· Città del Vaticano ·

Videomessaggio alla plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina

La sinodalità non è una moda ma la dimensione dinamica della comunione ecclesiale

 La sinodalità non è una moda ma la dimensione dinamica  della comunione ecclesiale  QUO-120
27 maggio 2022

La sinodalità non è «un metodo più o meno democratico» o «una moda», ma «la dimensione dinamica, la dimensione storica della comunione ecclesiale». Lo ribadisce il Pontefice in un videomessaggio rivolto ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina, che si è aperta martedì 24 maggio per concludersi oggi, venerdì 27. «La sinodalità nella Chiesa dell’America latina alla luce del magistero di Papa Francesco» il tema dell’incontro. Del testo del videomessaggio — trasmesso durante la terza giornata dei lavori — diamo di seguito una nostra traduzione dallo spagnolo.

Cari fratelli,

Sono lieto che i membri della Pontificia Commissione per l’America Latina si possano riunire in plenaria dopo la prolungata pausa che ha causato la pandemia.

Prima che fosse convocato il Sinodo sulla sinodalità nella Chiesa era mio desiderio che poteste riunirvi per dialogare attorno a questo tema visto che l’esperienza della Chiesa in America Latina si è espressa, dopo il Concilio Vaticano ii, con alcuni elementi marcatamente sinodali. Non intendo in alcun modo fare qui un resoconto esaustivo su questo tema. Semplicemente, a mo’ d’esempio, pensiamo che “comunione” e “partecipazione” sono state categorie-chiave per la comprensione e attuazione della iii Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, tenutasi a Puebla. Da parte sua, “conversione pastorale” è stato un concetto rilevante nella iv Conferenza generale a Santo Domingo e, in seguito, avrebbe acquisito ancora più centralità nella v Conferenza ad Aparecida.

Al di là dei documenti, è la stessa realtà della pastorale della Chiesa latinoamericana ad animarmi a pensare ad essa come a un’esperienza nella quale la sinodalità ha affondato le radici da tempo, e nella quale, tuttavia, occorre che siamo più consapevoli dei nostri limiti per poter così maturare e dare frutti evangelici in questo cammino. Che non è un cammino nuovo. È un cammino che la Chiesa ha seguito all’inizio e poi ha smarrito; ed è stato san Paolo vi a riprenderlo alla fine del Concilio, quando ha creato la Segreteria per il Sinodo dei Vescovi per recuperare la sinodalità. Nelle Chiese orientali si è sempre conservato, la Chiesa latina lo aveva perso.

Stiamo cominciando a esplicitare un processo. Come bambini facciamo passi piccoli e maldestri. All’improvviso, sentiamo che i nostri passetti sinodali sono il “grande kairos”, ma subito scopriamo la nostra piccolezza e scopriamo il bisogno di una maggiore conversione personale e pastorale, che continua a essere uno dei leitmotiv, la conversione personale e pastorale.

Sono convinto che, con anticipo, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, ha fatto “il cammino andando”, ossia, ha mostrato che una retta interpretazione degli insegnamenti conciliari implica reimparare a camminare insieme al momento di affrontare le sfide e i problemi pastorali e sociali propri del cambiamento di epoca1. Dico “reimparare” perché per camminare insieme è sempre importante mantenere il pensiero incompleto. Io sono allergico ai pensieri già completi e chiusi. Ricordo quando, all’inizio della Teologia della Liberazione, che giocava molto con l’analisi marxista, alla quale il Papa e il Generale dei Gesuiti reagirono con molta forza, apparvero due volumi sull’intuizione latinoamericana, sull’identità latinoamericana per continuare quel cammino, e quasi l’ottanta per cento delle note era in tedesco. Non avevano la minima idea. Era l’ideologizzazione di quello che è un cammino tellurico latinoamericano. E dico tellurico perché la spiritualità latinoamericana è attaccata alla terra, non può essere separata da essa.

Sono convinto che, con anticipo, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, ha fatto il “cammino andando”, ossia ha mostrato che una retta interpretazione degli insegnamenti conciliari implica reimparare a camminare insieme al momento di affrontare i problemi pastorali, i problemi sociali propri del cambiamento di epoca. Ed è proprio dello Spirito Santo fingere d’incontrare per caso2, ma questo è possibile quando il nostro pensiero è incompleto, quando è completo non funziona.

Quando uno crede di sapere tutto, il dono dello Spirito non può essere ricevuto. Quando uno crede di sapere tutto, il dono non ci educa perché non può entrare nel cuore. In altre parole, non c’è niente di più pericoloso per la sinodalità del pensare che abbiamo già capito tutto, che abbiamo già compreso tutto, che controlliamo già tutto. Il dono è imprevedibile, è sorpresa, e ci trascende sempre. Il dono è assolutamente gratuito, non chiede nulla in cambio. Non c’è un metodo per acquisire il dono. Il dono è immeritato e nessuno se ne può appropriare per controllarlo. Il dono è lo Spirito Santo, che non s’impone con la forza, ma convoca dolcemente il nostro affetto e la nostra libertà per modellarci con pazienza e con tenerezza, e poter in tal modo acquisire la forma di unità e di comunione che Lui desidera nei nostri rapporti.

Quando sentiamo le mozioni dello Spirito, la vita gradualmente si rivela come dono, e non possiamo che fare della nostra vita un servizio costante agli altri. Al contrario, quando per la “conoscenza chiusa”, o il pensiero chiuso, o per ambizione crediamo di dominare già tutto, cadiamo facilmente nella tentazione del controllo totale, la tentazione di occupare spazi, di raggiungere la superficiale rilevanza di chi desidera essere il protagonista centrale, come in uno show televisivo.

