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Intervento del segretario di Stato all’Expo di Dubai

Promozione della coesistenza pacifica

 Promozione della coesistenza pacifica  QUO-065
21 marzo 2022

Il bisogno di pace è «particolarmente sentito nel contesto di molteplici conflitti in varie parti del mondo». In particolare, come «dimenticare la tragedia della guerra in Ucraina, che ha causato, sta ancora causando, tanta morte, distruzione e miseria!». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, intervenendo sabato 19 marzo all’Expo di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. L’esposizione universale avrebbe dovuto tenersi nel 2020, ma è stata posticipata a causa dalla pandemia di covid-19.

Il porporato ha ricordato il cinquantesimo anniversario della fondazione dello Stato emiratino; quindi a nome di Papa Francesco e a titolo personale ha espresso ogni buon augurio e la speranza che il popolo e tutti coloro che vivono e lavorano nel Paese siano benedetti con prosperità e pace. La Santa Sede, ha fatto notare il cardinale, è fermamente impegnata a promuovere «l’ideale della coesistenza pacifica tra diverse nazioni, culture e religioni», a livello sociale, educativo, diplomatico e religioso, affinché la concordia e l’armonia possano essere realmente realizzate per tutti i membri della famiglia umana.

Parolin ha approfondito alcuni dei valori alti e perenni che la Santa Sede condivide, a partire dalla presenza all’Expo, che è «essenzialmente simbolica e culturale, senza fini commerciali». Alla luce dell’ideale di convivenza pacifica, ha aggiunto, un contributo particolarmente prezioso è stato dato dall’Anno della tolleranza celebrato nel 2019, per iniziativa dello sceicco Khalīfa bin Zāyed Āl Nahyān, presidente degli Emirati Arabi Uniti. Lo scopo di questo Anno, ha ricordato il segretario di Stato, era di consolidare i valori di «tolleranza, dialogo, coesistenza e apertura alle diverse culture, in particolare tra i giovani». Questa lungimirante iniziativa, promossa a vari livelli, comunitario, educativo, culturale, legislativo, mediatico, può «diventare un modello anche per altre nazioni».

Prima della proclamazione dell’Anno della tolleranza, ha fatto notare il cardinale, il presidente emiratino ha compiuto «il gesto simbolico molto apprezzato di cambiare il nome della moschea di Al Mushrif, dedicandola a Maria, Madre di Gesù (Mariam, Umm Eisa)». Questo è stato «un segno di straordinaria apertura e generosità verso le comunità cristiane e, allo stesso tempo, un’indicazione dello spirito di dialogo che ci unisce».

In effetti, ha detto ancora, ogni coesistenza pacifica è preceduta da, e fondata su, «l’impegno a condividere». Ciò è impossibile senza «un atteggiamento di base di dialogo». Le religioni e le loro istituzioni «possono e devono assumere la missione di essere catalizzatori nel processo vitale di sensibilizzazione e di formazione delle coscienze».

Il nostro Padiglione della Santa Sede ricorda «questa feconda capacità di dialogo, di incontro e di amicizia attraverso due eventi storici e le personalità coinvolte in essi». Il segretario di Stato ha ricordato le figure di san Francesco d’Assisi e del sultano al-Malik al-Kāmil che nel 1219 «misero da parte le loro differenze per entrare in dialogo». Dall’altro lato, ha anche ricordato l’incontro tra Papa Francesco e il Grande imam di Al-Azhar, che il 4 febbraio 2019, proprio ad Abu Dhabi, hanno firmato il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Si è trattato di «un appello profetico, che invita tutti i popoli a impegnarsi in un dialogo che vada oltre la semplice tolleranza», in un dialogo che stabilisca «sentimenti e relazioni di rispetto reciproco e di vera fraternità».

Si vedono chiaramente, ha fatto notare il segretario di Stato, i frutti di questo appello nell’istituzione del Comitato Superiore per la Fratellanza Umana, presieduto dal cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, e nell’iniziativa di costruire la Casa famiglia Abramo. Infine, tra i valori che «possono permettere la convergenza più significativa», Parolin ha citato l’attenzione all’educazione. Si è infatti uniti «dalla consapevolezza del potere sociale e culturale dell’educazione, dall’infanzia fino ai più alti livelli accademici».