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Il Sinodo è dei poeti e di chi prega

 Il Sinodo è dei poeti e di chi prega   QUO-230
09 ottobre 2021

«La tendenza ad attaccare la democrazia è assai forte perché la democrazia è frustrante. Anche quando funziona, di rado porta a gratificazioni immediate, perché ogni singola azione dovrà essere mediata attraverso forme di compromesso. Poiché è molto probabile che includa punti di vista ampiamente conflittuali, i processi democratici, di solito, sono estremamente complicati e richiedono forme di pensiero e comunicazione ricche di sfumature. Di sicuro, la democrazia non è fatta per gli istinti umani». Può risultare abbastanza pericoloso accostare alla parola Sinodo l’impietosa riflessione che Cristopher Bollas fa nel suo saggio L’età dello smarrimento parlando di democrazia. E il pericolo può venire da quel fraintendimento che molti fanno nel confondere il processo sinodale come una sorta di processo di democratizzazione della Chiesa. Il Sinodo non è una forma di democrazia ma la riscoperta di una identità che nasce come frutto dello Spirito. Un Sinodo non serve a trovare un “giusto compromesso” tra posizioni molte diverse tra loro, ma a riscoprire al fondo di ogni diversità quel fiume comune di verità e comunione che ci tengono insieme. L’assunto da cui ogni Sinodo parte è semplice: ciò che ci unisce è più forte di ciò che può dividerci, e lo Spirito parla un linguaggio di comunione proprio attraverso la dialettica della diversità. Non si tratta quindi di trovare “compromessi” ma di riscoprire una comunione sulle cose che contano, e in quella comunione sapere che parla la volontà di Dio, unica vera grande preoccupazione di ciascuno di noi. Ma Bollas fa emergere un aspetto che è valido anche per un processo sinodale: dialogare, comunicare, ascoltare, confrontarsi, integrare, lasciarsi mettere in discussione, sono tutte cose che presuppongono la fatica di metterci contro quell’istinto di prevaricazione che abita dentro ciascuno di noi. Il fascino di una simile esperienza non deve illuderci che sia anche semplice. La vera possibilità è data dalla capacità di scendere a un livello più profondo di confronto. Bisogna passare dall’istintuale allo spirituale. In questo senso, laicamente, due poeti si intendono meglio di due manifestanti. E cristianamente due persone che pregano si intendono meglio di due cristiani che militano in sensibilità opposte. Il Sinodo è di chi prega non di chi vota. Ecco perché mi ha colpito ascoltare qualche giorno fa le parole del cardinale Grech che diceva «sogno un tempo in cui non avremo più bisogno di votare in un Sinodo perché ci intenderemo senza più bisogno di maggioranze e minoranze». Può sembrare una provocazione o l’incanto d’un poeta che vede le cose da una luce idealistica, ma sono convinto che la vera poesia è profezia: vede molto più lontano di quanto il nostro realismo riesca a vedere.
Grech ha ragione, senza un sogno così non avrebbe senso nemmeno metterci in gioco in una simile esperienza. Ci riusciremo? Desiderarlo è già un frutto dello Spirito.

di Luigi Maria Epicoco