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La buona Notizia Il Vangelo della v domenica del Tempo ordinario (Luca 5, 1-11)

La misura dell’oltre

 La misura dell’oltre  QUO-025
01 febbraio 2022

Il lago che fa da sfondo a questa scena evangelica sembra mosso da onde d’urto. È come se vi si sentisse l’eco di impercettibili suoni ad alta intensità, provenienti da parole nascoste. Tra queste parole una in particolare sembra ritornare con insistenza: oltre.

La si riconosce nello sguardo lungo di Gesù: i suoi occhi si spingono più avanti della folla che gli sta intorno e si posano su due barche sistemate sulla riva, ora vuote perché i pescatori sono scesi a lavare le reti. Gesù sale su una delle due. È la barca di Simone ed è a lui che Gesù chiede di rimetterla in acqua per poter insegnare dal mare. Un piccolo spostamento che poi si fa più impegnativo: «prendi il largo».

Anche la parola di Gesù si spinge dunque oltre e si trasforma in un coraggioso invito plurale: «gettate le reti per la pesca». Invito scomodo e inatteso per uomini stremati dopo una notte infruttuosa in mare, durante la quale non hanno preso nulla.

Su questa parola è Pietro a superare la stanchezza e la propria rassegnazione: si fida e fa bene, perché i pesci sono così tanti che rompono le reti e occorre chiamare quelli dell’altra barca. Però al contempo si spaventa per questo eccesso di cui non si sente degno. Da peccatore, sente il bisogno di ripristinare la distanza tra sé e quell’uomo dall’amore sconfinato. Gesù però è di nuovo oltre e guarisce quel sentimento di inadeguatezza dilatando ancora di più la sua promessa: sarete pescatori di umanità.

Per seguire Gesù, notiamo, le barche sono lasciate sulla spiaggia.

Viene qui in mente un libro della scrittrice Andrea Marcolongo, La misura eroica, un commento alla storia degli Argonauti. Argo è il nome di una nave diversa dalle altre perché, contrariamente alle ventinove di cui racconta Omero, è legata a un’impresa d’amore e non di guerra. In questo senso, scrive l’autrice, un tempo eravamo tutte e tutti Argonauti, quando per amore non avevamo paura di salpare, non ci lasciavamo addomesticare dalle raccomandazioni e non avremmo mai dato retta a chi scoraggiava i nostri sogni chiamandoli impossibili. Ora invece abbiamo il terrore dei viaggi, non viviamo più i porti come passaggi, ci resta incomprensibile la legge di Zeus secondo la quale il cammino dell’andata non può coincidere con quello del ritorno. Abbiamo conosciuto i naufragi della vita e della storia, abbiamo imparato che le navi sono vulnerabili e che è meglio tenerle al sicuro nei porti chiusi che paralizzano la politica, la religione, la cultura, gli affetti personali.

Ora occorre discernimento. A volte dovremmo fare come gli Argonauti che hanno attraversato il deserto portando la loro nave sulle spalle per dodici giorni, pur di salvarla: un gesto di gratitudine. Altre volte, invece, dovremmo avere il coraggio di abbandonare la nave ferita che mette in pericolo l’equipaggio: «lasciarla andare per lasciarsi andare alla vita che verrà», scrive Marcolongo ispirata da un libro del 1942, How to Abandon Ship.

È questo che hanno fatto i discepoli e le discepole di Gesù: hanno abbandonato le loro barche sulla spiaggia, per il forte desiderio di salpare verso il mare dell’umanità.

di Lucia Vantini