Occupare spazi è la tentazione, aprire processi è l’atteggiamento che permette l’azione dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è dono, non agisce togliendo bensì dando, muovendo, non innovando. Lo Spirito Santo non è una forza del passato ma Pentecoste che continua ad avvenire nel nostro tempo. Il “Grande Sconosciuto” che non ha immagine è sempre contemporaneo e non smette di accompagnarci e di consolarci. Lui crea la diversità dei carismi. Crea un certo disordine iniziale — pensiamo al mattino di Pentecoste, la confusione che si creò e che fece dire a quanti la videro: erano ubriachi —, Lui crea il disordine iniziale, per poi creare l’armonia di tutte le differenze. Ipse est armonia, dice san Basilio. “Lui è l’armonia”. Ma prima ti crea la disarmonia, con i carismi tutti diversi.

La sinodalità è parte di un’ecclesiologia pneumatologica, ossia spirituale. Ma lo è anche di una teologia eucaristica. La comunione con il Corpo di Cristo è segno e causa strumentale di un dinamismo relazionale che configura la Chiesa. C’è sinodalità solo quando celebriamo l’Eucaristia e intronizziamo il Vangelo affinché, allora, la nostra partecipazione non sia un mero parlamentarismo, ma un gesto di comunione ecclesiale che cerca di mettersi in movimento. Noi tutti battezzati siamo “synodoi”, amici che accompagnano il Signore camminando3.

Inoltre la Chiesa è “un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”4. Per questo, nella realtà che denominiamo “sinodalità” possiamo localizzare il punto in cui converge in modo misterioso ma reale la Trinità nella storia.

Pertanto la parola “sinodalità” non designa un metodo più o meno democratico e ancor meno un metodo “populista” di essere Chiesa. Queste sono deviazioni. La sinodalità non è una moda di organizzarsi o un progetto di reinvenzione umana del popolo di Dio. Sinodalità è la dimensione dinamica, la dimensione storica della comunione ecclesiale fondata dalla comunione trinitaria, che apprezzando simultaneamente il sensus fidei di tutto il santo popolo fedele di Dio5, la collegialità apostolica e l’unità con il Successore di Pietro, deve animare la conversione e la riforma della Chiesa a ogni livello.

Quando ho deciso che la Pontificia Commissione per l’America Latina (cal) continuasse e si rinnovasse nel quadro della riforma della Curia, queste idee non erano lontane dal mio cuore. La cal è chiamata a essere un organismo di servizio che collabori a far sì che tutti noi, in America Latina e nei Caraibi, entriamo in uno stile sinodale di essere Chiesa, dove lo Spirito Santo, che ci chiama anche attraverso il Popolo Santo di Dio, sia il protagonista, e non noi.

Pertanto la cal è un servizio, una diakonia, che deve mostrare principalmente l’affetto e l’attenzione che il Papa ha verso la regione. Diakonia, servizio, che aiuti a far sì che i diversi dicasteri agiscano con sinergia e comprendendo meglio la realtà sociale ed ecclesiale latinoamericana. Diakonia che, a nome del Papa, accompagna il cammino di organismi come il celam e il ceama, e la pastorale ispanica negli Stati Uniti e in Canada, in comunione con la Chiesa universale.

La cal non è chiamata a essere una dogana, che controlla cose in America Latina o la dimensione ispanica del Canada e degli Stati Uniti, no. La sua esistenza come istanza di servizio è giustificata dalla peculiare identità e fraternità che viviamo noi nazioni dell’America Latina. La cal è un organismo della Curia Romana, parte integrante del Dicastero dei Vescovi, che dispone di due laici come segretari — un uomo e una donna ora — ai quali ho chiesto che, a partire dalla loro esperienza e profilo professionale, in modo complementare, aiutino tutti noi a generare nuove dinamiche e ci disinstallino un po’ dai nostri usi e costumi clericali, sia qui nella Curia sia in ogni luogo in cui esistono comunità latinoamericane. Non dimentichiamo che il clericalismo è una perversione “quietista”. E in tal senso la cal deve aiutare a camminare, non essere protagonista, ma aiutare a camminare per non trasformarsi in un’istanza clericale.

La cal, attraverso tutti i suoi membri, deve promuovere il più ampiamente possibile, la vera sinodalità. Comunione senza sinodalità facilmente può prestarsi a una certa fissità, a un certo centralismo non auspicabile. Sinodalità senza comunione può diventare un populismo ecclesiastico. No le due cose insieme. La sinodalità ci deve portare a vivere più intensamente la comunione ecclesiale, dove i diversi carismi, vocazioni e ministeri si vanno integrando armoniosamente animati da uno stesso battesimo, che ci fa essere figli nel Figlio, tutti.

Facciamo attenzione al protagonismo unipersonale e puntiamo sul seminare e animare processi che consentano al popolo di Dio, che cammina nella storia, di poter partecipare di più e meglio alla comune responsabilità che tutti abbiamo di essere Chiesa. Tutti siamo popolo di Dio. Tutti siamo discepoli chiamati a imparare e a seguire il Signore. Tutti siamo corresponsabili del bene comune e della santità della Chiesa.

Vi ringrazio per la vostra presenza e affido i lavori durante questa Plenaria alla Vergine Santa Maria di Guadalupe, Madre meticcia del “verissimo Dio per il Quale si vive”6.

E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

1. <Cfr. Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 52.

2. Cfr. Soñemos juntos. El camino a un futuro mejor, Simon & Schuster, New York, 2020, 57-58.

3. Cfr. Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 55.

4. Concilio Vaticano ii, Costituzione Dogmatica Lumen gentium, n. 4.

5. Ibidem, n. 12.

6. A. Valeriano, Nican Mopohua, trad. M. Rojas, Ideal, México 1978, n. 26.