· Città del Vaticano ·

La buona Notizia Il Vangelo della vii domenica del Tempo ordinario (Luca 6, 27-38)

Una nuova possibilità

15 febbraio 2022

L’evangelista Luca scrive «a voi che ascoltate…»; per ascoltare è necessario fermarsi, fare silenzio e stare (rimanere). Gesù è decisamente diretto e pragmatico, propone azioni, “amare, fare del bene, benedire, pregare”, propone una sorta di programma che richiede un impegno, una attivazione, un moto di uscita da noi stessi. Ma il punto nodale su cui Gesù ci ferma e ci sprona all’ascolto ha le vesti di una reale sfida: “riuscire a restituire del bene” a chi ci “rimanda del male”. È realmente un atto eroico!

Come donare amore a chi ci minaccia, a chi ci disgusta, a chi ci fa del male? Come si fa a non rispondere ad offesa con offesa? Come faccio a pensare che l’altro che mi perseguita possa diventare la mia esperienza di preghiera quotidiana? Lo schema usuale utilizzato dall’uomo, di fronte a una minaccia alla sua vita, è l’attacco o la rassegnazione. La psicologia afferma che il principale nemico nell’uomo è il suo desiderio di potere e di vendetta e che è sempre forte la resistenza a rinunciare a tale desiderio. Ma la strategia cognitiva e non emotiva di Gesù ha una logica diversa, che non si limita alla proposta più facile (dare amore a chi ci ama e ci gratifica) ma spinge a un eroismo, a valicare quel desiderio primario di affermazione di sé sull’altro con l’arma più disarmante e al contempo più potente: amare ciò che non è amabile, anzi amare ciò che ci minaccia.

Jung afferma: «molto spesso è la conformità alle norme che soppianta il cambiamento spirituale» e il cambiamento comporta una perdita alle conformità e porta in sé qualcosa di combattivo avendo la necessità di opporsi a qualcosa. Ma la via proposta esige un nostro cambiamento che può avvenire solo quando siamo disposti a mettere mano alle nostre miserie e a confonderci con la miseria dell’altro.

Sembra che Gesù ci venga incontro e voglia portarci proprio lì dove ci sentiamo più in difficoltà, tra i nostri pezzi frantumati, dentro la nostra rabbia, dentro le nostre incoerenze. A molti di noi il concetto di sopportazione affascina tanto, spesso ci piace quasi ostentarlo e utilizzarlo come mezzo riparativo verso chi ci ha procurato del male. Ma la via della sopportazione dimostra che si è ancora invischiati nella lotta per l’affermazione del nostro potere.

Ma allora come uscire da questo impasse costante tra attaccare o sopportare? Per una sanità mentale è bene controllare la rabbia? Psicologicamente quando vogliamo controllare qualcosa non siamo mai liberi, tanto più quando vogliamo controllare la rabbia, significa che siamo subordinati a questa emozione e che ancora stiamo sopportando; Gesù conosce bene la nostra fattura, l’ha incarnata come noi, ha sentito su di sé la fatica e i limiti della creaturalità, ma nel suo essere il Figlio di Dio ci ha indicato una postura libera e priva di ogni desiderio di potere. Un intreccio meraviglioso tra la misericordia di Dio e la nostra finitudine può dar vita ad un atto di tenerezza verso chi ci attacca e appare diverso da noi. Non dobbiamo pretendere una mutazione totale e assoluta di noi stessi, che annulli tutte le nostre ferite nevrotiche e ci renda perfetti; l’uomo resta sempre quello di prima nella sua finitudine ma solo un movimento del cuore ci permette di “restituire all’altro se stesso” dando a noi stessi e a lui una nuova possibilità: la bellezza finalmente di poter essere amato tanto da non aver bisogno di attaccare l’altro per nascondere con tenacia la paura di non essere degni di amabilità.

di Rossella Barzotti