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Hic sunt leones

Speculazione: la posta
in gioco è alta

TOPSHOT - A man seats on bags of rice at a market in Freetown on April 6, 2022, prices for basic ...
22 aprile 2022

I venti di guerra che spirano dall’Europa orientale stanno mettendo a dura prova l’economia mondiale con effetti molto negativi sul continente africano. Come ha rilevato l’analista del South African Institute of International Affairs (Saiia), Steven Gruzd, «l’insicurezza alimentare avrà conseguenze molto gravi a causa del conflitto in corso, considerato che la Russia è il maggiore esportatore di grano in Africa e l’Ucraina è al quinto posto». Sta di fatto che i prezzi delle materie prime agricole hanno preso a correre, spingendo la Fao a lanciare in questi giorni un nuovo allarme sulla sicurezza alimentare. Considerando che il cibo (assieme all’acqua, naturalmente) è un bene prezioso per tutti, ma in particolare per chi lotta ogni giorno per la sopravvivenza, è evidente che la situazione è a dir poco allarmante.

Per comprendere quanto sta avvenendo occorre tenere presente che la speculazione finanziaria di questi tempi sta andando a nozze. Stiamo parlando di fondi finanziari, banche d’affari e assicurazioni che giocando al rialzo o al ribasso, facendo sì che i prezzi delle commodity agricole scambiate sui mercati dei future e di altri derivati collegati a materie prime alimentari siano costantemente sotto il loro controllo nelle contrattazioni, sia alla Borsa di Chicago come nella sede parigina di Euronext, che raggruppa le Borse europee. Naturalmente il tema della speculazione può essere esteso ad altri beni, quali ad esempio le fonti energetiche i cui prezzi sono pesantemente condizionati da una volatilità sistemica. Per contrastare questo indirizzo non v’è dubbio che occorre una riforma del sistema creditizio fissando delle regole sulla speculazione e sul sistema bancario. A questo proposito, la possibile apparizione di una nuova moneta internazionale alternativa al dollaro non sorprende in questi tempi di guerra.

Attualmente, tutto si regge sul dollaro che da solo dovrebbe sostenere l’intera struttura finanziaria monetaria di riserve mondiali. Considerando che la crisi finanziaria del 2008 è partita proprio negli Usa e che da lì si è aperta la porta alla grande speculazione finanziaria dei derivati Otc (Over the counter), lo scorso marzo si è tenuto in Armenia un meeting organizzato dalla Commissione economica euroasiatica e dall’università Renmin di Pechino per definire i contorni di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale, almeno per quanto riguarda la parte orientale del mondo. L’evento — il cui tema è alquanto emblematico: «Nuova fase della cooperazione monetaria, finanziaria ed economica tra l’Unione economica euroasiatica (Uee) e la Repubblica popolare cinese» — non è stato particolarmente seguito dalla stampa occidentale, ma i suoi contenuti potrebbero avere un forte impatto anche sull’economia africana. Sul tavolo vi è la creazione di una «nuova moneta» basata su un paniere di valute, tra cui il rublo e lo yuan, ancorata anche al valore di alcune materie prime strategiche, incluso l’oro.

Da rilevare che l’acronimo Uee è riferito all’unione economica e commerciale che coinvolge la Russia, la Belarus, il Kazakistan, la Kirghisia e l’Armenia. Questo cartello ha un Pil complessivo di circa 1.700 miliardi di dollari, e guarda con grande interesse alla Belt and Road Initiative (Bri), la nuova Via della seta voluta dal governo di Pechino. La collaborazione tra Uee e Cina sembra essere abbastanza consolidata se si considera che già nel 2020 quest’ultima aveva incrementato di circa il 20 per cento il suo turnover commerciale con l’Uee, mentre l’utilizzo delle monete nazionali rappresentava solo il 15 per cento dell’interscambio totale. L’ideatore di questo progetto è l’economista russo Sergei Glazyev, membro del consiglio e ministro incaricato dell’Integrazione e della Macroeconomia della Commissione economica euroasiatica. Egli già nell’ottobre del 2020 aveva raccomandato la creazione di nuovi strumenti nazionali di pagamento per accantonare l’utilizzo di «valute di Paesi terzi», riferendosi in particolare al dollaro e all’euro, nelle transazioni commerciali e monetarie tra i Paesi membri dell’Uee e la Cina.

Secondo l’economista Paolo Raimondi «la creazione di un nuovo paniere di monete non è un’idea malsana, anche perché in questo contesto l’euro avrebbe un ruolo di primo piano. Ma perché ciò avvenga è necessario un accordo tra Stati per fare in modo che non ci sia soltanto il dollaro come base di riserva, ma il dollaro più l’euro, lo yen e le nuove monete emergenti, quelle dei Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) che, non scordiamolo, da soli detengono il 18 per cento del Pil mondiale e rappresentano il 42 per cento della popolazione mondiale. Queste economie emergenti presenti nel g20 , Cina in testa, stanno discutendo da anni su questa proposta. Ma perché ciò sia possibile serve una nuova autorità sovranazionale in materia monetaria». Ed è proprio questo il punto, un conto è ragionare in termini di paniere, un altro dichiarare la netta separazione tra le valute occidentali e quelle orientali. Ciò non farebbe che acuire, sostiene Raimondi «la divisione tra est e ovest e aggravare ulteriormente la pericolosa situazione attuale».

Rimane il fatto che i Paesi africani, molti dei quali (se non tutti) detengono proficue relazioni commerciali con la Cina e con la Russia, potrebbero rientrare in questa nuova sfera monetaria in considerazione anche della recente nascita dell’Afcfta (Africa Continental Free Trade Area). Si tratta di un trattato, entrato in vigore formalmente il 1 gennaio 2021, che ha sancito la nascita di un’area di libero scambio all’interno del continente africano. Nessuno dispone di una sfera di cristallo per prevedere i futuri scenari dell’economia mondiale a seguito della crisi ucraina, ma è ormai scontato che non sarà facile ripensare le regole globali a breve medio termine. E questi ritardi potrebbero ancora una volta penalizzare i Paesi in via di sviluppo, tra i quali figurano quelli africani, i quali si troverebbero schiacciati tra l’incudine e il martello.

Se da una parte urge rimettere mano al sistema mondiale delle valute, della finanza, del commercio, e dell’economia reale; dall’altra s’impone la conversione radicale di un sistema all’insegna della de-regulation ben descritto da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale Evangelii Gaudium: «finanza creativa, ricchezza virtuale senza alcun legame con la realtà, giochi in borsa, non servono al bene comune». È evidente che alcuni brani dei suoi scritti sono critici del sistema economico attuale. Ma proprio per questa ragione scrisse ai partecipanti al World Economic Forum (Wef) di Davos, nel gennaio del 2014, queste testuali parole: «La comunità imprenditoriale internazionale può contare su molti uomini e donne di grande onestà e integrità personale, il cui lavoro è ispirato e guidato da alti ideali di giustizia, generosità e preoccupazione per l’autentico sviluppo della famiglia umana. (…) Vi chiedo di fare in modo che la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi».

Questo è un appello che egli ha rinnovato in più circostanze e ha raggiunto il suo apice nell’enciclica Fratelli tutti in cui siamo chiamati a decidere se scrivere insieme, come umanità, la storia del nostro destino comune, mettendo mano a un ordinamento realmente fraterno della coesistenza umana, oppure lasciarsi andare nella coltivazione privata di un piccolo orticello scambiato per il mondo intero, consegnando peraltro inermi alle generazioni future l’implosione di un sistema globale. La posta in gioco è alta.

di Giulio Albanese