Nella recente intervista a questo giornale, Papa Francesco ci ha offerto una delle note più tipiche del suo magistero “ordinario”: l’invito ad amare la Chiesa non custodendone solo il mistero e la tradizione, ma affrontando l’inevitabile compito di ripensarla, alla luce del Vangelo e del tempo in cui viviamo: «Credo che dovremmo avere il coraggio di dire che la Chiesa non dovrebbe essere solo materna ma anche paterna». Non si tratta di un richiamo a recuperare la centralità del Padre, come immagine di Dio che il Figlio ha rivelato, ma di collocare l’elemento paterno, tipicamente maschile, al centro dell’essere e dell’agire ecclesiale.
Aver pensato la Chiesa come madre è stata un’intuizione meravigliosa, che ha garantito al popolo di Dio una storia molto bella e feconda di cui dobbiamo essere soprattutto orgogliosi. La vita non può che venire alla luce da un grembo materno, che garantisce tutto il necessario perché l’esistenza maturi e si sviluppi in modo promettente. Allo stesso modo, aver riconosciuto Maria come madre di Dio e madre della Chiesa ha permesso alla comunità dei credenti di prosperare attorno alla sorgente della misericordia, cioè «quell’amore che genera e rigenera alla vita». Per una madre, infatti, il figlio non deve fare nulla per essere riconosciuto e amato. Ha solo bisogno di essere nutrito con costanza e sollecitudine.
Attorno all’immagine di una Chiesa materna sono nati i grandi punti di riferimento che tutti conosciamo: i dogmi che hanno precisato gli spazi ampi e accoglienti della grazia, i sacramenti che abilitano e custodiscono la vita nuova, il ministero ordinato come attualizzazione dell’azione del Risorto dentro la storia.
L’anno speciale dedicato a san Giuseppe ci ha però offerto l’opportunità di contemplare un’altra immagine a cui la Chiesa ha ugualmente bisogno di conformarsi, per essere fedele al mistero dell’incarnazione. Sebbene lo sposo di Maria non sia mai stato definito ufficialmente padre di Dio, né padre della Chiesa, è indubbio che il suo ruolo nella generazione del Verbo nella nostra carne umana sia stato fondamentale. Senza il suo coraggio creativo e la sua virilità sensibile alla debolezza, il Cristo non avrebbe potuto fare il suo ingresso nella storia della salvezza.
Al termine di quest’anno dedicato al recupero della sua figura, in un tempo segnato da una profonda crisi della paternità umana, la Chiesa non dovrebbe aver timore di verificare quanto le sue viscere siano non solo materne, ma anche paterne, cioè capaci di generare vita libera e responsabile.
Se l’immagine di Maria — come madre — ha garantito alla Chiesa il suo essere, l’immagine di Giuseppe — come padre — dovrebbe invece garantire il suo divenire, attraverso un esercizio creativo e responsabile della libertà. Proprio questo compito — secondo Papa Francesco — la Chiesa non deve rinunciare a svolgere: «[…] mi riferisco proprio alla capacità tutta paterna di mettere i figli in condizione di prendersi le proprie responsabilità, di esercitare la propria libertà, di fare delle scelte. Se da una parte la misericordia ci sana, ci guarisce, ci consola, ci incoraggia, dall’altra parte l’amore di Dio non si limita semplicemente a perdonare, a guarire, ma l’amore di Dio ci spinge a prendere delle decisioni, a prendere il largo».
Certo, una Chiesa spinta verso il largo non può che essere pensata come una barca disposta ad avventurarsi e a rischiare, percorrendo rotte inesplorate, esponendosi a possibili fraintendimenti e fallimenti. Ma è proprio questo il cambio di mentalità a cui il Vangelo ci costringe: il più grande fallimento a cui la nostra umanità può andare incontro non è quello di sbagliare, bensì di non aver provato a vivere fino in fondo il compito di una libertà accordata e custodita dallo stesso Creatore.
Del resto, per un padre un figlio comincia a esistere quando affronta l’avventuroso cammino che lo separa dalla madre per introdursi nella gioia e nella solitudine della sua unicità. Davanti a un padre, un figlio deve fare tutto il possibile per dispiegare come una vela la propria libertà fino a diventare se stesso insieme agli altri.
Attorno all’immagine di una Chiesa che accetta la sfida di incarnare meglio i tratti dell’amore paterno, si potrebbero forse costituire equilibri che ancora non conosciamo e potrebbero sorgere nuovi punti di riferimento, capaci di generare quei tratti del mistero di Cristo di cui la Chiesa ha assoluto bisogno e il mondo profonda nostalgia.
di Roberto Pasolini