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«La gente ci chiama e ci dice: finché voi ci sarete a Kharkiv la speranza non morirà»

 «La gente ci chiama e ci dice: finché voi ci sarete  a Kharkiv la speranza non morirà»  QUO-052
04 marzo 2022

Ancora si può rispondere ad una chiamata WhatsApp, nell’inferno ucraino di Kharkiv. L’elettricità tiene, le connessioni internet pure. Ma tutt’intorno si vedono, a perdita d’occhio, palazzi distrutti, carcasse di auto devastate dalle esplosioni e cadaveri, tanti cadaveri.

«Mentre stavo facendo un giro per la città nel tentativo di capire cosa fosse accaduto, sono dovuto rientrare nel rifugio perché hanno ricominciato a sparare»: sillaba lentamente al telefono don Grygoriy Semenkov, cancelliere della diocesi latina di Kharkiv-Zaporižžja. La sua, poteva essere una missione fatale, lo sa bene: «La situazione è pericolosissima. Gli allarmi anti-aereo suonano in ogni momento. La chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca è stata in parte distrutta».

Anche se gli scontri armati si consumano ad una manciata di chilometri da lì, su Kharkiv i bombardamenti non hanno mai conosciuto tregua. La città, seconda per popolazione dopo Kiev, dista poco meno di 70 chilometri dal confine russo e forse proprio per questo è uno dei centri urbani più coinvolti dal conflitto. La voce di don Semenkov si fa sempre più drammatica quando racconta le atrocità che i suoi occhi non hanno potuto non vedere. Come quell’esplosione che, l’altro ieri, ha investito la curia vescovile: «Un missile ha centrato la caserma di polizia, che si trova a cinquecento metri da noi, e la potenza dell’onda d’urto ha investito la nostra cattedrale: un ufficio della curia è stato completamente distrutto. Fortunatamente, non ci sono state vittime». La gente che può, scappa: gli basta una piccola sospensione dei bombardamenti per cercare di uscire dalla città, utilizzando qualsiasi mezzo. «Con i miei occhi — spiega il cancelliere — ho visto anche dei bambini venir fuori da un palazzo ed essere portati via da un autobus. È terribile vedere fuggire tanta gente».

Anche molti religiosi e religiose stanno lasciando Kharkiv, ma non stanno scappando: accompagnano i propri fedeli, spesso donne e minori, verso la salvezza, in un viaggio che di sicuro ha poco o niente, e forse potrebbe essere anche l’ultimo. «Il direttore della Caritas locale è andato via insieme a quaranta rifugiati che erano stati ospitati in curia mentre il vescovo ha chiesto alle suore di tre case d’accoglienza di spostarsi lontano, in un posto meno pericoloso» afferma don Semenkov.

A Kharkiv, anche celebrare la messa sta diventando quasi impossibile. «L’altra sera – rivela il cancelliere — non potevamo fare la celebrazione eucaristica dalle camere della cattedrale e trasmetterla via social perché c’erano i bombardamenti. Ma ci riproveremo. Io, però, non me ne andrò. E anche il vescovo ha deciso di rimanere. La gente ci chiama e ci dice: finché voi ci sarete, a Kharkiv la speranza non morirà».

di Federico Piana