· Città del Vaticano ·

A SAN SALVADOR LA BEATIFICAZIONE DI QUATTRO MARTIRI
Il gesuita Rutilio Grande e due compagni laici

Al fianco dei contadini
in cerca di giustizia

Beatificazione.jpg
22 gennaio 2022

Assassinato a colpi di pistola sulla strada a Las Tres Cruces il 12 marzo 1977, insieme a Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus, due collaboratori laici della sua missione pastorale, padre Rutilio Grande, gesuita salvadoregno, è oggi riconosciuto come un eccezionale testimone della fede. Viene beatificato a San Salvador sabato 22 gennaio, nel corso di una celebrazione presieduta — a nome di Papa Francesco — dal cardinale Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi omonima. Padre Arturo Sosa, preposito generale della Compagnia di Gesù, è rappresentato da padre Pascual Cebollada, postulatore della causa.

Le circostanze della morte di Rutilio e dei due collaboratori indicano chiaramente che i tre sono stati eliminati a causa del loro impegno cristiano; sono martiri, testimoni della fede. Furono assassinati dagli squadroni della morte durante gli anni del terrore in El Salvador. Le testimonianze sulla forza e la qualità dell’impegno di padre Grande al servizio del mondo contadino a cui si era dedicato erano unanimi. Era conosciuto come «un religioso vicino, dedito e premuroso, ordinato sacerdote per condividere la sua vita con la comunità dei discepoli di Gesù che testimoniano la Buona Novella» ha scritto padre Sosa nella lettera inviata a tutti i suoi confratelli il 3 gennaio scorso.

Rutilio era nato nel 1928 in un piccolo paese di campagna, El Paisnal, a circa 40 chilometri da San Salvador. Desideroso di servire il suo popolo fin dall’infanzia, era entrato nel seminario minore di San Salvador nel 1941, dove aveva scoperto la sua vocazione alla spiritualità della Compagnia di Gesù. Entrato in noviziato nel 1945, era stato ordinato sacerdote nel 1959. Aveva avuto una formazione gesuita completa e diversificata in Venezuela, Ecuador, Panama, Spagna e Belgio.

I suoi studi non lo avevano tenuto lontano dalla gente semplice. Se aveva dato molto ai seminaristi salvadoregni come prefetto del seminario maggiore e professore di catechesi, pastorale ed educazione civica, si era rivelato particolarmente dotato anche come animatore di comunità parrocchiali. Era stato profondamente influenzato dagli insegnamenti del concilio Vaticano ii e da quelli della Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Medellín, in Colombia, del 1968. Aveva compreso l’importanza del rinnovamento ecclesiale attraverso la rivitalizzazione delle comunità di laici impegnati. A poco a poco era divenuto anche consapevole della necessità di trasformare le condizioni disumane che le strutture ingiuste della società salvadoregna imponevano al mondo contadino. Così, pur mantenendo una distinzione tra il lavoro pastorale e l’attivismo sociale, aveva camminato al fianco dei poveri accompagnandoli nella loro ricerca di giustizia e rispetto.

I gruppi minoritari che dominavano l’economia si sentivano minacciati dal sostegno che padre Rutilio e la sua équipe davano ai contadini minacciati nei loro diritti umani: era visto come un ostacolo da eliminare.

Rutilio, come i suoi compagni, hanno dato la loro vita per la crescita di comunità cristiane attive, profetiche e formative. Tre anni prima dell’assassinio dell’arcivescovo Óscar Romero — canonizzato il 14 ottobre 2018 da Papa Francesco — la loro morte ha contribuito a un impegno più radicale a favore dei poveri e ha aperto la strada a una conversione ecclesiale.

Padre Sosa termina la sua lettera affermando: «Come Compagnia di Gesù, rendiamo grazie a Dio per la vita di questi tre uomini. Attraverso di loro, ci uniamo alla fede del popolo di El Salvador e ai suoi sforzi per realizzare le trasformazioni necessarie per far emergere una società giusta, che offra a tutti un posto dignitoso».


Leggi anche:

La soluzione è l'amore
di Óscar Romero

Missionario del Vangelo tra i villaggi
di Giovangiuseppe Califano