· Città del Vaticano ·

L’intervento introduttivo del cardinale segretario di Stato

Realizzato uno degli obiettivi del pontificato di Francesco

 Realizzato  uno degli obiettivi  del pontificato  di Francesco  QUO-112
17 maggio 2022

Con la promulgazione lo scorso 19 marzo della costituzione apostolica Praedicate Evangelium (1) si è realizzato uno dei principali obiettivi che, sin dall’inizio, il presente pontificato si era prefissato.

In più occasioni, Papa Francesco ha avuto occasione di segnalare che con la riforma della Curia romana egli intendeva portare a compimento una delle ricorrenti richieste manifestate dai cardinali durante le Congregazioni precedenti al Conclave del 2013, che lo aveva eletto alla Sede di Roma. In diverse occasioni, come udienze e incontri vari, ma in maniera ufficiale dal 13 aprile 2013, il Santo Padre aveva manifestato il desiderio di costituire uno specifico “Consiglio di cardinali” con il compito di aiutarlo nel governo della Chiesa e «di studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana» (2). Il lavoro è andato realizzandosi gradualmente negli anni (3).

La costituzione apostolica Praedicate Evangelium è lo strumento che cerca di armonizzare le modifiche della Curia romana che sono state già realizzate e diventate operative nel corso del presente pontificato. In realtà, la riforma prospettata è stata attuata progressivamente in diversi anni, con la creazione di nuovi organismi e con inevitabili aggiustamenti successivi, in istituzioni “in rodaggio”, del tutto nuove e chiamate a lavorare insieme (4). Adesso, la Praedicate Evangelium cerca di tirare le somme dalle esperienze e adeguamenti degli anni passati, realizzando nuovi passaggi, peraltro annunziati già dallo stesso Pontefice, in modo da completare il quadro generale dell’auspicata riforma.

Si ripete così l’esperienza avuta ai tempi di san Giovanni Paolo II. Come la costituzione apostolica Pastor bonus diede unità d’insieme, nel 1988 (5), alle modifiche operate nella Curia sin dal 1979, così adesso la Praedicate Evangelium riprende tutte quelle novità realizzate sinora da Papa Francesco, seguendo criteri che sono stati esplicitati dallo stesso Papa in questi anni.

Proprio a questi principi ispiratori della costituzione apostolica, intendo riferirmi nella prima parte del mio intervento, in una prospettiva di continuità con la precedente norma. Essi sono sinteticamente indicati nel testo della legge, prima della parte dispositiva. (...) Le mie riflessioni, comunque, sono quelle proprie di chi fa una prima lettura del testo e non può ancora giovarsi del confronto dottrinale che necessariamente dovrà svilupparsi in seguito.

I principi per il servizio della Curia romana


La seconda sezione della costituzione apostolica Praedicate Evangelium, immediatamente dopo il Preambolo dottrinale introduttivo, si occupa di quelli che vengono chiamati dalla stessa legge «principi e criteri per il servizio della Curia romana». Sono enunziate dodici regole di buona amministrazione che possiedono, indubbiamente, un valore di carattere generale nella Chiesa. Vengono presentati come fattori che hanno guidato la riforma organizzativa delle istituzioni della Curia, ma sono principalmente criteri direttivi che devono guidare e rinnovare in modo rilevante la sua intera attività. Essi puntano, infatti, ad un rinnovamento gestionale indicando delle procedure di attuazione.

Mi pare che l’intera serie dei criteri proposti si possano raggruppare attorno a questi tre fondamentali concetti: comunione delle istituzioni ecclesiali, cooperazione nei rapporti inter-organici e adeguamento degli atteggiamenti personali.

a) La comunione ecclesiale nel governo

Le prime regole che vengono menzionate nella sezione seconda della legge che consideriamo riguardano la comunione ecclesiale nel governo. Più precisamente ancora, la collegialità episcopale nel governo della Chiesa, sia a livello universale che a livello particolare. Contengono criteri che, messi insieme, cercano di tracciare la via attraverso la quale è possibile che si realizzino concretamente nel governo ecclesiale le esigenze di comunione all’interno del Collegio episcopale, realizzando in un modo umanamente possibile quella immanenza che nella struttura sacramentale della Chiesa sussiste tra il piano universale e quello della Chiesa locale. La via che a tale scopo è indicata in questi principi non è altro che il confronto comunionale inteso come processo volto ad arrivare a soluzioni condivise.

