· Città del Vaticano ·

Chiesa missionaria e profetica

 Chiesa  missionaria  e profetica  QUO-284
14 dicembre 2021

Nessun tour operator avrebbe potuto aprire al mio lungo viaggio i cammini dell’Amazzonia profonda, fino ai villaggi più irraggiungibili — guardati a vista dai militari e dalla Funai (la Federazione per la protezione degli indigeni) — e nei recessi più segreti e meravigliosi della immensa foresta, come ha fatto la Chiesa che vive in Amazzonia. Dove lo sterminato tappeto verde sembra correre su una grandiosa tramatura d’acque giganti che continuamente si sfrangiano in innumerevoli igarapè (piccoli fiumi o canali naturali).

Acque nere, gialle, verdi, azzurre e bianche, che letteralmente danzano sulle grandi rocce levigate dalle rapide, o attorno a miriadi di isole di palme che spuntano improvvise in mezzo all’acqua, o lungo spiagge e isole di sabbia bianchissime che sorgono nei grandi meandri, che si susseguono come spire di serpenti. E dove il pericolo non sono tanto le anaconda, i cobra, i caimani, gli scorpioni e i piranhas, che pure vi regnano, ma i garimpeiros — i cercatori d’oro — e i mercanti di bambini per la prostituzione infantile.

E in questo universo magico e sacro a un tempo, ho ammirato l’impegno eroico di vescovi come Edson Tasquetta Damian, di São Gabriel da Cachoeira,

e dei suoi sacerdoti, indigeni e non, nel visitare i villaggi più sperduti, per celebrare e per affrontare i tanti problemi socio-ambientali degli indios. Coadiuvati da una comunità salesiana, che nella regione svolge un lavoro straordinario in difesa dei diritti dei popoli indigeni e della loro identità culturale, e della integrità della foresta amazzonica.

E proprio la pastorale socio-ambientale — nel solco della Querida Amazonia — è diventata l’asse del lavoro di vescovi illuminati come l’italiano Pedro José Conti a Macapá (nello Stato di Amapá), lo spagnolo Adolfo Zon Pereira a Tabatinga (sulla triplice frontiera tra Brasile, Colombia e Perú), e l’arcivescovo di Manaus Leonardo Ulrich Steiner. E poi l’impegno impressionante dei gesuiti di Manaus — guidati da padre Paulo Tadeu — e di “Leticia” (in Colombia), capaci di tessere una rete vastissima di relazioni con il mondo culturale e universitario di tutto il Brasile, e con centinaia di organismi civili e religiosi (in primis il Cimi, il Consiglio indigenista missionario, e il Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica), che sono i principali paladini della causa indigena e della foresta pluviale.

Ma non solo questo. «Perché ci sono molte Amazzonie — mi ricorda il “vescovo-architetto” di Castanhal, Carlo Verzeletti, citando la Querida Amazonia —. Certo, in primo luogo gli indios e la foresta, ma anche gli indigeni sfollati nelle città, i popoli rivieraschi, i piccoli contadini da sostenere contro l’arroganza dei latifondisti, i discendenti degli schiavi neri, i nordestini, i discendenti dei conquistadores, gli immigrati dal sud del Brasile e il ricchissimo meticciato che caratterizza l’Amazzonia».

Una Chiesa amazzonica, insomma, missionaria e profetica, che guarda costantemente a Francesco, con una passione e una gratitudine che commuovono.

di Raffaele Luise