· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Ebraismo

L’unico Santuario
mai distrutto

 L’unico Santuario  mai distrutto  DCM-004
02 aprile 2022

Il matrimonio è amore, piacere e progetto (quindi progenie)


Il mio rabbino preferito ricorda sempre che la parola ebraica per matrimonio è qiddushin, ovvero santificazione. Il popolo del patto non può che normare le nozze con un patto di ferro: la ketubah. Un contratto in cui il marito si impegna a garantire il futuro della moglie, compresa una dote in caso di morte o divorzio. Un documento così importante che la stessa Torah è simbolicamente la ketubah del matrimonio tra Dio e il popolo d’Israele. Il ruolo della moglie è centrale. La liturgia familiare, i precetti alimentari e l’osservanza delle regole, per gli ebrei non meno rilevante della liturgia sinagogale, è in buona parte affidata a lei. Mentre il marito è obbligato allo studio della Bibbia e all’osservanza di tutte e 613 le mizvot, ovvero i precetti, la moglie è esentata dalle mizvot positive del “fare” che dipendono dal tempo. Tra ciclo e gravidanze, dal tempo è già scandita e il tempo lo contiene. La circoncisione, segno tangibile del patto di Abramo con l’Eterno, riguarda i maschi, le femmine di quel segno non hanno bisogno perché dell’identità sono portatrici: sei ebreo, se figlio di madre ebrea.

Basta leggere il Cantico dei Cantici per capire che per gli ebrei il matrimonio è patto ma anche piacere. L’ebraismo non è sessuofobico e forse solo in questa religione esiste un esplicito obbligo che promuove l’intimità della coppia, l’onah, secondo il quale per il marito è un precetto soddisfarla sessualmente ogni volta che segnala il suo desiderio, anche quando è incinta, infeconda e dopo la menopausa. E se l’infertilità della moglie può essere motivo di divorzio, lo è anche l’incapacità del marito a soddisfarla. Il Talmud dice che «Dio conta le lacrime delle donne», perciò meglio farla felice...

Per la religione ebraica il matrimonio è dunque amore, piacere e progetto. Quindi progenie. Il sostantivo “figlio” infatti è ben dalla radice del verbo banà che significa costruire.

Dopo la distruzione del Tempio, nei secoli della Diaspora, senza patria, senza gerarchia sacerdotale, in balia di discriminazioni e massacri, il popolo ebraico conserva la sua identità grazie al Libro, la Bibbia, e grazie alla famiglia, centro della trasmissione di precetti e valori.

Senza più il Tempio, la famiglia ne prende il posto e il padre e la madre diventano i sacerdoti di una liturgia quotidiana che, Shabbath dopo Shabbath, festività dopo festività, trasforma il nodo degli affetti in identità, conoscenza, e garanzia di sopravvivenza.

La famiglia è l’unico Santuario mai distrutto.

di CINZIA LEONE
Scrittrice