È questo, infatti, il punto di convergenza dei primi quattro criteri menzionati dal testo. Si parte dalla netta affermazione della Curia come istituzione a servizio della specifica missione che corrisponde al successore di Pietro; in altre parole, si indica così che il luogo teologico della Curia romana, pur senza far parte della struttura essenziale della Chiesa, è quello che corrisponde all’ufficio petrino, come aveva puntualizzato il n. 9 del decreto Christus Dominus del concilio Vaticano II. Ciò rappresenta un punto fermo. Ma proprio perché la Curia è al servizio di chi è «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità dei Vescovi», la sua attività si pone necessariamente al servizio della missione dei vescovi: come il ruolo di Pietro è a servizio di tale missione dell’intero episcopato, così il compito della Curia romana, che è suo strumento, sarà necessariamente al servizio del Collegio episcopale e del ministero dei singoli vescovi.

Questo è un elemento fondamentale che il Santo Padre ha sottolineato sin dall’inizio del pontificato, e rappresenta una caratteristica centrale della nuova legge. L’istituzione e l’attività della Curia romana non possono concepirsi cioè solo come funzionali all’esercizio del potere primaziale in senso stretto, poiché un tale compito va inserito nella dinamica collegiale del governo pastorale della Chiesa. In una intervista pubblicata su «La Civiltà Cattolica» nel settembre 2013, rispondendo a una domanda sul ruolo dei dicasteri romani, il Papa affermò chiaramente che «i dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei Vescovi: devono aiutare sia le Chiese particolari sia le Conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto» (6).

L’intera legge cerca adesso di declinare concretamente questo impegno, indicando nei casi singoli e in riferimento alle competenze dei rispettivi organismi della Curia come raggiungere tale ambizioso obiettivo di governo in comunione. In un modo che intenzionalmente si ripete, a proposito delle materie affidate ai vari dicasteri, si fa appello al permanente dialogo che deve intercorrere tra istituzioni curiali, vescovi e Conferenze episcopali. Il Dicastero per la dottrina della fede, per esempio, afferma l’art. 72 «opera in stretto contatto con i Vescovi/Eparchi, sia come singoli, sia riuniti nelle Conferenze episcopali o nei Concili particolari e nelle Strutture gerarchiche orientali, nell’esercizio della loro missione di autentici maestri e dottori della fede...» ecc. E analogamente, riferendosi al Dicastero per i vescovi, l’art. 105 §2 segnala che «il Dicastero, d’intesa con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali, indica i criteri per la scelta dei candidati» all’episcopato: tali criteri inoltre devono considerare le «diverse esigenze culturali ed essere periodicamente valutati». Indicazioni del genere sono ricorrenti nell’intera sezione quinta della costituzione, che tratta appunto delle competenze dei singoli dicasteri.

È questo un approccio che comporta nelle procedure decisionali rilevanti conseguenze giuridiche, che occorrerà avviare e consolidare, mantenendo i necessari equilibri.

Anche se la costituzione riguarda solo l’organizzazione della Curia e non modifica la natura delle istituzioni giuridiche considerate nel Codice e nell’intero ordinamento canonico, essa sottolinea certamente il ruolo di collaborazione dell’episcopato nella definizione di materie riservate alla Santa Sede dalla disciplina canonica. Anche in esse occorrerà adesso aprire abituali linee di confronto, ponendo però in un contesto diverso le questioni che «toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa».

Un esempio dell’approccio che la costituzione apostolica chiede adesso all’intera Curia romana potremmo forse trarlo dalla modifica del can. 838 del Codice di Diritto canonico, concernente le traduzioni dei libri liturgici, nel settembre del 2017. Il nuovo testo del canone promulgato dal motu proprio Magnum principium (7) riassegnò, come ricordiamo, le responsabilità delle Conferenze episcopali e del dicastero competente in materia inducendo tali soggetti «operare in dialogo tra loro, nel rispetto della propria competenza, che — come venne detto allora — è differente e complementare», e tenendo conto «della responsabilità pastorale e dottrinale [delle Conferenze stesse], come anche dei loro limiti di azione» (8).

