· Città del Vaticano ·

A colloquio con il vescovo McKeown

Oggi Derry è esempio
di solidarietà e dignità

29 gennaio 2022

Monsignor Donal McKeown, vescovo di Derry, aveva 21 anni al tempo del massacro di Bloody Sunday e viveva a Belfast. Oggi ricorda la violenza e il dolore, ma spiega anche come i fedeli repubblicani e unionisti dell’Irlanda del Nord negli ultimi anni abbiano sempre testimoniato che la guerra non serve, che le persone possono costruire insieme la pace e diventare comunità.

Come vive la diocesi di Derry questo anniversario?

Ci sarà un fine settimana di celebrazioni. Si comincia stasera con la celebrazione di una messa, come si è fatto in tutti questi anni, per i defunti, per tutti coloro che sono morti 50 anni fa, nella chiesa di St Mary, a a Creggan. Con me, vi saranno alcuni sacerdoti e anche il vescovo anglicano Andrew Forster, che vuole partecipare a questa celebrazione per stare in mezzo alle famiglie che celebrano la memoria del loro familiari. Ci saranno poi manifestazioni, rappresentazioni teatrali, e anche una celebrazione al monumento dedicato alle vittime, domenica mattina, alla presenza di politici e di rappresentanti delle chiese.

Con quale stato d’animo vi apprestate a vivere questo anniversario?

Con una grande dignità. Io sono stato per 36 anni a Belfast, sono qui a Derry da otto anni, ed è un privilegio stare in mezzo ad un popolo che ha sofferto tanto nel corso dei decenni, anzi dei secoli e che ha trovato, in mezzo a tanta sofferenza, una dignità e un senso di solidarietà l’uno con l’altro. Alla pubblicazione, 13 anni fa, del Rapporto Saville del governo britannico sulla Bloody Sunday, i capi delle Chiese protestanti incontrarono le famiglie per manifestare la loro gioia per l’innocenza dei loro familiari. I rapporti fra le Chiese in città sono positivi già da decenni, le Chiese insieme hanno cercato di costruire la pace.

Che significato assume alla luce della fede questo anniversario?

Si legge sempre anche nella Bibbia che il popolo di Dio sia stato sempre capace di guardare indietro, a periodi ed esperienze difficili, e trovare in mezzo alla sofferenza cenni della grazia di Dio. Le persone di fede possono guardare con compassione ai problemi del passato, con l’occhio della fede e trovare disegni della grazia, del coraggio umano, dello spirito umano, dell’amore di Dio, cercando sì la verità, ma cercando anche di creare un futuro pieno di speranza per i nostri giovani e non un futuro pieno di rammarico.

Lei ricorda dove era quella domenica del 1972?

Eravamo nel seminario a Belfast, eravamo una ventina di studenti all’università. Abbiamo sentito prima parlare di un morto, poi di tutti gli altri. Due giorni dopo ci fu uno sciopero all’università, siamo partiti in treno per andare ai funerali, il mercoledì della settimana dopo il massacro. Era un periodo forte per me, da 21enne quale ero, con un senso di idealismo. Volevamo stare con coloro che avevano sofferto quella domenica, cercare di costruire la pace.

A 25 anni circa dalla firma dell’accordo del Venerdì Santo, si può dire che il conflitto in Irlanda del Nord si è chiuso definitivamente?

Io sono sicuro che la guerra è finita, il conflitto rimane nel senso che non è un conflitto dentro l’Irlanda del Nord, piuttosto riguarda la questione se l’Irlanda del nord debba appartenere alla Gran Bretagna o alla Repubblica di Irlanda. Il conflitto continua, ma a livello politico e con modi pacifici e noi possiamo guardare verso il futuro con speranza e con gioia. Comunque sì, la guerra è finita, le Chiese specialmente hanno lavorato tanto per creare questi ponti, sono stati i creatori della pace e possiamo celebrare anche la grandezza di tanti che hanno creato la pace anche negli anni più difficili. Per loro rendiamo grazie a Dio.

di Francesca Sabatinelli
e Fabio Colagrande