· Città del Vaticano ·

Con il Santo Sinodo nella cattedrale ortodossa

Non rassegnarsi alle divisioni

 Non rassegnarsi alle divisioni  QUO-276
03 dicembre 2021

Nella mattina di oggi, venerdì 3 dicembre, secondo giorno del 35° viaggio internazionale, il Papa ha raggiunto in automobile l’arcivescovado ortodosso di Cipro a Nicosia per la visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos ii , seguita dall’incontro con il Santo Sinodo nella cattedrale ortodossa. All’interno del tempio dedicato a san Giovanni, dopo il saluto rivoltogli dall’arcivescovo ortodosso di Cipro, il Papa ha pronunciato il seguente discorso.

Beatitudine, cari Vescovi del Santo Sinodo,

sono lieto di essere tra voi e vi sono grato per la cordiale accoglienza. Grazie, caro Fratello, per le sue parole, per l’apertura del cuore e per l’impegno nel promuovere il dialogo tra di noi. Desidero estendere il mio saluto ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli tutti della Chiesa ortodossa di Cipro, con un pensiero particolare per i monaci e per le monache, che con la loro preghiera purificano ed elevano la fede di tutti.

La grazia di essere qui mi fa venire alla mente che abbiamo una comune origine apostolica: Paolo attraversò Cipro e in seguito giunse a Roma. Discendiamo dunque dal medesimo ardore apostolico e un’unica via ci collega, quella del Vangelo. Mi piace così vederci in cammino sulla stessa strada, in cerca di una sempre maggiore fraternità e della piena unità. In questo lembo di Terra Santa che diffonde la grazia di quei Luoghi nel Mediterraneo, viene naturale ripensare a tante pagine e figure bibliche. Tra tutte, vorrei fare ancora riferimento a San Barnaba, evidenziando alcuni aspetti che possono orientarci nel cammino.

«Giuseppe, soprannominato dagli Apostoli Barnaba» (At 4, 36). Così viene presentato dagli Atti degli Apostoli. Lo conosciamo e veneriamo dunque attraverso il suo soprannome, tanto era indicativo della persona. Ora, la parola Barnaba significa al tempo stesso “figlio della consolazione” e “figlio dell’esortazione”. È bello che nella sua figura si fondano entrambe le caratteristiche, indispensabili per l’annuncio del Vangelo. Ogni vera consolazione, infatti, non può rimanere intimistica, ma deve tradursi in esortazione, orientare la libertà al bene. Al contempo, ogni esortazione nella fede non può che fondarsi sulla presenza consolante di Dio ed essere accompagnata dalla carità fraterna.

Così Barnaba, figlio della consolazione, esorta noi suoi fratelli a intraprendere la medesima missione di portare il Vangelo agli uomini, invitandoci a comprendere che l’annuncio non può basarsi solo su esortazioni generali, sulla ripetizione di precetti e norme da osservare, come spesso si è fatto. Esso deve seguire la via dell’incontro personale, prestare attenzione alle domande della gente, ai loro bisogni esistenziali. Per essere figli della consolazione, prima di dire qualcosa, occorre ascoltare, lasciarsi interrogare, scoprire l’altro, condividere. Perché il Vangelo si trasmette per comunione. È questo che, come Cattolici, desideriamo vivere nei prossimi anni, riscoprendo la dimensione sinodale, costitutiva dell’essere Chiesa. E in ciò sentiamo il bisogno di camminare più intensamente con voi, cari Fratelli, che attraverso l’esperienza della vostra sinodalità potete davvero aiutarci. Grazie per la vostra collaborazione fraterna, che si manifesta anche nell’attiva partecipazione alla Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.

Auspico di cuore che aumentino le possibilità di frequentarci, di conoscerci meglio, di abbattere tanti preconcetti e di porci in docile ascolto delle rispettive esperienze di fede. Sarà per ciascuno un’esortazione stimolante a fare meglio e porterà a entrambi un frutto spirituale di consolazione. L’Apostolo Paolo, da cui discendiamo, parla spesso di consolazione ed è bello immaginare che Barnaba, figlio della consolazione, sia stato l’ispiratore di alcune sue parole, come quelle con cui, all’inizio della seconda Lettera ai Corinzi, ci raccomanda di consolarci a vicenda con la stessa consolazione con cui siamo stati consolati da Dio (cfr. 2 Cor 1, 3-5). In questo senso, cari Fratelli, desidero assicurarvi la preghiera e la vicinanza mia e della Chiesa cattolica, nei problemi più dolorosi che vi angosciano come nelle speranze più belle e audaci che vi animano. Le tristezze e le gioie vostre ci appartengono, le sentiamo nostre! E sentiamo di avere anche tanto bisogno della vostra preghiera.

In seguito — secondo aspetto — san Barnaba viene presentato dagli Atti degli Apostoli come «un levita originario di Cipro» (At 4, 36). Il testo non aggiunge altri dettagli, né sul suo aspetto né sulla sua persona, ma subito dopo fa scoprire Barnaba mediante una sua azione emblematica: «padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli Apostoli» (v. 37). Questo magnifico gesto suggerisce che per rivitalizzarci nella comunione e nella missione occorre anche a noi il coraggio di spogliarci di ciò che, pur prezioso, è terreno, per favorire la pienezza dell’unità. Non mi riferisco certo a quanto è sacro e aiuta a incontrare il Signore, ma al rischio di assolutizzare certi usi e abitudini, non essenziali per vivere la fede. Non lasciamoci paralizzare dal timore di aprirci e di compiere gesti audaci, non assecondiamo quella “inconciliabilità delle differenze” che non trova riscontro nel Vangelo! Non permettiamo che le tradizioni, al plurale e con la “t” minuscola, tendano a prevalere sulla Tradizione, al singolare e con la “ t ” maiuscola. Essa ci esorta a imitare Barnaba, a lasciare quanto, anche buono, può compromettere la pienezza della comunione, il primato della carità e la necessità dell’unità.

