Provocato dalle parole del Papa che nell’intervista del 13 gennaio scorso su questo giornale ha parlato di eroismo quotidiano dei genitori, Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, non si è tirato indietro e ha voluto riflettere su questo tema cruciale legato a doppio filo con l’inverno demografico, che è «veramente la nuova questione sociale», un’urgenza non più procrastinabile. E lo ha fatto partendo non solo dal suo ruolo istituzionale ma anche dalla sua personale esperienza.
«Non posso che essere d’accordo — ci dice — con le parole del Santo Padre sull’eroismo quotidiano dei genitori e mi permetto di aggiungere: oggi chi fa un figlio è considerato un eroe, mentre invece sta semplicemente dicendo che vale la pena esserci. Che il mondo non è poi un brutto posto per nascere. Che benché le difficoltà siano tante vale la pena dare la vita. Essere genitori è un’avventura sfidante e, nonostante la complessità del tempo attuale, fare famiglia è la scelta più bella che si possa fare. Se mi sono sposato e con mia moglie abbiamo messo al mondo non uno, ma ben cinque figli non l’ho fatto perché me lo hanno detto in parrocchia o per fare felici i miei genitori, ma perché incontrando altre famiglie ho toccato con mano che era bello. A dire il vero io sono un convertito alla famiglia: non avrei mai immaginato di vivere quello che sto vivendo. I miei sogni adolescenziali erano infinitamente più meschini, più semplici, ma non così belli! C’è una bellezza della vita familiare che dobbiamo tornare a raccontare. Una bellezza che certe volte non è immediata, ma va cercata nelle pieghe delle fragilità».
Lei è papà di cinque figli. Quale contributo di testimonianza può dare oggi alla società l’essere padri e padri cristiani?
Mamma mia, cinque figli… non ci posso credere. Non mi ci abituerò mai: il Signore ha chiesto a me e a mia moglie, come a tutti gli sposi del mondo, di cooperare alla creazione con lui. Una responsabilità non da poco. Un atto di amore a cui ci chiede ogni giorno di partecipare. Se solo ce ne rendessimo conto ci tremerebbero i polsi. E nel matrimonio ho scoperto che oltre ad essere co-creatori, il Signore ci vuole anche co-redentori. Lo abbiamo sperimentato durante il lockdown, dopo una litigata feroce davanti ai figli. Tutto sembrava irrimediabilmente compromesso. Erano volate parole troppo brutte e troppo grandi per riuscire a tornare indietro. E invece, proprio in quel momento così basso per la nostra famiglia ci siamo resi conto che potevamo disobbedire ad un finale triste. Che siamo uomini e donne del terzo giorno e che oltre ad essere co-creatori possiamo essere co-redentori perdonandoci nelle nostre mancanze. Vedendo il sepolcro vuoto quando tutto sembra ormai finito. Accogliendo le nostre povertà quando tutto è compromesso. Testimoniando concretamente ai nostri figli che la fede cambia la vita.
Il Papa, nella lettera «Patris corde», indica in san Giuseppe un modello di paternità... cosa ha da insegnare san Giuseppe ai genitori di oggi?
Tanto. Per prima cosa che a volte non ti è richiesto di essere il deus ex machina delle situazioni complicate, il risolutore dei problemi dei figli, il protagonista della loro vita, ma che devi solo e semplicemente starci. Alcune volte mettendo da parte i propri progetti. Poi che la paternità non è una maternità con un nome diverso, ma un’occasione educativa immensa. Perché un padre serve a mostrarti che la vita è complicata, ma bella. Difficile, ma imperdibile. Di fatto sono due braccia a cui tornare sempre.
Papa Francesco ha di recente lanciato un grido di allarme rispetto all’inverno demografico dell’Italia e dell’Europa... come ha accolto questo appello?
Non è il suo primo appello, lo dimostra anche la presenza alla prima edizione degli Stati Generali della natalità dello scorso maggio. La demografia alla fine ha a che fare con la speranza, per questo è più importante di quanto immaginiamo. Non è solo questione di sostenibilità, di pensioni, di welfare, ma di felicità. La cosa più triste è la sensazione di essersi rassegnati ad una vita mediocre. Con il Forum delle famiglie, negli ultimi anni, ho girato l’Italia in lungo e in largo e la cosa più triste è stata incontrare persone «pessimiste, scontente, disincantate dalla faccia scura» (come direbbe Papa Francesco nell’Evangelium gaudium). Credenti che non ci credono più. Che hanno già perso. Che hanno smesso di provarci. Ecco, la natalità ha a che fare anche con questo atteggiamento. Per questo è più importante di quanto si immagini ed è veramente la nuova questione sociale.
Dove sono le cause secondo lei di questo calo demografico? E quali i rimedi?
A mio modo di vedere l’errore più grande è quello di leggere un fenomeno di tale portata con l’occhialetto ideologico. Da una parte ci sono quelli che danno la colpa solo ai problemi economici, dall’altra quelli che credono sia solo un fenomeno culturale. Inevitabilmente un ambito influenza anche l’altro. Economia e cultura sono collegate. Ma fino a quando in Italia una delle prime cause di povertà sarà la nascita di un figlio, non andiamo lontano. Prima togliamo questo limite, aiutiamo i giovani a realizzare i loro sogni e automaticamente avremo più bambini. Sui rimedi ne serve solo uno: avere voglia di cambiare rotta seriamente. La sensazione è che non abbiamo capito la portata di un cambiamento di questo tipo. È come se ci fosse stato un terremoto che ha pregiudicato le fondamenta della casa, ma noi non vedendo nell’immediato le crepe sul muro pensiamo che si possa andare avanti lo stesso. Non è così: le fondamenta sono compromesse. Per questo dico: facciamo bene l’assegno unico, mettiamoci le risorse necessarie senza se e senza ma. Utilizziamo le risorse del Pnrr anche per far ripartire la natalità: che senso ha parlare di sostenibilità ambientale se non stiamo attenti anche alla sostenibilità intergenerazionale?
di Andrea Monda