· Città del Vaticano ·

Lettere dal Direttore

Lucio Dalla: l’allegria
e lo stupore

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01 marzo 2022

Sono dieci anni che Lucio Dalla, con il suo sorriso, manca a questa terra. Tanto. Si potrebbero dire molte parole sul suo spirito libero, leggero, un po’ folle... ma proprio perché Dalla era tutto questo non avrebbe apprezzato un ennesimo panegirico, per quanto preciso e affettuoso. Troppe parole. E allora usiamone poche e soprattutto usiamo le sue, sono così belle. Prendiamo l’incipit di due canzoni tratte dallo stesso album, Dalla, del settembre del 1980 (il terzo di quella trilogia magica iniziata nel 1977 con Com’è profondo il mare e continuata con Lucio Dalla del 1979). Il primo è tratto da La sera dei miracoli e dice semplicemente così: «È la sera dei miracoli, fa’ attenzione». Il secondo è preso da Cara, una delle sue più belle canzoni di sempre e dice, ancora più semplicemente: «Cosa ho davanti, non riesco più a parlare». Dicono entrambi la stessa cosa: lo stupore. In Cara l’autore si trova di fronte alla donna che ama, a questa realtà materiale (cosa), a questo “fenomeno” che lo ammutolisce, come si trovasse sulla soglia del mistero. Nell’altra canzone passiamo dal mistero alla stanza a fianco, quella del miracolo. Dalla ci guida «nei vicoli di Roma» e sembra suggerirci che ogni sera è «la sera dei miracoli», però a una condizione: che tu faccia attenzione. Ecco allora chi è Lucio Dalla (e ogni artista che si rispetti): uno che fa attenzione. Uno che ha messo in pratica le “istruzioni per vivere la vita” che impartiva nell’omonima lirica la poetessa americana Mary Oliver, altro spirito libero, leggero e un po’ folle, scomparsa tre anni fa: «Fa’ attenzione / stupisciti / raccontalo». Pochi hanno saputo raccontare lo stupore che scaturisce dall’impatto con la realtà come Dalla. Quest’arte del “fare attenzione”, che per Simone Weil era l’anticamera della preghiera, Dalla l’ha praticata con la serietà con cui i bambini giocano. In quello stesso album del 1980 c’è una canzone, musicalmente irresistibile, tra le più serie e divertenti del suo repertorio, Siamo dei, in cui rivendica «di giocare con la vita e di prenderla per la coda / tanto un giorno dovrà finire» e ci dice tre cose: che c’è qualcosa di divino in noi («siamo dei»), che l’eterno irrompe nella vita («è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto / dalla gente che ho amato») e soprattutto, e questo è un verso che Papa Francesco con altre parole ha ripetuto più volte nella sua predicazione, che «Se possiamo guardarci in faccia / Vuol dire che siamo ancora vivi». La vita di Dalla, un giorno, dieci anni fa, è finita, ma lui che ha sempre sostenuto che questo sulla terra è solo il “primo tempo”, continua a guardarci in faccia e, da buon amico, a dirci la verità, sempre sorridendo.