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DONNE CHIESA MONDO

Associazioni

Il nostro femminismo
che parla alla Chiesa

(foto teologhe.org)
05 febbraio 2022

Ho una formazione cattolica, con una storia uguale a tante altre. Certamente in questo percorso ordinario ci sono state figure importanti fin dall’inizio: mia mamma, che da catechista mi ha fatto respirare un cristianesimo pensante, un docente di religione alle medie, un prete appena tornato dall’Argentina, che mi ha lasciato intravedere il punto di vista del Sud del mondo...

In seguito, proprio perché sono sempre stata abituata a riflettere sul senso dei legami e a tenere conto della qualità delle esperienze, ho avuto un periodo di allontanamento sia dalla vita ecclesiale sia dalla fede e negli anni del liceo ho scelto di non avvalermi della religione cattolica. Il risveglio come credente è avvenuto, credo, con la maturità affettiva. Lo dovrei dire con prudenza perché le riletture, si sa, arrivano col senno di poi e dunque sono sempre sostenute da altro. La mia narrazione viene forse dalla confidenza con i testi di Simone Weil, nei quali si impara che ci sono due esperienze particolari per incontrare Dio – la sofferenza e la gioia – anche se di fatto è più facile avvicinarsi al sacro attraverso le ferite. Ecco, nel mio caso credo si sia trattato di felicità. È una parola impegnativa, lo so. La uso nel senso della percezione di un eccesso affettivo che, nella fortunata relazione con Alberto, non poteva venire semplicemente dall’umano. Finisco gli studi filosofici e, con l’esuberanza dei vent’anni, mi sposo; nel giro di pochissimo arrivano tre bambini: Matteo, Anna e Chiara.

Filosofia e teologia

Nella mia storia il percorso filosofico e teologico si intrecciano: non c’è un prima e un dopo dal punto di vista delle discipline.

Dopo la laurea in filosofia, mi iscrivo all’Istituto di Scienze Religiose con un certo timore e scetticismo, ma alla mia prima lezione di teologia fondamentale subito mi innamoro di una materia che vive di domande e dell’ostinazione di una speranza di cui occorre rendere ragione. Nel corso del primo anno mi appassiono così tanto che decido di passare allo Studio Teologico, con i seminaristi. Baccellierato, licenza; quindi il dottorato in filosofia, poi quello in teologia.

Nel mio percorso filosofico all’Università di Verona incontro la comunità femminile Diotima, nata nel 1983 “sulla scommessa di essere donne e pensare filosoficamente”. Inizialmente sono sconcertata da questa modalità imprevista di pensare e di parlare: lo stile di una filosofia che non si nasconde nei libri degli altri è una forma di spoliazione che mi trova impreparata e temo di venire assorbita da un gioco di specchi in cui non mi riconosco. Per questo mi allontano per qualche anno e poi ci ritorno con una forza presa forse da altrove, dal mondo teologico. In questo nuovo posizionamento riscopro la potenza di quella che a Diotima si chiama “politica del simbolico”: è un modo creativo di leggere la realtà, critico verso gli elementi negativi ma libero di intercettare ciò che di buono accade quando non si ha paura delle differenze.

Il Coordinamento delle teologhe

Studiando Teologia ho la fortuna di incontrare come docente Cristina Simonelli e già nelle sue lezioni intercetto un modo nuovo di impostare le questioni teologiche e avverto immediatamente una teologia ospitale non solo verso la differenza sessuale ma anche verso tutte le altre differenze. È lei, tra le socie fondatrici del Coordinamento delle teologhe Italiane, a invitarmi a uno dei seminari annuali e a inserirmi nella trama delle relazioni tra teologhe, accompagnandomi sapientemente nella ricerca della “mia voce” senza tentare di coprirla con la sua.

È questa stessa ospitalità che si respira nel CTI, un Coordinamento che non solo nasce e vuole essere ecumenico, ma che è anche tenuto insieme da donne immerse in campi teologici differenti e con chiavi di lettura eterogenee. Ecco perché siamo un Coordinamento: si tratta di una realtà che si pone come forza d’attrazione e di catalizzazione di pensieri, parole e posture di donne impegnate in una teologia capace di ospitare e di valorizzare le differenze, criticando ogni lettura che le rende motivo di squilibrio e di ingiustizia. Questa pluralità è una ricchezza, non il segno di un rigore mancato.

Nel nostro statuto si parla comunque di una “teologia di genere”. Questa specificazione indica la nostra comune sensibilità verso le interpretazioni del “maschile” e del “femminile” nelle narrazioni e nei contesti cristiani. Si tratta di uno sguardo critico verso gli stereotipi espliciti ma anche verso le resistenze patriarcali inconsce che distorcono silenziosamente il discorso cristiano.

È un lavoro che libera le donne ma che porta frutto anche per gli uomini. Per questa consapevolezza alcuni di loro sono iscritti al Coordinamento o ci sostengono in altri modi.

