· Città del Vaticano ·

Il cardinale segretario di Stato al 70° Congresso dei giuristi cattolici italiani

Il vero potere è il servizio

09 dicembre 2021

Un’esortazione a porsi «nella prospettiva per cui il vero potere è il servizio» è stata rivolta oggi dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a studiosi e operatori del diritto che partecipano al 70° Congresso nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci), in corso a Roma e in modalità online dal 9 all’11 dicembre sul tema «Gli ultimi: la tutela giuridica dei soggetti deboli».

Trovandosi a Cuneo per i funerali del nunzio apostolico Aldo Giordano, il porporato ha inviato nella giornata inaugurale dei lavori il proprio intervento in forma videoregistrata. Rimarcando come a tutt’oggi manchi «una storia dell’associazione, se si eccettuano frammenti sparsi in contributi diversi», Parolin ha ricordato come l’Ugci «nel 1948, a guerra finita» sia nata «dalla crisi di coscienza di una generazione di giuristi nel considerare gli effetti perversi e le tragedie prodotti da una stagione in cui il positivismo aveva celebrato i propri trionfi. Una cultura giuridica raffinatissima, cui anche molti fondatori dell’Unione avevano dato il loro apporto, aveva finito per partorire dei monstra; gli artefici di quella stagione, a conflitto concluso, prendevano lucidamente coscienza di quanto male, contro ogni intenzione, si era prodotto».

Sottrarre il diritto all’arbitrio

«Di qui la ricerca di vie diverse per dare al diritto positivo un ancoraggio oggettivo e stabile, capace di sottrarlo all’arbitrio e alla logica del più forte» rievocata dal relatore. «Di qui la riscoperta dell’antica idea del diritto naturale, germinata nella cultura giudaico-greco-romana e poi rinforzata e potenziata dal pensiero cristiano. Un’idea legata alla dignità della persona umana e alle spettanze che ad essa debbono essere riconosciute per tutti», ha aggiunto, sottolineando come si trattasse «di un fenomeno più generale, che si espresse a livello internazionale con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che ha una chiara matrice giusnaturalistica, e in Italia con la Costituzione repubblicana e l’incipit dell’articolo 2, per il quale “La Repubblica riconosce [cioè prende atto della loro preesistenza] e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”».

In tale ottica, ha proseguito, l’Ugci svolse «un ruolo importante nell’animazione non solo della cultura giuridica, ma anche della esperienza giuridica» sviluppando — si pensi a Giuseppe, Capograssi e a Sergio Cotta — «azioni diverse: negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso l’attenzione fu rivolta alla coerente e piena attuazione della Costituzione; negli anni Settanta e Ottanta si impegnarono nella difesa del testo costituzionale rispetto a riforme legislative ritenute non conformi»; mentre negli ultimi decenni saggiarono le potenzialità della Carta — «Jemolo parlava di una sua “forza espansiva”» — per rispondere «ai postulati della dignità della persona e delle spettanze inderogabili da riconoscerle», nel nuovo contesto di «evoluzione della società» in pieno «sviluppo scientifico-tecnologico».

Dopo aver fatto riferimento all’attenzione dell’Ugci al diritto naturale come rifiuto d’ogni concezione di esso come forza, e al diritto come relazione tra “soggetti deboli”, il cardinale Parolin si è soffermato sul titolo del congresso, approfondendo il concetto di tutela del più debole tra doverosità e solidarietà. Ragionando «sui più deboli tra i deboli», ossia quanti «per nascita o per le vicende della vita appaiono più bisognosi di protezione e promozione», il segretario di Stato ha individuato nella «storia dell’Occidente insegnamenti di perdurante attualità». Ad esempio, «la civiltà giuridica medioevale porta a livelli altissimi il tema della responsabilità nei confronti dei più deboli: “se non soccorri il misero, lo uccidi”, scrive Graziano, con imponenti ricadute in iniziative assistenziali concrete». Infatti tali «radici culturali hanno promosso la nascita dell’insieme di regole e istituzioni che danno vita al sistema detto del welfare».

Solidarietà e carità

Restringendo il campo di osservazione all’Italia, il porporato ha fatto notare che qui «il problema degli ultimi è affidato, per quanto attiene ai profili giuridici, ai grandi princìpi racchiusi nella Carta costituzionale, che poi illuminano una serie di disposizioni contenute nella stessa in materia di famiglia, di istruzione, di sanità, di lavoro». E richiamando «in particolare due princìpi che costituiscono fonti di obbligazioni per soggetti diversi: lo Stato-apparato e la persona, singola o associata», il relatore si è soffermato sull’importanza della solidarietà che «evoca, con un termine tratto dal diritto romano, il principio antico della carità», il quale «è propriamente cristiano e ha indicato per secoli l’azione nei confronti dei deboli, almeno fin tanto che lo Stato non è diventato laico, la società si è secolarizzata ed è divenuta pluralista».

Dunque «non si tratta solo di richiamare un sentimento, un moto dell’anima, perché la solidarietà/carità è dare oltre il dovuto, superare le prescrizioni del diritto, andare oltre la giustizia», naturalmente senza negarla. Purtroppo però, ha concluso il cardinale Parolin, «la storia insegna come il progredire dei sistemi giuridici e sociali per sovvenire alla tutela dei soggetti deboli non riesca mai a realizzarsi compiutamente. Come l’eguaglianza è un programma che si persegue nel tempo e un traguardo che non si raggiunge mai appieno, così le situazioni di debolezza d’ogni tipo non sono mai compiutamente risolte».

Ci sono, ha denunciato, «forme di debolezza che sono antiche quanto il mondo»: basti pensare che «l’Antico Testamento menzionava la categoria degli orfani e delle vedove, assurta nel tempo ad archetipo del marginale. Una categoria che ancora oggi costituisce una porzione particolare del mondo che può trovarsi a vivere ai margini della società e abbisogna di particolari tutele giuridiche». Anche perché ai primi «si può assimilare lo stuolo di quanti sono stati chiamati alla vita al di fuori di un rapporto naturale e stabile tra un uomo e una donna, e per una serie di vicende si trovano al mondo senza genitori o vivono nelle gelide realtà di una provetta». Mentre «di particolare attualità è l’altra categoria individuata dall’Antico Testamento: gli stranieri», tornati «alla ribalta» con «le grandi migrazioni». Infatti «i popoli si sono rimessi in cammino, sollevando problemi enormi», visto che sono «fenomeni epocali che vanno governati innanzitutto con un diritto positivo adeguato, ispirato a princìpi solidaristici», ha ribadito.