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La buona Notizia Il Vangelo della IV domenica di Quaresima (Luca 15, 1-3.11-32)

Ri-tornare a casa

 Ri-tornare a casa  QUO-066
22 marzo 2022

Nostalgia di casa, nostalgia di poter ritornare in quel luogo dove ciascuno di noi si possa ri-sentire “nudo” in tutta la propria creaturalità. Quel senso di pace di cui ciascun uomo può fare esperienza quando sente intorno a lui “la gioia e l’abbraccio”; la possibilità di essere autenticamente se stessi senza difendersi e senza provare vergogna. Esiste una fase evolutiva in età molto precoce in cui il bambino manifesta i primi comportamenti di vergogna, e questi coincidono quando inizia ad avere consapevolezza di sé e a percepire la possibilità di essere giudicato da parte dell’altro. Spesso la vergogna si associa alla paura e questa miscela di vissuti può determinare un profondo senso di inadeguatezza e smarrimento.

Apparentemente i due figli, agiscono da non figli, e tutti noi, nell’immediato, siamo portati a distanziarci dai loro comportamenti pieni di ingratitudine; prima o poi, però, passiamo tutti nelle vesti del fratello minore e maggiore, ed una lettura più attenta, può svelare che entrambi sono sospinti da una unica originaria nostalgia: ri-tornare a casa, ma alla prima casa, quella dove sentirsi finalmente se stessi, senza doversi difendere e senza sentirsi vincolati al soddisfacimento di presunte richieste altrui.

Ma la parabola che Gesù racconta ci mostra qualcosa di più semplice ma forse più difficile da accogliere come creature adulte, ponendoci di fronte a una scelta: perpetuare il nostro essere figli o scegliere di abbracciare la nostra paternità.

Il noto psicoanalista inglese J. Bowlby affermava che ciò che tranquillizza e rende sicuri i passi di un bambino è la presenza fisica della propria figura di attaccamento e come figli di Dio, ogni uomo conserva traccia nostalgica di ri-trovare quelle braccia e quella presenza che dona la possibilità di sentirsi di nuovo riabilitati alla vita. La nostalgia di entrambi i fratelli è di essere ri-accolti in tutta la propria nudità creaturale, una nudità che ci caratterizza come figli, ma che spesso come figli pensiamo di dover nascondere o trasformare in qualcosa di diverso che ci allontana da quell’abbraccio liberante e capace di renderci semplicemente noi stessi.

Ma la domanda che maggiormente si impone all’umano è perché invece facciamo fatica a vivere la generosità di un padre che allarga le sue braccia, che non chiede nulla ed è solo ansioso di fare festa per gioire del ritorno del figlio? Quale è la difesa psicologica che non ci permette di guardare al padre e volerlo imitare? Quale paura ci irrigidisce e non ci permette di deporre le armi del calcolo e poter abbracciare la nostra umanità e quella di nostro fratello?

Ora da adulti, siamo liberi di scegliere se rimanere irretiti nella nostra figliolanza con logica di una restituzione o accedere all’esercizio della nostra paternità, libera da smanie di controllo e da riconoscimenti ma ricca di un amore fecondo. Un delicato passaggio, entrare nella logica della bontà, intesa non come esercizio di atti volti a incontrare l’approvazione morale da parte dell’altro, ma sentirsi capaci di ri-fare contatto con quel primo abbraccio, con quella base sicura che ci ha accolti e voluti come eredi di amore incondizionato. Recuperare quella Gioia e quell’Abbraccio come elementi curativi, necessari per riconoscersi nell’unicità della nostra figliolanza e poter scegliere la paternità. 

di Rossella Barzotti