Il femminismo, una rivoluzione di vite risvegliate

Quella femminista è una rivoluzione particolare perché non deve contare i morti ma le vite risvegliate. Sono anzitutto le vite di donne liberate da culture che le inibiscono, da forme educative che le controllano, da tradizioni che non si ricordano di loro o che, peggio, ne fanno camei o brutte caricature.

In questa rivoluzione si impara un altro modo di fare memoria, perché non si considera più né ovvia né necessaria la tradizionale cultura sbilanciata sul maschile e si va alla ricerca dell’esperienza reale delle donne, del loro desiderio tacitato, delle loro narrazioni emarginate e dei loro ruoli effettivi nella storia. Questo dissotterramento non somiglia a puzzle da completare ma all’approdo in un nuovo continente: il disegno cambia ed è necessario rifare le mappe affinché ci sia posto per tutte e per tutti.

L’aggettivo “femminista”, in questo senso, indica una promessa buona anche per gli uomini, che si possono finalmente liberare da un malinteso immaginario virile che li costringe a rinnegare la loro esperienza reale, che è anche emotiva, fragile e straordinariamente capace di cura. Non a caso, di uomini ve ne sono anche nel CTI.

Teologia… femminista, delle donne, femminile

Femminismo, femminista: sono termini che nei nostri contesti spesso evocano un immaginario di rivendicazione. Perché anche i femminismi risentono delle cattive narrazioni. Non si tratta infatti di farsi restituire qualcosa – se ne potrebbe discutere – ma di aprire dei varchi per i quali far passare il rimosso, cioè per riscoprire quelle esperienze femminili che i dispositivi patriarcali hanno tacitato, emarginato ed esautorato.

Ovviamente non tutte le teologie delle donne – dunque femminili – sono femministe: non tutte le donne hanno il desiderio di esporsi in questo campo della ricerca, che vive di dissotterramenti, di critiche e di creatività ribelli. Per le teologhe del Coordinamento, invece, “femminista” è un aggettivo importante, anche se scomodo: in questa parola ci sono memorie ed epistemologie precise che è meglio spiegare e salvare dai fraintendimenti, che non rimuovere per paura di essere mal-interpretate.

Teologare al modo maschile e al modo femminile

Le teologie sono sessuate? Nel tentare una risposta occorre evitare sia di svuotare la domanda affermando che le teologie sono neutre, sia di riempirla con i contenuti sbagliati, magari nella convinzione che le donne vengono da Venere, pianeta dell’amore, e gli uomini da Marte, pianeta della guerra. A mio parere le teologie sono sessuate perché il nostro corpo lascia sempre delle tracce nei nostri pensieri, nelle nostre parole, nelle nostre azioni, ma occorre sempre fare attenzione alla loro singolarità e all’intreccio delle differenze. Troppo spesso, infatti, si tende a mettere sotto un’unica etichetta le teologie delle donne, come se queste fossero tutte uguali e dunque sovrapponibili le une alle altre, mentre invece si fa molta più attenzione a registrare le differenze interpretative o i tratti singolari nei sistemi di pensiero maschili.

Detto questo, però, mi sembra di poter intravedere anche alcune insistenze nelle ricerche teologiche delle donne, come se queste seguissero determinati fili particolari dell’esperienza. Ovviamente non si può generalizzare ed è solo una mia impressione, ma mi pare di poter intravedere che molto di queste teologie tendono a essere più attente a ciò che nasce più che a ciò che muore, si presentano innervate di domande sulla corporeità e sulla fisionomia delle relazioni, cercano di sfuggire ai binomi con cui si è strutturata la cultura patriarcale, come per esempio quelli di fede/ragione, cura/giustizia, affetti/concetti, privato/pubblico, intimo/politico, soggetto/oggetto, anima/corpo...

Mi pare dunque che una qualche differenza tra teologie maschili e femminili si possa avvertire, ma certamente essa è non è definibile né determinabile a priori, perché è mobile, contingente e in divenire come i soggetti che la patiscono e che la simbolizzano.

Il compito delle teologhe oggi

Nei momenti di crisi spesso ci si mette ad ascoltare le donne, come se da loro potesse venire quell’ispirazione alternativa che consente di interrompere i processi di sfinimento della storia. Un po’ accade così anche oggi, per esempio, nelle Chiese impegnate nella ricerca di una sinodalità reale. È un’occasione di confronto vero, da non sprecare, ma l’eco delle voci femminili non dovrebbe risuonare solo quando c’è bisogno di riparare un tessuto smagliato, magari per poi dissolversi nel silenzio quando il potere si ricompone. È di una polifonia che c’è bisogno, senza paura delle dissonanze. Allora si scopre, per dirlo con Maria Zambrano, che il canto di ciò che è vinto non si rassegna tanto facilmente. Il compito delle teologhe riguarda la traduzione in narrazioni efficaci e feconde di questo canto che viene dal margine.

