Pubblichiamo l’intervento pronunciato dal cardinale Archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa a conclusione della tavola rotonda - svoltasi nel pomeriggio del 21 febbraio presso il Pontificio Collegio teutonico in Vaticano - dal titolo «Il cardinale Eugène Tisserant. Orientalista, Pastore, “Giusto tra le nazioni”, 24 marzo 1884 - 21 febbraio 1972». L’incontro si è svolto su iniziativa del Pontificio Comitato di scienze storiche in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del porporato francese.
Sono grato agli organizzatori e a tutti gli intervenuti a questa tavola rotonda per aver recato luce sulla figura e sull’opera di Eugène Tisserant. Il mio ringraziamento è anche a nome della Biblioteca apostolica e dell’Archivio apostolico, che lo ebbero come cardinale archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa dal 1957 al 1971, e in particolare a nome della Biblioteca, in cui era entrato come scriptor nel 1908, assumendo poi l’incarico di pro-prefetto, accanto al prefetto Giovanni Mercati, dal 1930 al 1936. In Biblioteca, come è stato ben illustrato anche negli interventi di questa tavola rotonda, a buon diritto egli può essere considerato, con Franz Ehrle e Giovanni Mercati, uno dei tre giganti del Novecento, forse il migliore bibliotecario, nel senso tecnico e moderno del termine, che la Biblioteca apostolica abbia avuto in quel secolo.
In questo mio intervento a conclusione di questa tavola rotonda, desidero cogliere la figura di Eugène Tisserant sotto una chiave di lettura che attraversi i lunghi anni della sua vita. Se lo ascoltiamo esprimere da bambino i suoi desideri e le sue prospettive — come da adulto amerà rievocare — ci dirà che avrebbe voluto arruolarsi «dans le Régiment des généraux». Non è difficile riconoscere in lui, per le sue origini da una terra di frontiera qual è la Lorena, «quella sua risolutezza senza mezze tinte e quel tratto quasi militaresco, che gli furono spontanei», come ricorda Nello Vian, che gli fu giovane collega in Vaticana. Come sappiamo, seguì poi la vocazione sacerdotale, ricevendo l’ordinazione nel 1907. Entrato nella Biblioteca Vaticana, la sua dedizione all’istituzione fu da subito piena e senza ripensamenti (e sappiamo il molto che gli costò lasciare la Biblioteca nel 1936 per divenire cardinale segretario della Congregazione per la Chiesa orientale). Nel 1913, quando era in Biblioteca da pochi anni, rinunciò alla cattedra di orientalistica che l’Institut Catholique gli offriva e che era stata del suo maestro François Martin. Achille Ratti, allora vice prefetto della Vaticana, grato per questo suo gesto di lealtà, gli scrisse espressioni che rivelano il ruolo che Tisserant, non ancora quarantenne, già rivestiva nella vita dell’istituto: «Senza di lei saremmo rimasti come un uomo al quale venga tagliato un braccio, proprio quando più ne sentiva il bisogno e ne godeva il beneficio; senza dire della cara compagnia e conversazione che tutti quanti avremmo perduto». Ratti, per gentilezza ma — possiamo affermare — anche con sincerità, caratterizza il giovane scriptor Tisserant come una persona di cui si sente il bisogno e di cui si desidera godere il beneficio, l’aiuto, il sostegno.
Vorrei iniziare da quanto ci attesta Giorgio Levi Della Vida, che venne a lavorare in Vaticana quando nel 1931, avendo rifiutato di prestare il giuramento richiesto dal regime ai professori universitari, perse la cattedra. Ritraendo Tisserant in modo vivo, efficace e altrettanto veritiero, lo descrive come «meno versatile ma più intelligente di Mercati» e ci segnala che «alle qualità di scienziato egli univa quelle di uomo d’azione […] e aveva anche alquanta ambizione, mentre Mercati ne era interamente privo». Era inoltre «lavoratore di forza, metodicità e tenacia formidabili, molto esigente dai suoi subordinati, di umore variabile e spesso burbero e fin maleducato». Nel dicembre 1958 Paul Canart, giunto da poco più di un anno in Vaticano, riferendo ai suoi genitori di quel che aveva saputo del conclave che qualche mese prima aveva eletto Giovanni xxiii, scriveva: «Pour revenir à Tisserant, il eut l’occasion de démontrer son caractère autoritaire, admonestant les cardinaux qui bavardaient [chiacchieravano!] trop au sortir des scrutins». Levi Della Vida assicura, inoltre, che Tisserant era «eccellente organizzatore e direttore», permettendosi a questo proposito una chiosa quanto mai eloquente: «Dopo che ebbe lasciato la biblioteca le cose non sono più andate così bene». Eccoci a un primo importante indizio su di lui: Tisserant era quindi uomo-chiave di un’istituzione, capace di sostenerla, condurla e guidarla nei suoi vari aspetti, e di salvarla da ogni possibile confusione o approssimatezza.
