· Città del Vaticano ·

Missione delle suore Serve dello Spirito Santo in Ucraina

«La mia preghiera è strappare a Dio il suo aiuto»

 «La mia preghiera è strappare a Dio il suo aiuto»  QUO-118
24 maggio 2022

«La guerra ha radicalmente cambiato la mia vita e continuerà a cambiarla», racconta suor Svitlana Matsiuk, della congregazione delle Missionarie serve dello Spirito Santo. Prima della guerra la suora aveva iniziato gli studi a Roma, nel gennaio scorso è tornata in Ucraina e avrebbe dovuto riprendere gli studi a settembre. Adesso non sa se potrà farlo. Prima della guerra la sua comunità viveva a Khmelnytskyj, capoluogo dell’omonima regione, dove sono presenti dal 1995, e adesso hanno dovuto spostarsi in un paesino, Matkivtsi, dove sono ospitati dai frati minori conventuali e dove riescono ad aiutare coloro che scappano dalle zone più colpite dalla guerra.

Il conflitto ha sconvolto non solo la vita esteriore delle suore: «Sono cambiata dal punto di vista sia psicologico, sia spirituale», dice la missionaria: «Questa situazione ha introdotto degli interrogativi nel mio rapporto con Dio e nella mia vita di fede». Il 24 febbraio suor Svitlana stava con le altre consorelle in un paesino vicino a Vinnytsia e la mattina le ha svegliate il frastuono delle esplosioni. Dopo il primo istante di perplessità («Forse è un incidente») sono giunti lo shock e le domande: «Come è possibile?», «Sta realmente accadendo?». Il dolore «atroce» che ha provocato questi interrogativi rimane ancora e diventa acuto quando suor Svitlana incontra e ascolta chi ha guardato negli occhi la morte: i soldati feriti che ha visitato nell’ospedale militare e i profughi che durante il viaggio hanno visto morire la gente. «Ascoltarli suscita tante domande a Dio e, fra esse, le questioni sulla natura del male. Prima della guerra sapevo che esistesse il male, ma non toccava la nostra vita, come adesso. Questa è un’altra realtà nella quale c’è anche Dio, che soffre lì e viene crocifisso. E Dio mi ha risposto con la domanda: “Vuoi entrare con me in questa realtà?”. Io non voglio scappare da questo, creandomi dei mondi illusori, ma voglio entrarci, starci per fare più bene possibile».

A Matkivtsi le Missionarie serve dello Spirito Santo svolgono il loro servizio per i bisognosi presso il santuario di Nostra Signora di Fátima, insieme ai frati minori conventuali. Nelle prime settimane di guerra hanno organizzato un rifugio per le persone in fuga. Col tempo, il flusso degli sfollati interni è diminuito, e quindi le suore hanno deciso di allestire un piccolo centro di aiuto umanitario: distribuiscono vestiti, cibo e medicine ai rifugiati e offrono il proprio tempo ascoltandoli. «Per loro è importante sapere che possono venire qui e che saranno aiutati e ascoltati», dice suor Svitlana. E «in questa situazione, dove il male è visibile, è molto importante sapere che esiste anche tanto bene».

Il ritmo della preghiera comunitaria è cambiato: spesso gli orari vengono spostati dagli impegni urgenti. «Però la mia preghiera personale è diventata più intensa. Qualche volta mi sveglio di notte e prego. E la preghiera diventa un grido: “Per favore, fai qualcosa!”. Non è più pregare o chiedere, è strappare da Dio il suo aiuto».

Di un’esperienza simile di preghiera parla anche la sua consorella suor Victoria. L’inizio della guerra l’ha trovata in Grecia, dove dal 2019 svolgeva la missione presso il Jesuit Refugee Service: «Nella prima settimana piangevo soltanto, leggevo le notizie, chiamavo i miei amici e famigliari in Ucraina e pregavo giorno e notte. Ho detto a loro di scrivermi nel caso si fossero trovati in situazione critica. Una mia amica abitava in uno dei paesini nella regione di Kyiv, che all’inizio della guerra erano occupati dai militari russi. Per un po’ di tempo si nascondeva con la famiglia in una cantina e non sapevano se dovevano scappare o rimanere. Continuamente mi chiedeva di pregare. E io chiedevo a Dio: “Salvali, aiutali a scappare, rendili invisibili”. Quando sono riusciti a scappare, mi sono sentita sollevata». In quei momenti il bisogno di pregare diventava come il bisogno di respirare. Così ha deciso di tornare in Ucraina. Le sue consorelle a Khmelnytskyj erano contrarie perché ovunque nel Paese c’è il rischio di bombardamenti. «Però io provengo dalla Crimea e una volta ho già perso la mia patria. Per questo ho deciso che voglio tornare in Ucraina. Voglio condividere con la mia gente le loro paure, la sofferenza e anche la loro fede», dice la suora, confidando che per lei è stata una sorpresa vedere quante preghiere e celebrazioni si fanno ogni giorno nel santuario di Nostra Signora di Fátima a Matkivtsi.

Gli sfollati che arrivano spesso chiedono alle suore di pregare con loro o per i loro cari che sono rimasti nei luoghi più colpiti. «Questi due ultimi mesi — aggiunge suor Svitlana — sono stati per noi anche un intenso tempo di evangelizzazione, di testimonianza che qui Dio è presente. La mia esperienza di Dio nel passato mi dà la fiducia che se attraverseremo grandi prove e sofferenze, e se il prezzo sarà molto alto, anche la ricompensa sarà alta. La mia esperienza mi dice che Dio non gioca mai con noi e se permette qualcosa del genere vuol dire che Lui sa che riusciremo a superare tutto questo, che Lui ci porterà nelle sue braccia attraverso tutto questo».

di Svitlana Dukhovych


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