· Città del Vaticano ·

La buona Notizia Il Vangelo della i Domenica di Avvento (Luca 21, 25-28.34-36)

Un altro mondo è possibile

23 novembre 2021

Inizia un nuovo anno liturgico e paradossalmente questa pagina del vangelo sembra aver anticipato il tempo della fine: il mondo qui pare sul punto di crollare. È un mondo anzitutto devastato nel suo ritmo naturale. Mai come oggi ci riconosciamo nell’angoscia e nell’ansia per quei segni nel sole, nella luna, nelle stelle, sulla terra e nei mari di cui scrive Luca. In queste parole, però, noi leggiamo i sintomi di ulteriori devastazioni: il nostro è un mondo devastato anche nella sua promessa di vita e di ospitalità, perché ai confini di un’Europa che rivendica le proprie radici cristiane si muore di fame, di sete, di freddo, aspettando una porta aperta indicata da una luce verde, colore della speranza; è un mondo devastato dalla violenza e per di più paralizzato davanti alle storie di piccoli esseri abusati fisicamente, psichicamente e spiritualmente, di donne uccise da uomini pieni di rancore e di frustrazione o costrette al silenzio da regimi patriarcali, di popoli che cercano nella disperazione una possibilità di rinascita lontano dalla terra natale. Forse anche noi, come gli uomini di questo brano, ci sentiamo morire di attesa e di paura.

Tornano allora in mente le parole di Agostino, di fronte al saccheggio di Roma da parte di Alarico, nel 410: questo è un segno della nostra crisi occidentale e delle brame di potere con le quali è stata tessuta. Non si è però limitato a questa diagnosi e, mentre si trovava in Africa, dall’altra parte del Mediterraneo, ricordava che anche in una trama pervertita è però possibile riannodare legami solidali e di cura. È possibile un altro mondo in questo mondo, direbbero le mistiche e i mistici della storia.

È una possibilità che domanda però una rinnovata e coraggiosa cura del proprio cuore. Alleggeriamo il cuore dai pesi dell’egoismo e della competizione spietata tra noi; impariamo a non dissiparlo nelle culture del prestigio sociale; smettiamo di ubriacarlo con idoli che promettono tutto ma in cambio danno solo indifferenza; proviamo a non affannarlo con una quotidianità sequestrata da chi vuole solo vincere e vendere. Allora potremo alzare la testa, come se non ci fosse più bisogno di fare attenzione a dove stiamo mettendo i piedi perché ci fidiamo della strada sulla quale vogliamo camminare insieme.

La preghiera accompagna e sostiene il viaggio perché si offre come preziosa forma di resistenza e di trasgressione nei confronti del male che esiste e che mette angoscia. La preghiera corrode ogni rassegnazione perché sintonizza con la sorgente divina della nostra libertà in un doppio movimento: ci disloca rispetto alle logiche perverse e al senso di impotenza che in esse si respira, e al contempo ci permette di tornare al mondo ferito con la forza rinnovata e inesauribile che viene dall’incontro reale con il Figlio dell’uomo. È così che la vita non ci cade addosso e si lascia avvertire come ancora gravida di novità.

di Lucia Vantini