Indipendentemente dal caso concreto, penso che la riflessione allora avviata risulti paradigmatica per il rapporto di condivisione tra Curia e assemblee episcopali richiesto adesso dalla Praedicate Evangelium. «È un rapporto — disse il Papa nel 2017 — che si basa sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità» (9), giacché — come pure indicava il proemio della Pastor bonus — la Curia romana «non agisce per proprio diritto né per propria iniziativa», bensì «come uno strumento nelle mani del Papa», e la «sua ragion d’essere è quella di esprimere e di manifestare la fedele interpretazione e consonanza, anzi l’identità con quella volontà medesima del Sommo Pontefice per il bene della Chiesa ed il servizio dei Vescovi» (10).

Il confronto con le strutture episcopali che la costituzione apostolica domanda deve, comunque, inquadrarsi all’interno della struttura gerarchica della Chiesa. Perciò, il dialogo costruttivo che occorre impostare in queste materie deve tener conto — come pure ricorda il quinto dei principi che commentiamo — del trasferimento vicario di potestà che le istituzioni curiali ricevono in maniera stabile dal Papa e quindi del necessario ruolo di guida che il dicastero deve adottare in tale confronto e del dovere insostituibile di assumere le proprie responsabilità quando tale confronto si fa maturo.

È un serio impegno di comunione nel governo quello che la Praedicate Evangelium propone a tutte le istanze ecclesiali, e non solo a quelle integrate nella Curia romana. Rispetto a queste ultime, però, le esigenze di comunione risultano ulteriormente sviluppate nei successivi numeri di questa sezione della legge.

b) Cooperazione nei rapporti inter-organici

Infatti, un secondo gruppo dei criteri ispiratori della legge riguarda i rapporti inter-organici tra le istituzioni che compongono la Curia e tra i componenti delle singole istituzioni curiali. In questo ambito, il confronto che la comunione esige si traduce in termini di collaborazione e di coordinamento, ai vari livelli dell’organizzazione e nei rapporti tra i suoi componenti.

Particolare sforzo di coordinamento è richiesto, anzitutto, a quelle istituzioni curiali che, in conseguenza della riduzione del numero dei dicasteri, risultano dalla fusione di precedenti entità autonome. Infatti questi, pur avendo finalità simili o complementari con le precedenti entità fossero simili o complementari, non è detto che abbiano ora modalità giuridiche di azione identiche, e questo inevitabilmente aprirà per questi enti un periodo iniziale di sperimentazione e assestamento.

La collaborazione tra i dicasteri che viene ora richiesta si fonda, anzitutto, sulla tradizionale parità giuridica delle istituzioni curiali che l’art. 12 della Praedicate Evangelium dichiara, ribadendo il criterio dell’art. 2 §2 della precedente costituzione Pastor bonus; tale collaborazione si poggia anche sull’assegnazione di competenze, in ragione della materia, che l’art. 20 fa alle singole istituzioni. Sarà, infatti il criterio di competenza quello che stabilirà quale dicastero dovrà promuovere — secondo l’art. 28 — il confronto con le restanti istituzioni nelle materie di competenza mista, al fine di poter giungere a deliberazioni condivise.

L’art. 9 della costituzione apostolica riassume a questo riguardo i criteri operativi e indica l’atteggiamento necessario delle persone per stabilire un tale costruttivo confronto all’interno della Curia. La norma chiede che ogni entità compia la propria funzione «convergendo» con le altre «in una dinamica di mutua collaborazione, ciascuno secondo la propria competenza, in costante interdipendenza e interconnessione delle attività». La norma invita, dunque, a stabilire spazi di scambio personale che consentano, almeno nelle fasi di studio, un approccio diretto, rispettoso ma anche informale, utile a una buona comprensione tra persone e all’individuazione di soluzioni ottimali.

