· Città del Vaticano ·

Nel Giorno della memoria l’incontro di Francesco con Edith Bruck

Il pane e lo scialle

 Il pane e lo scialle  QUO-022
28 gennaio 2022

Trasmettere il passato è un lavoro per il futuro


«I profeti ancora ci sono». È il Papa a parlare, al termine dell’incontro con Edith Bruck, a Casa Santa Marta. Importante è il gesto, la postura: i due sono in piedi, si stanno salutando, con le mani nelle mani, occhi negli occhi. Esattamente come era cominciato, un’ora prima, questo secondo incontro personale, lontani dai riflettori, del Papa con la superstite di Auschwitz: i due si sono abbracciati, in silenzio, o meglio con le parole, per lo più “grazie”, che si spezzettano, franano.

Anche al primo incontro, il 20 febbraio del 2021, avevo avuto il privilegio di partecipare, perché il Papa dopo aver letto su «L’Osservatore Romano» del 26 gennaio l’intervista di Francesca Romana de’ Angelis alla Bruck, mi aveva chiesto di accompagnarlo a casa sua. Ora è lei che è venuta a ricambiare la visita, nel giorno della memoria. E la memoria è stato il centro di questa seconda conversazione.

La signora comincia a raccontare la sua esperienza di “memoria vivente” ed è come un fiume in piena: «...sto girando l’Italia, e poi anche da casa, grazie alla tecnologia, partecipo a incontri nazionali e internazionali sulle piattaforme, centinaia di interviste, cittadinanze onorarie, mi chiamano le parrocchie, le comunità, i movimenti, le diocesi, (soprattutto dopo l’incontro con Lei dello scorso anno), e poi le università, le scuole, mi scrivono i ragazzi, sono meravigliosi, vorrei dire ai genitori che i loro figli sono meglio di quello che immaginano...».

Il Papa la guarda, in ascolto, ammirato. La discussione prende un’altra direzione, indietro, verso quel buco nero della Shoah, i campi di concentramento... la Bruck parla di altri giovani, suoi coetanei. «Ad un certo punto vennero al campo dei ragazzi della Hitler-Jugend, la Gioventù Hitleriana. Erano dodicenni, anche meno. Questi ragazzi stavano lì, “educati” dagli adulti e il risultato era che passavano il tempo a guardarci, a sputarci. Nelle parti intime». La signora scandisce lentamente le parole, guarda il Papa, i suoi occhi parlano. «Io provavo una pena terribile per quei ragazzi. Come si fa ad arrivare a questo punto di disumanizzazione? Per tutta la vita ho provato questa pietà. Forse perché sono stata odiata ho passato il resto della mia vita a fuggire l’odio. Quei soldati avevano sulla cinta dell’uniforme scritto Gott mit uns, Dio con noi. Ma Dio, o Yahwè, o Allah, non è violenza, è convivenza, è pace».

Il Papa continua a rimanere in ascolto, annuisce con gli occhi e ogni tanto sottolinea alcuni passaggi: «Il rapporto tra le generazioni, tra gli anziani e i giovani, tra i nonni e i nipoti, questo è fondamentale». La Bruck è felice per quanto le sta capitando ma anche preoccupata, racconta al Papa di tanti episodi di violenza e di antisemitismo che ancora si ripetono non solo in Italia. «Cosa possiamo fare per migliorare questo mondo?», esclama. «Quello che lei sta facendo» risponde prontamente il Papa. «Si deve lavorare, lavorare... sa che lavorare ringiovanisce?».

Confesso che è difficile raccontare l’incontro tra queste due persone, descrivere la loro intesa, racchiudere con parole cioè con idee e concetti astratti, quell’atmosfera fatta di un sapore e un calore inesprimibili verbalmente, di gesti e silenzi, abbracci e sguardi, un pizzico di humour e qualche lacrima. Alcuni passaggi restano però impressi facilmente, come lo scambio dei doni. La signora Bruck ha regalato al Papa il suo libro Lettera a mia madre, da poco ripubblicato dall’editore La nave di Teseo, e Mi capirebbero le scimmie, raccolta di poesie, tradotte e curate dalla stessa Bruck, di Miklós Radnóti, il poeta ungherese citato dal Papa nel recente viaggio a Budapest. E poi un pane. Una bella forma di pane intrecciato che è stato cotto in casa.

L’artefice è la signora Olga che è lì, come sempre, a fianco della signora Bruck. Olga è più che un’assistente, è “gli occhi” e “le mani” della signora e ci tiene a spiegare al Papa il senso di quel regalo: è il “pane ritrovato” e fa riferimento al “pane perduto”, il titolo del romanzo più famoso della Bruck, quel pane che Berta, la madre di Edith, stava impastando quando è stata prelevata con violenza dai nazisti. Olga proviene dall’Ucraina e uscendo ringrazia il Papa (e gli chiede ancora) di pregare per la sua terra. Il Papa la rassicura. È Olga a offrire il pane al Papa, questo è un dono non da guardare ma da condividere. «La tradizione dice che si debba spezzare, è una benedizione», spiega perentoriamente Edith. A questo punto tocca obbedire e ognuno dei presenti prende un pezzetto e mangia, in silenzio. È un dono questo non per noi, ma per mamma Berta, una restituzione. «Mia madre diceva che il pane non può mancare, mai. Se non c’è il pane in una casa non c’è niente».

«Il pane è nobile» aggiunge il Papa e ricambia i doni ricevuti con i suoi: una medaglia realizzata e donatagli a Gerusalemme e uno scialle. È dentro una scatola quadrata, incartata con tanto di fiocco. «Può aprirlo ora o anche dopo, come vuole» le dice, «ma è proprio per lei, è caldo, perché ora fa freddo». La signora non resiste e scarta subito il pacco: uno scialle di lana bianca, morbida e calda, elegante. Edith Bruck, 90 anni, sopravvissuta agli orrori di sei lager, quando il Papa era entrato come prima cosa gli aveva detto «questa volta prometto di non piangere», ma non ce l’ha fatta: davanti alla finezza di quel dono e alla delicatezza con cui lui l’ha presentato si è commossa, ha cercato di trattenere le lacrime, chiusa in un silenzio come fosse stordita, il volto ha fatto delle smorfie impossibili per non piangere ma la sua resistenza è durata solo qualche attimo.

Per il resto dell’incontro la signora parlerà con lo scialle sulle sue ginocchia, con una mano a controllare che non cada per terra, e poi quando è il momento del congedo, se lo stringe al petto ed esce con andamento lieto, sicuro. Ora nel suo cuore, in quella stanza, forse nel mondo, fa meno freddo.

di Andrea Monda