Le persone con disabilità sono fedeli laici che, in forza del battesimo, hanno ricevuto la medesima missione profetica, sacerdotale e regale di ogni cristiano; rappresentano una sfida per la pastorale della famiglia e sono al centro della preoccupazione della Chiesa nella difesa di ogni vita umana. È questo il punto di partenza che ha indotto il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ad inserire la pastorale delle persone con disabilità tra gli ambiti della sua azione pastorale. Era stata, d’altra parte, proprio questa una delle sollecitazioni più vive giunte dai membri e consultori del Dicastero nel corso della sua prima assemblea plenaria.
Nell’intraprendere un tale percorso viene subito alla luce la lungimiranza del Santo Padre nell’accorpare le competenze dei precedenti Pontifici Consigli per la famiglia e per i laici in un unico Dicastero. Tale scelta ha consentito di privilegiare, di fronte ad alcune tematiche, un confronto non frammentario, ma quanto più possibile multidimensionale ed unitario. Come per gli sposi, per i quali la dimensione laicale e quella familiare sono intrinsecamente intrecciate, allo stesso modo, un approccio unificato a partire dai tre macro-ambiti di lavoro del nostro Dicastero — laici, famiglia e vita —, anche per quel che riguarda le persone con disabilità, aiuta ad affrontare le sfide pastorali in maniera non solo più corretta, ma anche più efficace.
Porre come punto di partenza il riconoscimento della piena dignità ecclesiale e civile di tutte le persone con disabilità rappresenta quindi non una semplice premessa, ma la via fondamentale lungo la quale dare inizio e sviluppare ogni ulteriore discorso. Non si tratta, purtroppo, di una considerazione che è possibile dare per acquisita, se è vero che esiste una riflessione teologica — la cosiddetta “teologia della disabilità” — che ha come principale esigenza quella di giustificare l’affermazione secondo la quale tutti coloro che vivono una condizione di disabilità sono persone. Del resto, già nel 1981, la Santa Sede in occasione dell’Anno internazionale delle persone handicappate sentiva la necessità di specificare che «il primo principio, che dev’essere affermato con chiarezza e vigore, è che la persona handicappata [...] è un soggetto pienamente umano». Papa Francesco, in Fratelli tutti (n. 98), raccoglie questo pensiero e ribadisce: «Mi permetto di insistere: bisogna “avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità, perché purtroppo in alcune Nazioni, ancora oggi, si stenta a riconoscerli come persone di pari dignità”».
Una negazione implicita di queste affermazioni — che potrebbero apparire ovvie — è il diniego dei sacramenti a motivo della disabilità. È un fenomeno ripetutamente riprovato dagli ultimi Pontefici che continua a manifestarsi in numerosi contesti ed a mostrare come esista, anche all’interno della Chiesa, un radicato pregiudizio.
In questa prospettiva, la scelta del Santo Padre di indirizzare un messaggio alle persone con disabilità è, nella sua semplicità, profondamente innovativa. La richiesta che il Papa rivolge loro di impegnarsi con convinzione nel cammino sinodale riconosce loro la dignità di discepoli e li associa irrevocabilmente a quel santo popolo fedele di Dio di cui Francesco ci parla fin dalle prime parole pronunciate dalla loggia di San Pietro.
È un popolo la cui identità, con l’andare avanti del pontificato, si chiarisce con maggiore nitidezza. Non si tratta certo di una comunità di perfetti, ma di una carovana alla quale si aggiungono di volta in volta nuovi compagni di viaggio. Così è avvenuto per gli sposi cristiani ai quali il Papa ci ha invitato a guardare come un soggetto ecclesiale rilevante, ma anche, ad esempio, per i popoli dell’Amazzonia o per i movimenti popolari.
