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Ecumenismo

«Ciò che ci unisce è ben superiore a ciò che ci divide»

 «Ciò che ci unisce è ben superiore a ciò che ci divide»  QUO-245
27 ottobre 2021

«Ringraziamo per questa storica opportunità di pregare insieme, di impegnarsi in uno scambio fraterno di opinioni sulle necessità della Chiesa di Dio e di testimoniare il comune desiderio che tutti i cristiani intensifichino il loro servizio al mondo con umiltà e completa dedizione»: con queste parole Paolo vi e il patriarca siro-ortodosso Mar Ignatius Jacob iii vollero manifestare la gioia per il loro fraterno incontro, il 27 ottobre 1971, indicando una strada per una testimonianza comune. Un evento che ha segnato profondamente i rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa siro-ortodossa, aprendo una nuova stagione che suscitò tante speranze capaci di alimentare, nel corso degli anni, un dialogo fatto di confronto teologico e di impegno condiviso per la pace. Queste parole fanno parte della Dichiarazione comune, sottoscritta dal Papa e dal patriarca al termine della visita compiuta da quest’ultimo nella Capitale, dal 25 al 27 ottobre 1971. In quei giorni, preceduti da contatti informali, venne compiuto un significativo passo nella scoperta di un patrimonio comune — la celebrazione dei sacramenti, la professione di fede, la Parola di Dio e la tradizione apostolica — che testimoniavano l’azione dello Spirito il quale aveva sostenuto la vita della Chiesa lungo i secoli. Si trattava di un patrimonio condiviso che non poteva far dimenticare le differenze teologiche, necessariamente lette in una prospettiva nuova per alimentare i sinceri sforzi per l’unità, mettendo fine a scontri e condanne che erano iniziate con la decisione di alcuni cristiani di non accettare le decisioni del concilio di Calcedonia (451) riguardo alla natura di Cristo, vero Dio e vero uomo. Questi cristiani, appellandosi alla tradizione apostolica, appartenevano a comunità che si sarebbero organizzate nella Chiesa siro-ortodossa nella fedeltà alla propria liturgia in siriaco. Nella Dichiarazione l’accento era posto sul fatto che «non ci sono differenze nella fede che professiamo riguardo al mistero della Parola di Dio, fatta carne e diventata veramente uomo, anche se, nel corso dei secoli, sono emerse difficoltà dalle diverse espressioni teologiche con cui questa fede è stata espressa».

L’incontro era stato voluto da Papa Montini come una tappa della recezione ecumenica del Vaticano ii che per il Pontefice voleva dire favorire la nascita di un dialogo ufficiale tra Chiesa cattolica e le altre Chiese, un segno concreto della necessità di promuovere un confronto teologico che doveva andare di pari passo con la creazione di momenti di fraternità; il Vaticano ii costituiva quindi la fonte di questa nuova stagione, come lo stesso Paolo vi aveva detto ricevendo il patriarca ed evocando il fatto che la Chiesa siro-ortodossa aveva raccolto l’invito di Giovanni xxiii a essere presente al Vaticano ii , tanto da inviare una delegazione di osservatori che avevano contribuito a superare diffidenze e pregiudizi. Le luci e le ombre che avevano caratterizzato i rapporti, spesso conflittuali, tra le due Chiese, per Papa Montini dovevano lasciare lo spazio a un rinnovato impegno per la ricerca di comunione fraterna che aiutasse i cristiani nella costruzione dell’unità visibile della Chiesa.

