· Città del Vaticano ·

La pace non è un fantasma

 La pace  non è  un fantasma  QUO-089
19 aprile 2022

«Per favore, non abituiamoci alla guerra». Con il consueto garbo, il Papa ci richiama all’essenziale, a quelle esigenze minime che costituiscono ciò che chiamiamo “essere umano”. Sembra che alla tentazione della guerra l’uomo non sappia resistere: questa “testarda” umanità, così ha detto il Papa tornando da Malta, sembra innamorata della guerra e sempre finisce per ricadere nei suoi “schemi”. E invece l’uomo, come diceva lo scrittore francese Albert Camus, è “colui che si trattiene”, che rompe gli schemi, che vince anche la tentazione dell’abitudine o, peggio, dell’assuefazione. Nel messaggio Urbi et Orbi pronunciato nella domenica di Pasqua Francesco mette in guardia dall’insidioso rischio rappresentato dal fatto che l’uomo si abitua a tutto, anche alla guerra. Così è l’uomo, un animale abitudinario: fa le cose perché le ripete e alla fine non fa altro che ripetere senza perché. Dimenticando il perché della prima volta. Non a caso il Papa invita spesso a tornare al “primo amore”, alla fonte. “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine” canta la poetessa brasiliana Martha Medeiros e c’è del vero: spesso diventiamo meri esecutori di gesti inconsapevoli, automatici, che ci rendono capaci di assuefarci a tutto, sfociando infine nell’indifferenza e nel cinismo. La vita diventa così schema passivamente subito o programmazione, calcolo.

Eppure chiunque sia onesto nel giudizio, deve ammettere che gli schemi umani, anche quelli più “consolidati”, tendono a saltare, ad essere ribaltati, smentiti dalla vita. Lo ha sottolineato il Papa nell’omelia della Veglia di Pasqua quando ha presentato la scena delle donne al sepolcro: «in un cimitero, presso una tomba, dove tutto dovrebbe essere ordinato e tranquillo, le donne “trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù”. La Pasqua, dunque, inizia ribaltando i nostri schemi. Giunge con il dono di una speranza sorprendente. Ma non è facile accoglierla». Questo è il Vangelo, la Buona Notizia, che arriva in modo dirompente e si presenta come la vera grande “novità” che scompiglia la vita degli uomini che si aprono per accoglierla. Non è facile, ha ragione il Papa. Preferiamo spesso la via già conosciuta, le strade già battute, anche se sono i sentieri dove abbondano tristezza, rassegnazione e risentimento. È strano ma a volte preferiamo la schiavitù alla libertà, come dimostra il racconto dell’Esodo.

Pensiamo alla pace, appunto. Non siamo forse rassegnati agli schemi di guerra? Sembra che alla pace non ci pensiamo più, dopo nemmeno due mesi di conflitto in Ucraina sembra che ci siamo già abituati alla guerra. Il Papa esprime con parole nette questo contrasto tra la forza della Pasqua e la nostra resistenza sottolineando come Gesù risorto entri attraverso le “porte chiuse” della nostra incredulità: «Davanti agli sguardi increduli dei discepoli Egli ripete: “Pace a voi!”» ha detto nel Messaggio Urbi et Orbi, «Anche i nostri sguardi sono increduli, in questa Pasqua di guerra. Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza. Anche i nostri cuori si sono riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe. Facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte. Che sia forse un’illusione? Un frutto della nostra immaginazione? No, non è un’illusione! Oggi più che mai risuona l’annuncio pasquale tanto caro all’Oriente cristiano: «Cristo è risorto! È veramente risorto!» Come i discepoli prendono Gesù per un fantasma, così anche noi oggi pensiamo alla pace come ad un fantasma, ad una fantasia irreale, impossibile. Nessuno sembra crederci veramente alla pace, nessuno tranne il Papa. E invece la pace deve essere creduta, desiderata, scelta. «Lasciamo entrare la pace di Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri Paesi!» ha pregato il Papa: «Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. Su questa terribile notte di sofferenza e di morte sorga presto una nuova alba di speranza! Si scelga la pace».

Per una strano meccanismo mentale, un tic che ha qualcosa di diabolico (nel senso etimologico di “separazione, divisione”), tendiamo a separare l’abitudine dalla scelta. Come se fare le cose per abitudine ci mettesse al riparo dal peso della scelta, ci deresponsabilizzi, ci renda appunto “schiavi”. Invece bisogna distinguere e tenere insieme, senza separare né contrapporre: non tutte le abitudini sono negative, esistono (e lo sappiamo bene), le buone abitudini. Sono quelle vissute consapevolmente, che non annullano la scelta. Le “cattive” abitudini invece, come rivela l’etimologia, ci rendono “cattivi”, schiavi. Gli esempi delle buone abitudini per fortuna sono tanti: entrare in una casa e salutare, ringraziare, chiedere scusa. Sono gesti abitudinari, che possono (e devono) diventare “automatici” ma richiedono sempre una scelta. È proprio del bene, che è sempre liberante: richiedere la collaborazione di tutte le risorse personali, mente, cuore e mani. Per questo il Papa insiste spesso sulle tre parole: permesso, grazie, scusi. Non è bon ton, è esercizio di libertà, e quindi di speranza. Perché ci si può abituare al bene e, partendo da questi piccoli gesti, si può arrivare a grandi mete. Chi è fedele nel poco è fedele nel molto. Fedeltà è la parola giusta. Anche amare il proprio coniuge per tutta una vita è al tempo stesso abitudine e scelta, una scelta, gioiosa e faticosa, rinnovata ogni giorno. Questa è libertà. Lo ha sottolineato efficacemente Roberto Benigni su Rai 1 la sera di Pasqua parlando della libertà di Maria che ha aderito con il suo “sì” non a uno suo “schema”, ma al sogno di un Altro, al disegno di Dio per l’umanità.

Abbandonare gli antichi schemi della guerra vuol dire allora uscire da quelle cattive abitudini che annullano la libertà, rendendo tragica la vita umana. Se infatti prevalgono gli schemi di guerra allora la pace è davvero un fantasma. Muore la speranza. Il Papa lo ha detto con vigore nel viaggio di ritorno da Malta: dobbiamo urgentemente abbandonare gli schemi di guerra e passare agli schemi inediti della pace, smettere di preparare la guerra e cominciare a costruire la pace. Possiamo farlo perché la pace non è un fantasma, ma «il dono di una speranza sorprendente».

di Andrea Monda