Ognuno di questi apporti ci ha permesso di descrivere un’altra faccia di quel poliedro che è la Chiesa. Così, mentre l’insistenza sul dialogo intergenerazionale ci aiuta a non dimenticare che essa cammina nella storia e che ciò che viviamo non è né l’inizio né la fine del percorso, in futuro sarà utile soffermarsi per cogliere cosa l’inclusione delle persone con disabilità possa dirci sull’identità delle nostre comunità ecclesiali.
In proposito, desidero indicare due spunti tra i tanti possibili. Il messaggio del Papa parla a lungo dell’amicizia con Gesù: chi ha avuto la fortuna di percorrere un tratto di strada insieme a persone con disabilità intellettiva, sa bene che si tratta di una modalità tipica con la quale essi vivono la propria fede. È una comprensione soprattutto affettiva che insiste sulla presenza, anche qui ed ora, di un Verbo che continua a farsi carne nella storia del mondo e nell’intimità della propria vita. È la consapevolezza che, come ha detto Papa Benedetto xvi , e ripetuto Francesco, la fede non è una teoria, una filosofia, un’idea, ma un incontro con Gesù. L’amicizia con Gesù non è una strada ingenua, né una scorciatoia adatta ai più semplici: il Santo Padre nel messaggio ricorda che si tratta di quella che tanti santi — egli cita Teresa d’Avila — hanno percorso. In questo senso la presenza di persone con disabilità intellettiva all’interno delle nostre comunità ecclesiali può aiutarci a rendere la nostra esperienza religiosa più relazionale e meno rigida, per usare un’espressione che ricorre frequentemente nelle parole del Papa.
Una seconda caratteristica del santo popolo fedele di Dio sulla quale l’inclusione delle persone con disabilità ci aiuta a fare luce è la sua universalità. Papa Francesco nel messaggio la enuncia con una felice sintesi: il Vangelo è per tutti. Si tratta di un’affermazione che non si può non condividere, ma alla quale ogni comunità ecclesiale è chiamata a dare sostanza e l’inclusione di chi ha una disabilità può essere un valido criterio di discernimento. In questa prospettiva, è necessario chiedersi come fare affinché il cammino sinodale appena iniziato sia realmente un «processo ecclesiale partecipato e inclusivo, che offra a ciascuno — in particolare a quanti per diverse ragioni si trovano ai margini — l’opportunità di esprimersi e di essere ascoltato per contribuire alla costruzione del popolo di Dio», così come raccomanda il documento preparatorio del Sinodo sulla sinodalità.
Proprio a partire da una riflessione sulla necessità di riconoscere in maniera piena la cittadinanza ecclesiale delle persone con disabilità, è nata la prima campagna che il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha deciso di intraprendere in questo ambito: #IamChurch, Io sono Chiesa. Si tratta di cinque video, che verranno pubblicati a partire dal 6 dicembre, nei quali alcune persone con disabilità raccontano il senso e la modalità della propria appartenenza ecclesiale. Sono testimonianze che vengono da differenti Paesi del mondo e che raccontano storie molto diverse accomunate dal desiderio di declinare il proprio essere Chiesa come una scelta soggettiva e consapevole. I video fanno eco alle parole del Papa che, nel messaggio afferma: «Il Battesimo rende ognuno di noi membro a pieno di titolo della comunità ecclesiale e dona a ciascuno, senza esclusioni né discriminazioni, la possibilità di esclamare: “Io sono Chiesa!”. La Chiesa, infatti, è la vostra casa! Noi, tutti insieme, siamo Chiesa perché Gesù ha scelto di essere nostro amico».
Il messaggio del Santo Padre alle persone con disabilità giunge proprio mentre il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita avvia il suo impegno in questo nuovo ambito ed è dunque per noi particolarmente significativo perché offre preziose linee di azione. In particolare, nel riconoscere le persone con disabilità come soggetti ecclesiali, spalanca le porte della creatività pastorale sia per il lavoro futuro del Dicastero, sia, soprattutto, per quello di ogni realtà diocesana e associativa.
*Cardinale prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita
di Kevin Farrell *