Nel salutare il patriarca, il 27 ottobre 1971, Paolo vi volle ricordare il ruolo della Chiesa siro-ortodossa nell’approfondire il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, grazie al contributo di «predicatori, studiosi e pastori» che, in alcuni casi, avevano dato la loro vita per vivere la fedeltà alla propria tradizione. Per il Pontefice era altrettanto importante che la Chiesa siro-ortodossa fosse «così attivamente impegnata, in unione con le Chiese orientali ortodosse, nella ricerca di nuove strade per sostenere la propria missione in uno spirito di unità e di docilità a quanto lo Spirito sta dicendo alle Chiese». Tali parole desideravano sottolineare quanto fosse prioritario l’impegno ecumenico per questa Chiesa che nel 1960 era entrata a far parte del Consiglio ecumenico delle Chiese, spendendosi anche per la creazione di quello che sarebbe diventato il Consiglio delle Chiese cristiane del Medio oriente, istituito nel 1974: iniziative che accompagnavano un’azione locale con la quale la Chiesa siro-ortodossa, nei molti Paesi dove era presente, in alcuni casi con comunità che avevano una storia più che millenaria, si proponeva di aiutare i cristiani a affrontare le sfide religiose e politiche che investivano il Medio oriente. La fraternità dell’incontro tra Paolo vi e Mar Ignatius Jacob iii mise le fondamenta a un dialogo che, pur rifluito poi nel più ampio alveo del dialogo tra la Chiesa cattolica e quelle ortodosse orientali, pur mantenendo una sua specificità, è stato poi ripreso da Giovanni Paolo ii che sottoscrisse, il 23 giugno 1984, una Dichiarazione comune con il patriarca Moran Mar Ignatius Zakka i Iwas, che era stato uno degli osservatori della Chiesa siro-ortodossa al Vaticano ii . In questa nuova Dichiarazione, dove era esplicitamente richiamato l’incontro del 1971, ci si proponeva, alla luce dei fraterni rapporti che si erano sviluppati nel corso degli anni, «di dilatare l’orizzonte della loro fraternità e affermare, così facendo, le modalità della profonda comunione spirituale che li unisce ed unisce i prelati, il clero e i fedeli di entrambe le loro Chiese, per consolidare questi legami di fede, speranza e carità e progredire nella ricerca di una completa e comune vita ecclesiale». Un impegno che doveva poi incarnarsi in una comune azione per rafforzare il cammino ecumenico, con una collaborazione pastorale finalizzata alla definizione di percorsi di formazione spirituale e teologica oltre a consentire l’amministrazione dei sacramenti da sacerdoti dell’una o dell’altra Chiesa in tutte quelle situazioni nelle quali era richiesta «sia per la dispersione dei nostri fedeli attraverso il mondo, sia per le precarie condizioni di questa difficile epoca».

A questo dialogo, che in anni recenti ha dovuto confrontarsi anche con la tragica situazione della Siria, con sofferenze che hanno coinvolto direttamente anche la Chiesa siro-ortodossa, oggetto di violenza, distruzioni e rapimenti, come quello del metropolita Mar Gregorios Yohanna Ibrahim conclusosi tragicamente con la morte del prelato, ha fatto riferimento anche Papa Francesco quando ha ricevuto in udienza il patriarca Mar Ignatius Aphrem ii , il 19 giugno 2015. In quella occasione, oltre a richiamare l’incontro del 1971, il Pontefice ha voluto esprimere tutta la sua vicinanza a una Chiesa che stava patendo sofferenze e dolori, anche per il martirio di tanti suoi fedeli. Di fronte a questa terribile situazione Francesco ha rilanciato il comune impegno ecumenico proprio per promuovere una cultura della pace con la quale sconfiggere la guerra che investe da anni la regione: è necessario affrettare i passi «tenendo fisso lo sguardo al giorno in cui potremo celebrare la nostra appartenenza all’unica Chiesa di Cristo intorno allo stesso altare del Sacrificio e della lode».

Dall’incontro tra Paolo vi e il patriarca Mar Ignatius Jacob iii, che tanto doveva alla lettera e allo spirito del Vaticano ii nel proporre nuove strade per testimoniare l’unità nella diversità, aveva avuto inizio un “santo pellegrinaggio” che chiede oggi di «scambiarsi i tesori delle nostre tradizioni come doni spirituali, perché ciò che ci unisce è ben superiore a ciò che ci divide».

di Riccardo Burigana