· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della solennità di Pentecoste (Gv 7, 37-39)

Lo Spirito santo
e la via del bene

 Lo Spirito santo e la via del bene  QUO-123
31 maggio 2022

Sono sufficienti per l’uomo la testimonianza e la resurrezione di Gesù per portare a compimento la propria umanità e poter finalmente camminare sulla via del bene? C’è un tempo di preparazione e di decantazione che Gesù ha pensato; conosce la sua creatura e sa che nella nostra esperienza di vita spesso non ci è sufficiente guardare, udire, toccare, per riconoscere tracce della sua presenza in noi. L’evangelista Giovanni evidenzia come l’abilità di Gesù sta nel ri-condurre sempre la sua creatura sul piano dell’amore, proprio come farebbe una madre con suo figlio, con quella amorevolezza disarmante che ingenera nell’altro lo stupore del poter fare il bene, rendendolo libero di essere autenticamente se stesso. Di nuovo Gesù ci tende una mano, sceglie di mettersi da parte, comprende che il suo spazio deve essere lasciato ai suoi figli; è giunto il momento di svelare un’armonia diversa alla sua creatura, e finalmente la trinità può prendere forma in noi!

Ma chi è questo Spirito santo di cui parla Gesù? E poi, come scegliamo di giocarci la carta dello Spirito santo nella nostra vita? Nella sua permanenza terrena, Gesù ha creduto e risposto al Padre, con tutte le sue difficoltà di uomo, comprendendo che era terminato il suo tempo ed era giunto il nostro. Ma nella trama di ogni vita umana come facciamo a riconoscere che siamo sul cammino autentico? Gesù ci indica palesemente un modo, apparentemente semplice: saper identificare e praticare il bene che possiamo essere in grado di fare. Ma noi uomini facciamo fatica a rintracciare nei nostri vissuti esperienziali “il bene” che possiamo compiere, funzioniamo in modo tale che spesso ci narriamo qualcosa di diverso e ci impediamo di andare verso il bene e quello di nostro fratello; tendiamo a difenderci e a mantenere una schermatura che ci protegge dalla presa di consapevolezza di ciò che sembra intollerabile per la nostra psiche.

Tutto questo si declina in una sorta di “congelatura del cuore”: non riusciamo ad andare né avanti né indietro, e ci troviamo in mezzo a un deserto spirituale ed esistenziale. Gesù ci lascia il palcoscenico di una intera vita per poter individuare e seguire l’amore, sa essere paziente e sa aspettare; ha piena fiducia che il nostro esercizio di memoria, nel ri-contattare in noi la traccia di quella trinità, faciliterà l’armonizzazione e la pienezza della nostra identità; ha fiducia che il suo capolavoro rinvenga in sé quell’impronta divina in grado di sospingerlo al compimento della propria umanità. Ecco che, allora, il ritrovamento di questa impronta paterna suggerisce alla creatura di scegliere sempre la vita, consapevole che il reale che incontra e sperimenta può assumere le meravigliose forme del “bene”.

di Rossella Barzotti