La stessa norma chiede poi che un tale atteggiamento sia vissuto non solo nei rapporti tra dicasteri e organismi, ma anche all’interno delle singole istituzioni curiali. Perciò, il successivo art. 10 insiste sulla necessità di attivare in forma regolare gli organi collettivi di studio previsti per ogni dicastero e, come novità — che non trova un precedente analogo nella abrogata Pastor bonus — l’art. 25 della Praedicate Evangelium si soffermerà sull’assidua convocazione del Congresso dei dicasteri, indicando in forma generale la sua composizione e anche le funzioni che è chiamato a svolgere.

A questo proposito, il n. 8 dei criteri che stiamo vedendo, osserva in modo generale che queste «riunioni periodiche favoriscono la trasparenza e un’azione concreta per discutere i piani di lavoro dei Dicasteri e la loro applicazione».

c) Adeguamento degli atteggiamenti personali

Il terzo gruppo di argomenti in cui mi è parso utile raggruppare i «principi e criteri per il servizio della Curia romana» che propone la Sezione seconda della nuova legge, riguarda le persone.

In molte occasioni, man mano che progrediva il processo di riforme organizzative della Curia, Papa Francesco ha manifestato la primaria importanza che il rinnovamento delle persone ha su quello puramente organizzativo e istituzionale. Nel dicembre del 2016, nel discorso augurale in occasione del Natale, avvertiva infatti che «la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini. Non basta accontentarsi di cambiare il personale — proseguiva il Papa —, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente. La riforma della Curia non si attua in nessun modo — concludeva — con il cambiamento  delle  persone ma con la conversione  nelle  persone... Senza un mutamento di mentalità  lo sforzo funzionale risulterebbe vano” (11).

Come sappiamo, sono state molteplici le iniziative adottate in questo senso dal Santo Padre durante il suo pontificato, a cominciare dall’organizzazione dei ritiri spirituali per il personale della Curia, affidati adesso in modo specifico dall’art. 229 §3 della Praedicate Evangelium all’organizzazione della Prefettura della Casa pontificia.

Al di là di ciò, però, i criteri presenti all’inizio della costituzione apostolica contengono principalmente tre indicazioni che riguardano il profilo richiesto alle persone coinvolte nel lavoro della Curia romana: cattolicità nella selezione, integrità personale e professionale, e consapevolezza del peculiare compito spirituale che si assume lavorando per la Santa Sede.

L’internazionalità della Curia romana è stata da anni un criterio adottato per integrare la composizione dei dicasteri romani a partire dal concilio Vaticano ii. Era una concreta richiesta contenuta nel n. 10 del decreto Christus Dominus. Ora, il 10° criterio presentato dalla legge chiede nuovamente che come «segno di comunione e solidarietà con il Romano Pontefice», anche nella «scelta dei Cardinali, dei Vescovi e degli altri collaboratori deve rispecchiarsi la cattolicità della Chiesa». In modo particolare, a proposito degli officiali ascritti ai vari dicasteri, l’art. 14 §3 della legge indica che, «per quanto possibile», detti dipendenti provengano «dalle diverse regioni del mondo, così che la Curia romana rispecchi l’universalità della Chiesa».

Poi, sempre a proposito delle persone, il criterio dato dalla norma sollecita integrità personale e professionalità. Quanti prestano servizio nella Curia romana devono essere scelti «seguendo criteri oggettivi e di trasparenza», sulla base «della debita esperienza, scienza confermata da adeguati titoli di studio, [nonché] virtù e prudenza». Inoltre, nel caso dei chierici, essi devono avere «un congruo numero di anni di esperienza nelle attività pastorali» (art. 14 §3).

È indispensabile, per il buon funzionamento della Curia romana, che il personale che vi opera sia qualificato e abbia la necessaria professionalità e competenza. Anche se queste sono qualità che si perfezionano nel tempo, occorre che esse siano presenti sin dall’inizio (art. 7). Per questo motivo diverse norme della nuova costituzione fanno poi eco alla necessità di favorire la crescita personale e professionale del personale, provvedendo alla sua formazione permanente.

Tuttavia, ciò che soprattutto occorre per un autentico adeguamento delle persone alle esigenze di cambiamento della Curia romana riguarda il piano spirituale.

