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Zona franca
La teologia “ancilla” di tutte le scienze/1

Nuove frontiere

 Nuove frontiere  QUO-027
03 febbraio 2022

Il dibattito sulla “rifondazione della teologia”, promosso su queste pagine dal vescovo Paglia, suscita importanti riflessioni sul piano del metodo, anzitutto. La teologia (cattolica) è da sempre impegnata a mediare culturalmente il vero volto di Dio, rivelato da Gesù Cristo e deve continuare a farlo con competenza critica, con un esercizio sapiente della ragione critica, a fronte del continuo insorgere di possibili deformazioni idolatriche del concetto di Dio e delle sue plurali immagini. Se tuttavia si discorre di “rifondazione” è possibile che si paventi il rischio per la teologia di aver fatto troppo perno su altri fondamenti che non siano direttamente la Rivelazione cristiana e il suo sviluppo dogmatico nella tradizione della Chiesa, per il bisogno — ovviamente incontestabile — di “filosofare in teologia”. Così è stato, felicemente, nei secoli d’oro dell’integrazione del neoplatonismo (con Agostino) e dell’aristotelismo (con Tommaso). Questo schema (prezioso) ha come prodotto un “fantasma inconscio” — per dirla nei termini con cui Recalcati reinterpreta la lezione del suo maestro Lacan — che eterodirige il desiderio di ogni buon teologo: quello di cercare una filosofia soddisfacente da “utilizzare” come infrastruttura concettuale per il proprio brillante lavoro teologico. D’altra parte non è la filosofia “ancilla” della teologia?

Ecco allora la domanda posta con schiettezza e semplicità: la rifondazione auspicata non dovrebbe passare se (e solo se) la teologia diventa “ancilla” della filosofia e di tutti gli altri saperi?

La “teologia ancilla” è una immagine del tutto tradizionale a pensarci bene. Per comprenderla bisogna però guardare con “occhi nuovi” all’incontro storico della teologia con la filosofia. Crediamo fermamente che la Fides et ratio di san Giovanni Paolo ii dischiuda prospettive futuristiche in questa direzione, che attendono d’essere sviluppate e vissute per una praticabile rifondazione della teologia, oggi. Occorre dunque rifondare la filosofia “utilizzando” il sapere della fede cattolica, perché questa filosofia possa poi essere utile non tanto alla spiegazione del mistero cristiano, ma piuttosto a togliere “gli assurdi” che il linguaggio della fede spesso rappresenta alla ragione critica dei propri interlocutori. Certo, in questo tentativo, la filosofia resta “ancilla”. Se ci si potesse svegliare da certo dogmatismo neoscolastico, si dovrebbe osservare che san Tommaso fece la stessa cosa: introducendo il “principio di creazione dal nulla” (un dato della tradizione di fede ebraico-cristiana) rifece da cima a fondo la metafisica aristotelica. Anche Ernesto Bonaiuti osservò come san Tommaso stravolse del tutto l’“atto puro” di Aristotele attribuendo a Dio onniscienza e onnipotenza (dotando Dio di infinità e di ubiquità): attributi che lo Stagirita non poteva immaginare e che invece la Rivelazione illuminava. A volte viene da pensare che alcuni buoni intellettuali cattolici siano stati pregiudizialmente “messi da parte” (quando non condannati) per certa acritica assunzione dell’aristotelismo di Aristotele che non dell’aristotelismo di Tommaso.

Se la teologia è «obbediente ancilla della fede e della Rivelazione cristiana», allora — in quanto «sapere critico della Rivelazione e della fede cristiana» — può “da sé” entrare in dialogo con tutti i saperi dello scibile umano, nella comune ricerca della verità: donando e ricevendo da tutti i saperi, compresi quelle delle plurali filosofie, oggi in campo. Dignitosamente potrà anche interagire con tutte le scienze, senza necessarie (e a volta ingombranti) mediazioni concettuali del passato e del presente, mostrando di saper usare la ratio intrinseca alla fede per comunicare la sua visione del mondo e della realtà (la sua Weltanschauung, direbbe Romano Guardini). Oltre a Rosmini, Fides et ratio menziona Pavel Florenskij come modello di “pensatore” capace di far funzionare il dato della fede per aprire orizzonti di comprensione e di ricerca della ragione, piuttosto che contrastarla o limitarla: la fede potenzia la ragione. Si tratta qui di un filosofo, teologo, ma anche di uno scienziato dell’elettromagnetismo, con scoperte scientifiche originali, all’epoca, agli inizi del xx secolo.

Nuovi orizzonti di comprensione della realtà sono dischiusi oggi dalle scienze, in particolare dalla nuova fisica delle particelle elementari, intrecciata (entangled) con l’astrofisica che urge un ripensamento della vecchia cosmologia. Sono guadagni cognitivi che la teologia non può non ascoltare per dire oggi Dio e per l’annuncio del vangelo, all’altezza delle odierne sfide umane. In questa cornice, il pensiero teologico andrebbe interamente ripensato. La teologia fondamentale, soprattutto nel suo profilo apologetico, ha concentrato i suoi sforzi (a partire dall’insorgere delle filosofie materialistiche) sull’argomentata, quanto convincente, confutazione del pensiero non credente: ha privilegiato, nel dibattito, il campo filosofico, tralasciando o subordinando eccessivamente quello letterario, artistico e scientifico. Anche nei tempi più recenti, con il tramonto delle ideologie otto-novecentesche, la produzione teologica si è impegnata a respingere l’ultima spiaggia costituita dal pensiero post-moderno e relativista. Comunque sempre filosofie. Il Novecento, col suo lascito di ideologie fallite, appartiene ormai alla storia, e il pensiero debole è così debole da essere impercettibile.

Il fronte oggi aperto è piuttosto un altro: è quello della scienza. E non lo è solo in relazione ai circoli intellettuali non credenti, ma anche a un comune sentire, a causa della divulgazione scientista praticata con dovizia. Dalle neuroscienze, come dall’astrofisica, e ancor più oggi dalla meccanica quantistica, vengono consistenti opposizioni al pensiero credente, ma anche inaspettate opportunità. Le neuroscienze sfidano il concetto di psiche e di anima, l’astrofisica problematizza l’antropologia teologica, la quantistica ci interroga su materia, tempo e reale. Non pensiamo con Stephen Hawking che la filosofia sia morta, e che la vera metafisica risieda nella quantistica. È fuor di dubbio, però, che una ricerca teologica irriducibile a mera speculazione astratta, deve necessariamente misurarsi con questi diversi piani di confronto.

di Roberto Cetera
e Antonio Staglianò