzione nei confronti dell’altro. E anche di preoccupazione come quando non siamo riusciti a trovare un uomo di mezza età che, sulla base di una segnalazione arrivata in mattinata, era stato visto dormire in condizioni difficili nei pressi della stazione Rebibbia della metropolitana.

I dati sono drammatici: uno degli ultimi studi svolti dall’ istat , in collaborazione con Fio. psd e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Caritas italiana (2015), rivela uno spaccato disarmante. Ci sono oltre 50 mila persone senza fissa dimora, principalmente uomini (70%) che vivono da soli. Milano la città con più homeless, seguita da Roma e Palermo. A volte mi domando il perché di tutto questo.

Molto spesso, camminando nella nostra città, non ci accorgiamo neanche della loro presenza. Non lo facciamo con cattiveria, abbiamo i nostri problemi in fin dei conti. Ci svegliamo, andiamo a lavorare e una volta finito torniamo a casa, spesso con la testa ancora più chinata. Mettiamo il pilota automatico in determinati momenti della giornata e non ci accorgiamo di quello che abbiamo intorno. Per tre anni sono passato vicino il Passetto di Castel Sant’Angelo e non mi sono mai accorto di quanti strati diversi era composto. Per osservare quelle mura che costeggiavo ogni giorno prima di entrare in università è stata necessaria una domanda di un mio professore. Questo per dire che abbiamo bisogno di avere uno sguardo diverso, di indossare un occhiale particolare, sensibile, e di saper guardare oltre. «Perché – come dice Michele – dietro quel cartone o quella coperta che di giorno ci sembrano abbandonati, di notte può esserci una persona».

di Alessandro Proietti