Già nella lettera rivolta il 20 novembre 1982 all’allora cardinal Casaroli circa il significato del lavoro prestato alla Sede apostolica, san Giovanni Paolo ii ricordava quali dovevano essere i tratti salienti di questo lavoro (12). Nella lettera, riportata in sintesi in appendice alla costituzione Pastor bonus, il Pontefice ricordava che «trattandosi qui di [un] lavoro compiuto nell’ambito della Sede Apostolica» esso richiedeva «una sentita partecipazione a quella “sollecitudine per tutte le Chiese” propria della cattedra di Pietro». Di conseguenza, proseguiva il testo, «i dipendenti della Santa Sede devono, pertanto, avere la profonda convinzione che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima Sede Apostolica si collocano in una luce particolare».

Negli anni passati, questo è stato un costante richiamo del Papa, soprattutto nelle sue allocuzioni natalizie ai superiori della Curia romana. Nel 2014 illustrò il rischio di vari genere di malattie nel nostro modo di lavorare (13); l’anno seguente elencò invece le virtù che occorreva sviluppare (14), ribadendo ancora una volta nel 2016, a proposito dei criteri guida della riforma della Curia, «l’importanza della conversione individuale senza la quale saranno inutili tutti i cambiamenti nelle strutture. La vera anima della riforma sono gli uomini che ne fanno parte e la rendono possibile. Infatti, la conversione personale supporta e rafforza quella comunitaria» (15).

di Pietro Parolin


1 Cfr. Francesco, costituzione apostolica Praedicate Evangelium, del 19 marzo 2022, in «L’Osservatore Romano», p. i-xii.

2 Francesco, Chirografo Tra i suggerimenti, del 28 settembre 2013, in aas 105 (2013) 875-876.

3 Sull’andamento della riforma della costituzione Pastor bonus, vedi in particolare M. Semeraro, La riforma di Papa Francesco, in «Il Regno - Attualità”» 14/2016, 433.441. Vedi anche M. Mellino, La Curia Romana alla luce della costituzione apostolica Praedicate Evangelium, in «L’Osservatore Romano» del 9 maggio 2022, pp. 9-11.

4 Così ha affermato, ad es., il Santo Padre nel corso dell’Udienza alla Curia romana del 21 dicembre 2016, in aas 109 (2017), 34 e ss.

5 Giovanni Paolo ii, costituzione apostolica Pastor bonus, del 28 giugno 1988, in aas 80 (1988) 841-930.

6 Francesco, Intervista concessa ad Antonio Spadaro s.i. il 19 agosto 2013, in «La Civiltà Cattolica» 2013, iii, 465.

7 Cfr. Francesco, motu proprio Magnum principium, del 3 settembre 2017, in aas 109 (2017) 967-980.

8 A. Roche, Il motu proprio Magnum principium. Una chiave di lettura, in «L’Osservatore Romano» del 10 settembre 2017, p. 5.

9 Cfr. Francesco, Allocutio ad Curiam Romanam dum omina Natalicia significantur, 21 dicembre 2017, in aas 110 (2018), 64 e ss.

10 Giovanni Paolo ii, costituzione apostolica Pastor bonus, cit., proemio nn. 7-8.

11 Francesco, Allocutio ad Sodales Curiae Romanae, occasione prosequendi omina Natalicia, 22 dicembre 2016, in aas 109 (2017), 34 e ss.

12 Giovanni Paolo ii, Lettera al Card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato, circa il significato del lavoro prestato alla Sede Apostolica, del 20 novembre 1982, in aas 75 (1983) 119-125.

13 Cfr. Francesco, Allocutio occasione Romanae Curiae Natalicia Omina prosequendi del 22 dicembre 2014, in aas 107 (2015), 44.

14 Cfr. Francesco, Allocutio Natalicia omina Curiae Romanae significantur, 21 dicembre 2015, in aas 106 (2014), 16 e ss.

15 Francesco, Allocutio ad Sodales Curiae Romanae, occasione prosequendi omina Natalicia, 22 dicembre 2016, in aas 109 (2017), 34 e ss.