· Città del Vaticano ·

Un fenomeno planetario

20 dicembre 2021

Che la diffusione a macchia d’olio della tecnologia a uso domestico sia una delle principali caratteristiche del terzo millennio, e in particolare dell’ultima decade, è ormai innegabile. Lo sviluppo e la maggiore circolazione quasi in parallelo delle nuove reti internet, dei social network e dei telefoni cellulari hanno avuto come risultato una vera e propria digitalizzazione della società, ormai in gran parte interconnessa dal web. In questa chiave di lettura, l’arrivo della pandemia di Covid-19 a marzo 2020 ha rappresentato poi una conferma definitiva delle nuove dinamiche sociali digitali.

Messe improvvisamente di fronte all’impossibilità di rapportarsi direttamente, le persone hanno cercato di sopperire a queste mancanze rivolgendosi proprio alla tecnologia in diversi ambiti: dalle riunioni di lavoro su piattaforme come Zoom e Microsoft Teams, alle attività sportive domestiche seguendo video postati dai personal trainer su YouTube, fino alle interazioni sociali, ricreate nelle videochiamate di gruppo con parenti e amici su Houseparty. Queste dinamiche hanno mostrato le enormi potenzialità degli strumenti digitali, che offrono soluzioni impensabili fino a pochi anni fa.

Come ogni strumento, però, anche le nuove tecnologie possono offrire utilizzi estremamente negativi e insidiosi, oltre a quelli costruttivi citati sopra. Il ventaglio di nuove possibilità aperte dalle innovazioni tecnologiche del Ventunesimo secolo ha infatti — forse inevitabilmente — portato con sé anche diverse problematiche sociali mai affrontate prima. Fra i fenomeni più discussi in tempi recenti vi è la spaventosa pratica del “grooming” (letteralmente, “governatura”), attraverso la quale individui adulti adescano in rete utenti minorenni, arrivando infine a compiere atti di molestie sessuali senza l’uso della coercizione fisica. Secondo un recente rapporto pubblicato dall’Fbi, il molestatore si guadagna infatti lentamente la fiducia e la confidenza della vittima con apprezzamenti e regali, per poi avanzare proposte perverse. Nel corso dell’ultimo anno sono inoltre stati lanciati, tanto dagli studiosi quanto dalle famiglie, numerosi allarmi e campagne di sensibilizzazione rispetto ai potenziali effetti psicologici dannosi dei social network sui più giovani, come ad esempio stress e ansia sociale. Indubbiamente dinamiche come queste o il “grooming” risultano accentuate dall’inevitabile isolamento provocato dalla pandemia, arrivando poi nei casi più estremi a culminare in tragedie come quella dello scorso gennaio a Palermo, dove una bambina di 10 anni perse la vita a causa di una challenge lanciata su TikTok.

Altri risvolti negativi delle nuove tecnologie vanno invece oltre la sfera personale degli individui, toccando ambiti come la politica e la sanità, come nel caso delle celebri problematiche riguardanti la diffusione delle “fake news” e dei contenuti incitanti all’odio politico. L’esempio più eloquente a questo riguardo è quello delle due cause parallele da 150 milioni di dollari intentate contro Meta (nuovo nome del gruppo Facebook) da parte dei rifugiati Rohingya negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Secondo l’accusa, gli algoritmi del social network avrebbero favorito la diffusione di discorsi di odio e contenuti estremisti, incoraggiando così la persecuzione della minoranza etnica. Numerosi politici, fra i quali il presidente statunitense Joe Biden, hanno inoltre affermato che l’ostinato scetticismo verso i vaccini per il Covid-19, costato innumerevoli vite umane in tutto il mondo, sarebbe stato alimentato dalle campagne di disinformazione online.

Nel corso del 2021, diversi paesi in tutto il mondo hanno adottato misure speciali per ridurre le influenze negative provenienti dai social network. In Italia, il Garante della Privacy ha deciso di vietare l’utilizzo di TikTok ai minori di 13 anni in seguito alla tragedia di Palermo. Anche il Regno Unito sta attualmente valutando provvedimenti atti a limitare i potenziali danni da social network: ad ottobre, il Parlamento di Westminster ha infatti accolto la divulgatrice digitale Frances Haugen, che ha presentato la sua teoria secondo la quale gli algoritmi di Facebook favoriscono la diffusione di contenuti potenzialmente pericolosi in quanto incitanti all’odio e all’estremismo.

di Giovanni Benedetti