· Città del Vaticano ·

A colloquio con il cardinale Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi

Percorso che dà frutti

 Percorso che  dà frutti  QUO-082
09 aprile 2022

Reduce dal viaggio apostolico a Malta, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, parla molto volentieri con «L’Osservatore Romano» per riflettere sulla situazione legata al processo sinodale tanto voluto e richiesto da Papa Francesco. La conversazione prende spunto dalla lettera ai preti che il porporato ha inviato insieme all’arcivescovo Lazarus You Heung-sik, prefetto della Congregazione per il clero, lo scorso 19 marzo, in cui si esprime il timore per alcuni rischi insiti nel percorso sinodale.

Già il Pontefice, alla vigilia dell’apertura del Sinodo, il 9 ottobre 2021, aveva avvertito sul pericolo che il Sinodo venisse vissuto come un evento di “facciata” e che non si sviluppasse un adeguato livello di dialogo e di interazione tra sacerdoti e laici, ipotizzando un possibile “elitismo” di parte del clero.

Sì, abbiamo avvertito la necessità di tornare su questi timori, principalmente perché si tratta di un’esperienza nuova. Prima d’ora i sinodi erano limitati ai vescovi, ora Papa Francesco ha voluto che questo processo a tappe successive investisse la Chiesa universale, tutto il popolo di Dio. E non trattiamo, come nei precedenti sinodi, di un ambito specifico (la famiglia, i giovani, l’Amazzonia, e così via): questo è un sinodo della Chiesa sulla Chiesa. E proprio il carattere inedito di questo processo può generare qualche paura, qualche eccesso di prudenza, qualche impreparazione. Per questo lo scopo della nostra lettera è soprattutto quello di incoraggiare, sostenere, ed apprezzare le iniziative già avviate un po’ in tutto il mondo. Dobbiamo saper riconoscere, e valorizzare, le tante belle esperienze di sinodalità che in questi mesi si sono avviate. Al segretariato generale del Sinodo ogni giorno giungono notizie di esperienze nuove, belle e creative che dobbiamo mettere in circolo. Il punto è che la sinodalità non è un’invenzione di Papa Francesco; il Sinodo è un modo di camminare insieme, che in molte situazioni è già efficacemente praticato da anni, attraverso per esempio i consigli pastorali nelle parrocchie, quelli presbiterali nelle diocesi, e via dicendo. E io credo che il miglior modo per imparare non risieda nelle teorie ma nella conoscenza delle esperienze concrete e pratiche. La lettera si rivolge ai preti, perché vediamo in loro il tramite prezioso tra il pastore e il gregge: perle brillanti della bella collana che è la Chiesa. Dunque la nostra lettera ha anche un valore di supporto ai loro sforzi.

Nella vostra lettera fate riferimento anche ad un tema tutt’oggi aperto ed importante, quello del rapporto tra sacerdozio battesimale, cioè universale, e sacerdozio ministeriale. Un rapporto che, se non interpretato correttamente, potrebbe generare un difetto d’identità.

Assolutamente no. Il sacerdozio universale non implica nessuna diminuzione del ruolo dei ministri ordinati. Sono trascorsi ormai sessant’anni da quando il concilio Vaticano ii ha riproposto un’attenzione sul sacerdozio battesimale. Non mi sembra confutabile il principio che non esiste un ministero sacerdotale senza il battesimo. Il Sinodo può essere una buona occasione per approfondire come possano collegarsi in armonia queste due verità. Occorre immaginare una circolarità tra questi due aspetti della vita ecclesiale. E se in qualche caso questa interazione non è data, dobbiamo allora assumere il Sinodo anche come possibile risposta a quel bisogno di conversione che ci riguarda tutti, laici, preti e anche vescovi. Vorrei sottolineare ancora una volta che non c’è una novità, un’inversione di rotta, o un nuovo compito: la Chiesa è per sua natura sinodale.

Quindi non un evento ma un processo che deve divenire ordinario nella vita della Chiesa?

Mi piace sottolineare che oggi noi stiamo già raccogliendo i frutti del Sinodo. Perché, mentre ci confrontiamo sull’agenda che lo riguarda, stiamo già praticando in concreto la sinodalità. Essa c’è già, e non finisce ad agosto con la fase dell’ascolto diocesano. Facciamo in modo che il momento straordinario che stiamo vivendo diventi ordinario. Che diventi il nostro modo di essere Chiesa. Dobbiamo essere capaci di discernere cosa vuole il Signore dalla sua Chiesa all’inizio di questo nuovo millennio. Un discernimento che non guardi solo alle dinamiche ad intra della Chiesa stessa ma sappia intraprendere anche una prospettiva di apertura al mondo. In quella dimensione insieme missionaria ed anche ecumenica del Sinodo a cui Papa Francesco ci ha spesso esortato.

di Roberto Cetera