· Città del Vaticano ·

Il racconto

Se a 3 anni sei una cavia per Mengele

 Se a 3 anni sei una cavia per Mengele  QUO-020
26 gennaio 2022

Lidia il “dottor Mengele” lo ha visto in faccia ad Auschwitz. Ne ricorda persino il tono di voce, ottant’anni dopo.

Lidia Maksymowicz era una cavia. Sì, una cavia di appena 3 anni strappata dalle braccia della mamma — «miracolosamente ritrovata vent’anni dopo, quando entrambe ci credevamo morte» racconta — appena il vagone piombato le aveva “vomitate” nella “finta” stazione ferroviaria del lager di Birkenau.

Stamani, in Aula Paolo vi , Lidia mima il gesto preciso con la mano per mostrare come la afferrarono per marchiarla sul braccio: numero 70072. Slaccia il polsino e solleva la manica della giacca. Proprio quel marchio Papa Francesco ha baciato, lo scorso 26 maggio, accogliendola all’udienza generale nel cortile di San Damaso. E stamani lo ha voluto, nuovamente, accarezzare. Così il marchio da «segno di vergogna» è divenuto persino «simbolo di dignità» dice Lidia. «Il Papa sta dando dignità a me e a tutti i bambini che sono passati per i lager» rilancia. L’abbraccio dello scorso 26 maggio lo ha anche voluto “fermare” in un quadro che stamani ha donato al Pontefice, insieme alla copia del libro — La bambina che non sapeva odiare (edizione Solferino) — scritto con Paolo Rodari. E con la prefazione proprio di Francesco.

La testimonianza di Lidia ha dato ancor più forza all’appello lanciato oggi dal Papa — giovedì 27 è la Giornata della memoria — perché tutti «favoriscano nelle nuove generazioni la consapevolezza dell’orrore di questa pagina nera della storia. Essa non va dimenticata, affinché si possa costruire un futuro dove la dignità umana non sia più calpestata». Un pensiero forte, con una preghiera, rivolto anche per la pace in Ucraina.

Con parole di incoraggiamento, poi, il Pontefice — che ha salutato personalmente tantissimi fedeli nonostante un’infiammazione al ginocchio, come egli stesso ha confidato — ha accolto 32 studenti e 6 professori dell’Istituto ecumenico di Bossey che, dal 20 al 27 gennaio, sono a Roma per l’annuale visita di studio e che, ieri pomeriggio, hanno preso parte alla celebrazione nella basilica di San Paolo.

Ad accompagnare il gruppo il direttore dell’Istituto, Ioan Sauca, rappresentante del Patriarcato ortodosso di Romania, con don Andrzej Choromanski, officiale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

Gli studenti iscritti ai corsi della Graduate School di Bossey, sia religiosi sia laici, provengono da diverse parti del mondo e sono perlopiù membri di Chiese e comunità non cattoliche, destinati a un servizio in campo ecumenico al termine della loro formazione.

A parlare di sport come strumento di inclusione sociale e come opportunità di dialogo tra culture diverse era presente, in Aula Paolo vi , Alessandra Campedelli.

Trentina, storica allenatrice della nazionale italiana di volley femminile sorde — ha vinto un campionato europeo, un argento olimpico e un argento mondiale — dal 2 gennaio è ufficialmente coach della nazionale di pallavolo femminile dell’Iran.

Insegnante in una scuola della Vallagarina e mamma di Riccardo, non udente, Alessandra Campedelli ha fortemente voluto incontrare Papa Francesco proprio all’inizio del suo lavoro sportivo in Iran.

«La notizia che una donna italiana alleni una squadra di volley femminile iraniana ha avuto un’eco incredibile: ma questo la dice lunga su quanto ancora si debba fare perché non ci si stupisca più che ci possa essere una donna allenatrice, in Italia o all’estero».

Andando a Teheran il suo pensiero è per le ragazze sorde della nazionale italiana, «perché finalmente abbiano i riconoscimenti che meritano per le loro vittorie e per il loro impegno, e perché non siano ricordate solo come quelle che “segnano” l’inno di Mameli con il linguaggio delle mani».

E a parlare di sport stamani c’erano anche i rappresentanti della Lega nazionale professionisti serie b . «Portare gioia e spensieratezza nelle famiglie devastate dalle preoccupazioni e dalle paure scaturite con la pandemia»: è questa, oggi, la vera vittoria per il calcio secondo il presidente Mauro Balata. E lo ha detto al Papa, insieme ai rappresentanti delle 20 società iscritte al campionato dei “cadetti”.

«Il nostro è il calcio della gente, del popolo — fa presente Balata — e la solidarietà con i più fragili, i più giovani soprattutto, quelli che vivono in situazioni più “a rischio”, è del tutto naturale. Abbiamo portato — e porteremo presto nuovamente — il sorriso ai bambini ricoverati negli ospedali Bambino Gesù di Roma, Meyer di Firenze e Gaslini di Genova, cercando di dare una mano alle loro famiglie».

Una luce sempre accesa è il sussidio formativo per i ragazzi — basato sui temi dell’enciclica Fratelli tutti — presentato a Francesco dal consiglio direttivo dell’associazione nazionale San Paolo Italia, che si occupa di oratori e pastorale giovanile in 1.600 parrocchie di 120 diocesi. Pubblicato su carta riciclata e scritto da animatori e formatori dell’associazione, il sussidio è stato distribuito in forma gratuita capillarmente.

Tra preghiera, riflessione e gioco la pubblicazione sta accompagnando — dal 31 ottobre e fino al 10 aprile — la quotidianità di tante comunità di oratorio.

di Giampaolo Mattei