· Città del Vaticano ·

Nel romanzo di Isabella Beccherucci

Manzoni giovane e patriota

 Manzoni giovane  e patriota  QUO-022
28 gennaio 2022

Il mistero di un manoscritto ritrovato, intorno alle vicende di Alessandro Manzoni giovane e patriota, è l’espediente, anche esso spudoratamente manzoniano, da cui parte e a cui si ritorna in Gli amici di Brusuglio di Isabella Becherucci (Roma, Perrone, 2021, pagine 374, euro 20).

La lettura è rapida, intensa, grazie a uno stile limpido, serrato, dentro l’alveo della piccola e della grande Storia; godibile su vari piani: se lo studioso può esercitare la propria memoria sulla biografia e sulla formazione culturale e politica di Manzoni, il lettore non specialista può gustare la tensione narrativa, le suggestioni di un intrigo con tanto di traditori, pentiti o imperterriti, sullo sfondo dei primi moti risorgimentali. Protagonisti un gruppo di giovani, dalla forte etica, da cui uscirà allo scoperto il talento dei uno dei massimi esponenti della letteratura universale.

La narrazione regala pagine di altissima umanità, sprofondando, come ogni racconto che possa rientrare nel novero dell’opera d’arte, negli archetipi letterari. In questo caso, soprattutto, il rapporto tra un padre, l’inflessibile giudice e consigliere imperiale austroungarico Antonio Salviotti (nato italiano, nei pressi di Trento, nel 1789 e morto nella stessa città nel 1866) e il figlio Scipio, ardente patriota che, appena morto il genitore, torna nella sua villa a Trento trovandovi quel manoscritto e leggendolo avidamente per tutta la notte.

E noi con Scipio leggiamo fino in fondo quell’insolito documento narrativo non firmato, rispettando le pause che si concede il protagonista della suggestiva cornice, mentre la figura del padre assume una fisionomia diversa a confronto con i personaggi della storia raccontata nel manoscritto. Perché ha voluto lasciare al figlio che non vedeva da decenni quel romanzo anonimo? E, soprattutto, chi lo ha scritto quali interessi poteva avere raccontando le vicende di Manzoni e degli amici che si riuniva nella villa di Brusuglio?

Non conviene dire altro della trama, avvolgente e nello stesso tempo puntuale nel ricostruire creativamente alcuni momenti della vita del grande Alessandro. Becherucci, divergendo da altri celebri libri ispirati all’autore dei Promessi sposi come La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg e soprattutto lo splendido Natale del 1833 di Mario Pomilio, non tenta di indagare troppo a fondo la psicologia manzoniana, la lascia scontrare con i fatti, gli incontri, i dialoghi con altri protagonisti, tra cui Silvio Pellico, Ermes Visconti, Tommaso Grossi, lo stesso Fauriel, con Giulia Beccaria, nel ruolo di infaticabile regista della vicende della villa di Brusuglio.

Becherucci, docente di Letteratura italiana all’Università europea di Roma, con decisi interessi di filologia maturati alla scuola fiorentina di Domenico De Robertis, è membro del Centro Nazionale di Studi Manzoniani, si occupa, in particolare, dell’Archivio privato di Manzoni di Villa Brusuglio. Senza questi materiali, senza una passione viscerale per lo scrittore che gli ha valso vari riconoscimenti per Imprimatur. Si stampi Manzoni (Marsilio 2020), questo romanzo non avrebbe visto la luce. Lo consigliamo specie ai giovani perché rappresenta, con la sua tensione emotiva e il ritmo di un giallo, un invito alla lettura formidabile alla vita e alle opere di un Manzoni attivo, umanissimo, perfino minacciato dalla polizia asburgica, attraverso la denuncia di tradimento ritrovata da Scipio insieme al manoscritto. Interessante leggere tra le righe il contesto di amicizie dove si sta formando un genio che surclasserà nella fama tutte quelle personalità, pure importanti, che hanno frequentato la sua casa. La sua fama, anche in vita, lo sappiamo, oscurerà i componenti di quel gruppo, confinandoli nella categoria dei minori, se non negli epigoni della letteratura. Ma quanto vigore in quegli incontri, in quelle cospirazioni, per il bene della nascente Italia.

In quel 1866 in cui Scipio Salvotti, legge il manoscritto tutto è già compiuto, così quelle pagine ci portano con profonda semplicità e arguzia nel laboratorio degli scritti del Manzoni, da Urania fino all’Adelchi, con il ruolo particolare che assumono Marzo 1821 e Il Cinque Maggio.

Non altrimenti emergono nella storia, con la figura di un traditore i cui contorni restano sfocati per lungo tempo a cui si devono gli arresti di tanti patrioti vicini al Manzoni, le riflessioni sul male nel mondo e sulla giustizia, centrali nel romanzo e nella Storia della colonna infame.

Tuttavia, come sottolinea Becherucci, il romanzo si chiude idealmente, nonostante tanti arresti e le minacce, con la volontà di organizzare una festa, con una scena finale, ben congegnata. Insomma, un clima in cui non si smette di guardare alla Provvidenza, non in astratto, ma nella concretezza di incontri e di amicizie, di cui, oltre a Manzoni, gode innanzitutto Scipio, il vero, silenzioso, protagonista del romanzo. E quando, nello stupendo intermezzo, alza gli occhi dal manoscritto per riflettere nel cuore della notte, sull’atteggiamento del padre rispetto al grande poeta patriota, sembra illustrare, per Becherucci, le motivazioni profonde di questo libro: «Non c’era dubbio che il Manzoni attraverso quelle pagine piene di affetto lo avesse chiamato a un confronto, sempre più avvincente a mano a mano che venivano a galla i nodi principali della sua biografia (...). Era stata veramente la passione della sua vita quell’inesausta ricerca della verità affrontata con le lenti della giurisprudenza, o forse c’erano altre risorse più raffinate per rappresentare il problema della giustizia umana? (...) i Promessi sposi, che allora non esistevano, erano adesso la più grande risposta alla inquietudine dell’uomo di fronte al mistero del male».

di Fabio Pierangeli