· Città del Vaticano ·

Le prospettive aperte dal rapporto annuale del Centro Astalli

L’accoglienza
è il coraggio più autentico

Rescuers help a migrant to disembark from a Spanish coast guard boat in the port of Arguineguin, in ...
21 aprile 2022

«Occorre avere il coraggio della pace. Un coraggio di altissima qualità: quello non della forza bruta ma quello dell'amore. Ogni uomo è mio fratello, non vi può essere pace senza una nuova giustizia». È con la citazione delle parole pronunciate in un messaggio da Paolo vi , nel 1973, che padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha aperto l’incontro sulla presentazione del Rapporto annuale 2022 dell’organizzazione che si è svolto, il 12 aprile scorso, al teatro Argentina di Roma.

Il Rapporto, dedicato a David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo scomparso prematuramente nel gennaio scorso, offre una fotografia aggiornata delle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati che, durante il 2021, si sono rivolti al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati nelle diverse sedi italiane.

«La domanda che vorrei ci accompagnasse in questa presentazione è allora questa: abbiamo avuto il coraggio della pace?» ha proseguito padre Camillo. «Dov’era il nostro coraggio quando abbiamo lasciato nei centri di detenzione libici migliaia di persone migranti o le abbiamo abbandonate in mare o lungo la rotta balcanica o sul confine tra Polonia e Bielorussia? Dov’era questo coraggio quando abbiamo rimandato i migranti nel Paese di primo arrivo, anche dopo anni di permanenza in Italia, non esitando neppure davanti a nuclei familiari? Dov’era questo coraggio quando alto riecheggiava, seminando odio, lo slogan: “Prima gli italiani”? La riforma della Convenzione di Dublino tarda ad arrivare e ora, dopo 20 anni, la direttiva 55 del 2001 sulla Protezione temporanea in caso di flussi massicci di sfollati viene sfoderata come un grande passo avanti. Ma di flussi di sfollati ne abbiamo vissuti molti, troppi in questi 20 anni, e il coraggio dov’era? Dov’era quando non abbiamo saputo metterci dalla parte di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze che vogliono solo essere riconosciuti cittadini italiani dalla legge quando di fatto lo sono già? Forse ci è mancato il coraggio della quotidiana convivenza con i migranti che costruisce un futuro di pace, perché questo futuro sarà necessariamente un futuro plurale, che ascolta le ragioni dell’altro e dialoga senza armi».

Sulla stessa linea è intervenuto, da remoto, il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea. «Dal 2014, 24.600 migranti hanno perso la vita in Europa, soprattutto nel Mediterraneo. È uno scandalo per la coscienza umana e una vergogna per la nostra civiltà. E inaccettabili sono i maltrattamenti, le torture e gli stupri che coloro che fuggono dal proprio paese subiscono lungo il viaggio, soprattutto in Libia. Abbiamo l’obbligo morale di denunciare tutto ciò e di esigere che le nostre autorità impediscano questi abusi. Siamo chiamati a riconoscere Cristo in ogni fratello abbandonato e escluso. È l’opportunità di crescere come chiesa e di arricchirci reciprocamente. Abbiamo un duplice dovere morale: tutelare i diritti dei cittadini e garantire l’accoglienza dei migranti. Dobbiamo unirci in uno sforzo comune e promuovere una cultura dell’incontro per rendere la nostra Europa un posto migliore per tutti. In questi giorni ho avuto l’occasione di incontrare tanti volontari che si occupano dell’accoglienza dei profughi ucraini e ho visto la gioia nei loro volti. L’uomo è felice se sa aprire le porte della sua casa e dare del suo per la felicità dell’altro».

«Non ci saremmo mai immaginati di presentare questo rapporto nel pieno di una guerra», ha dichiarato Marina Sereni, la vice ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. La vice ministra, sottolineando lo sforzo dell’Italia per rispondere ai bisogni delle centinaia di migliaia di rifugiati ucraini, interni ed esterni, ha definito un fatto storico l’attuazione della direttiva europea 55/2001 sulla protezione temporanea, che supera i vincoli del primo approdo e delle quote di distribuzione. «Non siamo mai stati in grado di effettuare la procedura prima di ora. L’Italia ospita circa 90.000 ucraini, oltre la metà donne e bambini, una grande opera di solidarietà del nostro Paese. La guerra in Ucraina, tuttavia, non cancella le altre crisi. Dobbiamo pensare anche ad altri Paesi in forte difficoltà, come lo Yemen, la Siria, l’Afghanistan, la Libia».

E per quanto riguarda il fenomeno delle migrazioni ha detto che «non possiamo continuare a trattarlo come un’emergenza».

Occorre dunque — ha aggiunto — «avere una visione globale di medio e lungo periodo. Il compito della Farnesina è quello di creare partnership solide con i paesi di provenienza e di transito. La maggior parte dei profughi si rifugia nei paesi vicini ai loro quindi possiamo sicuramente accogliere di più e meglio ma anche sostenere i luoghi scelti dalle persone migranti. Dobbiamo anche supportare i Paesi da cui si fugge, offrendo opportunità di sviluppo in loco e possibilità di migrazione legale. È importante investire di più nella cooperazione internazionale perché è uno strumento di pace, di crescita e di sviluppo».

di Marina Piccone