Il compito delle teologhe, dunque, si esprime in tanti modi diversi e si dà in molteplici rivoli della storia, anche se può essere intercettato là dove l’ascolto del dolore del mondo emarginato – femminile ma non solo – si pone in alleanza con i dinamismi pasquali possibili.

Quale Dio cercano le donne

La filosofa Luisa Muraro ha scritto un libro che andrebbe a mio avviso continuamente riletto, Il Dio delle donne. Ne riprendo uno dei passaggi più citati:

«Un giorno si aprì la porta di una vacanza senza fine. Capitò quando, leggendo il libro di Margherita Porete Lo specchio delle anime semplici e altri testi di quella che chiamano mistica femminile, cominciai a udire le parole di una conversazione, non semplicemente nuova ma inaudita, tra due che, per brevità, chiameremo una donna e Dio. Una donna c'era di sicuro, Dio non so, ma di sicuro lei non era sola, c'era un altro o un’altra la cui voce non arrivava fino a me ma che sentivo lo stesso perché faceva un'interruzione nelle parole di lei, o meglio una cavità che trasformava la lettura, la rendeva simile al gesto di chi beve lentamente da una tazza».

Il lavoro del Coordinamento si colloca all’interno di questo campo di pensiero e di vita, anche se si caratterizza per un desiderio differente: si tratta di cercare e di approfondire la libertà evangelica e la sua verità ospitale attraversando la Tradizione e le tradizioni cristiane, senza schivarle. È dunque un lavoro che sta continuamente in confronto con le mediazioni e le narrazioni della storia ecclesiale che, certamente ferita nella sua attenzione alle donne, resta un tessuto teologicamente inaggirabile e ancora gravido di promesse.

Quale Chiesa vogliono le donne

Le teologie femministe parlano nella Chiesa e alla Chiesa. Radicate nella promessa della libertà evangelica, esse misurano e affrontano lo scarto tra la prossimità praticata da Gesù Cristo e l’ingiustizia di legami appesantiti dal potere, di cui le donne hanno purtroppo esperienza particolare. Nel nome del loro battesimo, le donne immaginano e tentano di generare una Chiesa che non si nasconde in un linguaggio neutro e falsamente universale, che non descrive Dio in modo patriarcale, che non sacralizza il maschile a scapito del femminile; una Chiesa che ha il coraggio di ascoltare e di portare alla luce le storie più dure come quelle che raccontano di abusi e di violenze, che si nutre di una tradizione vivente, che condivide le decisioni, che sopporta e supporta la parresia dei suoi membri, che non ha paura di aprire dei conflitti nel tentativo di una pace più profonda, che non usa categorie romantiche per coprire il clericalismo; una Chiesa che osa tentare strade nuove, che non teme di perdere il potere, che non si aggroviglia in ossessioni e cattive forme di comunicazione, che si faccia istruire dalle buone pratiche e che riscopra la forza anche politica del messaggio evangelico.

Questo sogno domanda necessariamente un lavoro teologico sul potere e sulla forma della ministerialità. A maggio il CTI ha organizzato un seminario sull’autorità delle teologie delle donne, da cui nascono posizionamenti, pensieri, trasformazioni, anche pratiche. L’evento si colloca a monte di dibattiti specifici sui ruoli, sulla leadership, sulla ordinazione, senza escludere nulla di tali questioni. Sono tuttavia convinta che sia bene declinare tutto questo attorno alla massima: più autorità e meno potere.

Da questa via, credo, può/ deve passare una riforma della Chiesa.

di Lucia Vantini


LUCIA VANTINI
dice di avere due anime fuse in una: quella filosofica e quella teologica, senza soluzione di continuità. Veronese, classe 1972, sposata, tre figli, a Verona  insegna Teologia fondamentale e Antropologia all’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pietro Martire,  di Antropologia filosofica e Antropologia teologica allo Studio teologico San Zeno, Storia della filosofia contemporanea all’Università statale, ed è docente presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II a Roma. Dal giugno 2021  è la terza presidente, dopo Marinella Perroni e Cristina Simonelli, del Coordinamento teologhe italiane (Cti), nato a Roma nel 2003 per sostenere le donne impegnate nella ricerca teologica e promuovere gli studi di genere in Teologia. Oggi il Cti conta più di 160 tra socie e soci,  cura tre collane di libri (“Sui generis” con edizioni Effatà, “Teologhe e teologie” con Nerbini, “Exousia” con San Paolo) e un blog (“Il regno delle donne”, in collaborazione con la rivista “Il Regno”), ed è parte attiva del Coordinamento delle associazioni teologiche italiane, il Cati. Il prossimo seminario nazionale Cti si svolgerà a Roma il 7 maggio 2022 e avrà come tema l’autorità della teologia delle donne; che in Italia sono state ammesse a frequentare  le facoltà teologiche nel 1965, ma  da allora assicurano una presenza  crescente e una voce plurima e attenta.. Le abbiamo chiesto una riflessione  sul suo essere cattolica e su cosa ha rappresentato e rappresenta la spinta femminista nella Chiesa.