Precisamente questa parola — salvare, salvataggio — vorrei proporre come espressione sintetica di questa mia conclusione. Del resto, sappiamo quanto operò per ammodernare la catalogazione della Biblioteca, nei contatti che creò con le biblioteche statunitensi (donde l’appellativo di “americano”) e con il Carnegie Endowment: la modernizzazione della Vaticana, dopo Franz Ehrle, passa effettivamente attraverso Tisserant. E non è difficile rilevare, più in generale, il compito che gli venne affidato, quando fu nominato pro-prefetto accanto al prefetto Mercati, notoriamente meno portato alla gestione pratica delle cose. Anche Pio xi, che doveva conoscere bene Mercati durante i grandi lavori intrapresi in Biblioteca vaticana fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, si raccomandava — come è stato tramandato — di «non dir nulla a don Giovanni», desiderando che se ne occupasse il più “moderno” e “pratico” Tisserant. Al di là delle sfumature sempre necessarie nel descrivere questi aspetti e senza dover qui precisare le prevedibili ed effettive fatiche che dovettero reciprocamente affrontare prefetto e pro-prefetto, resta indubbio che Tisserant sostenne Mercati nella conduzione della Biblioteca, “salvandolo” dalle molte incombenze e responsabilità che egli si assunse in prima persona.
La già citata descrizione di Levi Della Vida proseguiva ricordando che Tisserant «aveva un giudizio sicuro degli uomini ed era, anzi è, capace di una bontà tanto maggiore quanto meno ostentata». Introduceva, a questo punto, una testimonianza personale: «Con me è stato molto buono». Fra l’altro, infatti, gli aveva «aumentato spontaneamente il non lauto stipendio», gli aveva «concesso, o anzi [l’aveva] costretto a prendere un mese di vacanza pagato che non gli spettava», e aveva «accolto paternamente la mamma» durante la sua assenza; infine, gli aveva scritto «parole commoventi» quando ella morì. L’aiuto a Levi Della Vida è un episodio fra i tanti a sostegno, a “salvezza”, delle persone emarginate per motivi politici e “ostracizzate” dal regime fascista per le loro radici ebraiche: sappiamo quanto Mercati si sia prodigato in questa linea, ma riconosciamo che Tisserant proseguì con altrettanto impegno in quest’opera di grande umanità.
Nella descrizione di Levi Della Vida troviamo rimarcata anche un’attenzione premurosa di Tisserant per la persona stessa dello studioso e della sua mamma. A questo proposito ricorda un aspetto di grande delicatezza: la mamma «fece delle confidenze», in merito al figlio, a Tisserant, e questi «avrebbe molto desiderato» condurre il figlio alla fede cristiana ma — confida quest’ultimo con evidente riconoscenza per il rispetto che gli fu riservato —‒ Tisserant non gliene «parlò mai direttamente».
Da orientalista, infine, Tisserant non solo contribuì con i suoi studi ad approfondire la conoscenza di quelle tematiche, in particolare riguardo alle Chiese orientali, ma fece personalmente alcuni viaggi in Oriente (in particolare nel 1923 con Cyril Korolevskij nei Balcani e in Medio oriente e poi nuovamente nel 1926), contribuendo anche all’acquisizione di fondi stampati e manoscritti: si deve a lui, in particolare, l’acquisto dei codici Sbath, giunti in Vaticana nel 1927. Anche per questa sua attività potremmo parlare di “salvataggio” di un’importante collezione e di altri importanti beni librari.
Dalla personalità di Eugène Tisserant, nei suoi compiti in Biblioteca e in Archivio ma anche negli altri incarichi ricevuti nella sua lunga vita, abbiamo imparato molto: dalla sua dedizione, dalla sua operosità di lavoratore senza posa, dalla sua competenza che spaziava negli ambiti più svariati, dalle relazioni che seppe fruttuosamente intrecciare con l’Oriente e con l’Occidente (non per nulla il suo stemma cardinalizio reca la scritta Ab Oriente et Occidente, Matteo, 8, 11, un versetto che ricorda l’accorrere di molti dall’Oriente e dall’Occidente a sedersi insieme a mensa!), e certamente dalla sua religiosità «semplice e schietta, che non si peritava di esternare», come scrisse di lui Nello Vian. Recentemente, nella monografia dedicata, La vie spirituelle du cardinal Eugène Tisserant pubblicata nel 2009 da Hervé Gaignard, troviamo, nel sottotitolo Entre perfection et sainteté e, sulla copertina del volume, Le cardinal Tisserant à l'école de saint François de Sales. Impariamo quindi molto, e non solo per quel modernizzare che lo ha caratterizzato in molte sue imprese e per quell’aggettivo di “moderno” con cui lo definiva Pio xi . È un lascito, che diventa responsabilità per il futuro e che vorremmo conservare con gratitudine, come troviamo in un’espressione di Tommaso d’Aquino, posta da Nello Vian a modo di dedica in un suo scritto su Eugène Tisserant, che vorrei fare anche nostra: Obligatio gratitudinis interminabilis est.
di José Tolentino
de Mendonça