· Città del Vaticano ·

Il senso della cultura di fronte alla guerra

Per che cosa combattiamo?

 Per che cosa combattiamo?  QUO-097
29 aprile 2022

La foto ha fatto il giro della Rete: un carro armato sommerso, anzi messo “fuori combattimento”, da una montagna di libri.  L’installazione di Lorenzo e Simona Perrone, è stata visibile nei giorni scorsi nel cortile di Palazzo Reale a Milano. Un’installazione “incompiuta” cioè in fieri, nel senso che i libri bianchi (puri) che ricoprono il carro armato sono aumentati nel corso dell’esibizione perché chiunque era invitato a portare con sé un libro che, dopo essere stato imbiancato dai due artisti, veniva posto sul carro armato fino a sommergerlo per intero. Evidente il significato di questo suggestivo working in progess, riassunto efficacemente dal titolo dell’installazione Solo la cultura può fermare la guerra.

Cultura e guerra, arte e guerra, poesia e guerra... rapporti difficili, controversi perché la guerra così fa: contamina e guasta tutto. Soprattutto quando assoggetta qualcosa come la cultura e l’arte che per natura sono libere. Il discorso è lungo, tortuoso, senza dubbio molto complesso e ricco di contraddizioni, contenente al suo interno domande di non facile risposta: può esserci cultura o arte strettamente e strumentalmente collegate con la propaganda bellica? Si può fare poesia di fronte all’orrore della guerra o la creazione artistica, smarrita, inaridita, può o addirittura deve tacere?

Ardue sono le risposte. Per ora può essere utile ricordare l’ultimo grande conflitto che ha insanguinato l’Europa negli anni ’40, ora che nuovamente, dopo la tragedia dei Balcani tra ex-Jugoslavia e Kosovo, il sangue scorre di nuovo nel Vecchio Continente, e riportare alla mente le parole che due personalità, entrambi inglesi, uno della politica, l’altro della cultura, ebbero a dire in quel drammatico frangente. La prima parola, ormai celebre, è stata attribuita a Winston Churcill, primo ministro britannico che, quando gli chiesero di tagliare i fondi per l’arte per sostenere lo sforzo bellico, egli rispose: «Ma allora per cosa combattiamo?».

La seconda parola è dello scrittore C.S.Lewis che nello stesso periodo, riflettendo sul tema della cultura in tempo di guerra, offre uno spunto quanto mai prezioso: «La guerra non crea una situazione assolutamente nuova; aggrava semplicemente l’eterna situazione umana, tanto che non possiamo più ignorarla. La vita umana è sempre stata vissuta sull’orlo di un precipizio. La cultura umana ha sempre dovuto esistere all’ombra di qualcosa di infinitamente più importante di essa. Se gli uomini avessero rinviato la ricerca della conoscenza e della bellezza a quando fossero stati al sicuro, la ricerca non sarebbe mai cominciata. Ci sbagliamo quando contrapponiamo la guerra alla “vita normale”. La vita non è mai stata normale».

Parole acute, forti che ci ricordano la dimensione eccezionale ed eccedente dell’esistenza umana che non è mai “equilibrata” ma sempre aperta, dinamica, promettente e al tempo stesso “sull’orlo di un precipizio”. La guerra quindi come nota di fondo costante delle “cose umane” e insieme come lente che ingrandisce, aggrava, la quotidianità e forse ci permette di capire di cosa è capace l’uomo, nel male come nel bene. La guerra, e così altri eventi come la pandemia, è un test, una prova. Una “crisi”, direbbe il Papa, un’eventualità che sempre si ripresenta e che non bisogna fuggire, sarebbe sprecare l’occasione, e quindi attraversare, recuperando creativamente tutte le risorse che l’uomo possiede, per uscire migliori, “più umani” di prima, scegliendo, si spera definitivamente, i libri e mettendo fuori combattimento i carri armati.

di Andrea Monda