Deponendo quanto possedeva ai piedi degli Apostoli, Barnaba entrò nel loro cuore. Anche noi siamo invitati dal Signore, per riscoprirci parte dello stesso Corpo, ad abbassarci fino ai piedi dei fratelli. Certo, nel campo delle nostre relazioni la storia ha aperto ampi solchi tra di noi, ma lo Spirito Santo desidera che con umiltà e rispetto ci riavviciniamo. Egli ci invita a non rassegnarci di fronte alle divisioni del passato e a coltivare insieme il campo del Regno, con pazienza, assiduità e concretezza. Perché se lasciamo da parte teorie astratte e lavoriamo insieme fianco a fianco, ad esempio nella carità, nell’educazione, nella promozione della dignità umana, riscopriremo il fratello e la comunione maturerà da sé, a lode di Dio. Ognuno manterrà i propri modi e il proprio stile, ma con il tempo il lavoro congiunto accrescerà la concordia e si mostrerà fecondo. Come queste terre mediterranee sono state abbellite dalla lavorazione rispettosa e paziente dell’uomo, così, con l’aiuto di Dio e con umile perseveranza, coltiviamo la nostra comunione apostolica!

È un frutto buono, ad esempio, quanto accade qui a Cipro presso la chiesa della “Tuttasanta della Città d’oro”. Il tempio dedicato alla Panaghia Chrysopolitissa è oggi luogo di culto per varie confessioni cristiane, amato dalla popolazione e scelto spesso per la celebrazione dei matrimoni. È dunque un segno di comunione di fede e di vita sotto lo sguardo della Santa Madre di Dio, che raduna i suoi figli. All’interno del complesso è inoltre custodita la colonna dove, secondo la tradizione, san Paolo subì trentanove colpi di frusta per aver annunciato la fede a Pafos. La missione, così come la comunione, passa sempre attraverso sacrifici e prove.

Proprio una prova — è il terzo aspetto che traggo dalla figura di Barnaba — segnò la sua vicenda e i primordi della diffusione del Vangelo in queste terre. Nel suo ritorno a Cipro con Paolo e Marco, egli vi trovò Elimas, «mago e falso profeta» (At 13, 6), che fece loro opposizione con malizia, cercando di rendere tortuose le vie diritte del Signore (cfr. vv. 8.10). Non mancano anche oggi falsità e inganni che il passato ci mette davanti e che ostacolano il cammino. Secoli di divisione e distanze ci hanno fatto assimilare, anche involontariamente, non pochi pregiudizi ostili nei riguardi degli altri, preconcetti basati spesso su informazioni scarse e distorte, divulgate da una letteratura aggressiva e polemica. Ma tutto ciò distorce la via di Dio, che è protesa alla concordia e all’unità. Cari Fratelli, la santità di Barnaba è eloquente anche per noi! Quante volte nella storia tra cristiani ci siamo preoccupati di opporci agli altri anziché di accogliere docilmente la via di Dio, che tende a ricomporre le divisioni nella carità! Quante volte abbiamo ingigantito e diffuso pregiudizi sugli altri, anziché adempiere all’esortazione che il Signore ha ripetuto specialmente nel Vangelo scritto da Marco, che fu con Barnaba su quest’isola: farsi piccoli, servirsi gli uni gli altri (cfr. Mc 9, 35; 10, 43-44).

Beatitudine, sono rimasto commosso oggi, nel nostro dialogo, quando Lei ha parlato della Chiesa Madre. La nostra Chiesa è madre, e una madre sempre raduna i suoi figli con tenerezza. Abbiamo fiducia in questa Madre Chiesa, che raduna tutti noi e che con pazienza, tenerezza e coraggio ci porta avanti nel cammino del Signore. Ma, per sentire la maternità della Chiesa, tutti noi dobbiamo andare lì, dove la Chiesa è madre. Tutti noi, con le nostre differenze, ma tutti figli della Chiesa Madre. Grazie per quella riflessione che oggi ha fatto con me.

Invochiamo dal Signore sapienza e coraggio per seguire le sue vie, non le nostre. Domandiamolo per intercessione dei Santi. Leontios Machairas, cronista del xv secolo, definì Cipro “Isola santa” per la quantità di martiri e beati che queste terre hanno conosciuto lungo i secoli. Oltre ai più noti e venerati, come Barnaba, Paolo e Marco, Epifanio, Barbara, Spiridione, ce ne sono tanti altri: schiere innumerevoli di santi che, uniti nell’unica Chiesa celeste — la Chiesa Madre —, ci sospingono a navigare insieme verso il porto a cui tutti sospiriamo. Da Lassù invitano a fare di Cipro, già ponte tra Oriente e Occidente, un ponte tra Cielo e terra. Così sia, a gloria della Santissima Trinità, per il bene nostro e per il bene di tutti. Grazie.