Ripresa
Intervista con il sottosegretario Nathalie Becquart
Il sinodo si trasforma. Nel suo svolgimento sono stati introdotti dei cambiamenti. Ormai, secondo le parole del cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ognuno potrà far udire la propria voce. Ma, in concreto, che cosa cambierà per le donne?
Abbiamo posto la domanda a suor Nathalie Becquart, religiosa saveriana francese, da febbraio 2021 sottosegretario del Sinodo de Vescovi.
«Il fatto veramente nuovo dalla promulgazione nel 2018 della nuova costituzione di Papa Francesco sul Sinodo, Episcopalis communio, è che si considera meno il sinodo come un evento, che coinvolge soprattutto i vescovi, e lo si vede più come un processo in cui la fase di preparazione è estremamente importante. La consultazione a livello prima diocesano, poi nazionale e continentale, in un certo modo, è già sinodo. La posta in gioco di questo sinodo è dunque il coinvolgimento più ampio possibile della diversità del Popolo di Dio, del sensus fidei. E le donne, che rappresentano almeno la metà dei battezzati, sono incoraggiate a impegnarvisi. In pratica, ciò che cambierà per le donne è che saranno parte attiva fino dall’inizio, in particolare a livello locale: nelle parrocchie, nelle comunità, nei movimenti e nelle diocesi. In questa nuova dinamica, sono veramente attese».
In che cosa il contributo delle donne è (o non è) un valore aggiunto?
Il processo sinodale è un cammino aperto. Perciò credo che non bisogna avere un’idea preconcetta sul contributo che le donne possono dare. Al contrario, la posta in gioco in realtà è che osino prendere la parola e occupare il posto che spetta loro. Direi che le donne devono apportare ciò che sono. In fondo credo che quello che offrono di specifico è l’essere motore di sinodalità. Perché desiderano fortemente che la Chiesa non sia più una Chiesa clericale riservata a un’élite, dove alcuni decidono per tutti. Le donne aspirano a partecipare alle decisioni della Chiesa. E d’altronde, gli ultimi sinodi hanno chiaramente insistito sulla sfida della leadership delle donne nella Chiesa.
Perché le donne aspirano ad assumersi le proprie responsabilità nella Chiesa?
Se si guarda la storia della Chiesa e della società, la maggior parte dei paesi hanno ereditato secoli di mentalità patriarcale. Ancora oggi alcune donne ne sono vittima. Le donne sono state ovunque dominate, non è stato permesso loro di fare la propria parte, far sentire la loro voce ed esprimere i loro talenti. Le donne auspicano vivamente rapporti più egalitari, basati sul rispetto. E perciò sono un forte motore di sinodalità. Io dico spesso che nel Popolo di Dio, le donne e i giovani sono in prima linea per mettere in atto e promuovere la sinodalità.
Resta il fatto che il processo di consultazione si baserà inevitabilmente sulle strutture esistenti. Si sa che in certe Chiese locali le donne hanno ancora un ruolo marginale.
La consultazione inizierà sicuramente dalle diocesi, i movimenti, le associazioni internazionali dei fedeli, le comunità religiose o di vita consacrata sono invitati a partecipare prima al livello delle diocesi, perché loro fanno parte del Popolo di Dio e tutti i battezzati devono essere soggetti della consultazione. È qui in Chiese locali che deve realizzarsi in modo ordinario la consultazione del Popolo di Dio. Perché è qui che cammina la Chiesa.
Ma anche Episcopalis communio mette nero su bianco che quelle istanze sono anche luoghi per i quali deve passare la consultazione, come pure per gli istituti di studi superiori o le università cattoliche. Inoltre, come durante il Sinodo sui giovani, è previsto che gruppi di persone o eventualmente singoli individui possano inviare il loro contributo direttamente alla Segreteria Generale del Sinodo. Di conseguenza, le donne potrebbero far udire la loro voce attraverso, ad esempio, le associazioni di cui fanno parte, e in particolare le associazioni femminili.
Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto. Ora, a ragione, molte donne hanno l’impressione di non essere ascoltate
Il pontificato di Papa Francesco è profondamente radicato in ciò che il concilio Vaticano ii dice sulla Chiesa vista come Popolo di Dio. La Chiesa, per sua natura, e dunque costitutivamente, è sinodale. Del resto, nei primi secoli della Chiesa il governo era collegiale e sinodale. In seguito, questo accento si è perso e lo si riscopre oggi come un frutto del Vaticano ii . Basti ricordare che nella costituzione conciliare Lumen gentium il capitolo ii sul Popolo di Dio è posto prima del capitolo sulla gerarchia. Papa Francesco mette bene in luce che, al di là di ogni nostra differenziazione, nella Chiesa noi tutti abbiamo in comune l’essere battezzati. Resta il fatto che, perché le cose cambino, occorre una conversione delle mentalità e al tempo stesso una riforma delle strutture. Certo, questo sinodo non cambierà tutto dall’oggi al domani. Noi abbiamo chiesto a tutte le diocesi di costituire gruppi sinodali che possano accompagnare e far vivere il processo sinodale. È da sperare che in questi luoghi molto concreti ci si apra di più all’importanza del lavoro di gruppo, uomini e donne, laici, consacrati, clerici. Peraltro, il fatto che siano stati nominati sottosegretari della Segreteria Generale del Sinodo contemporaneamente un uomo e una donna — lo spagnolo monsignor Luis Marín de San Martín ed io — potrebbe servire da esempio altrove. Una Chiesa sinodale è una Chiesa in cui si lavora e si discerne insieme.
Questa nuova dinamica sinodale potrebbe anche allentare le tensioni e le rivendicazioni in alcune Chiese?
Capisco che qualcuno possa pensare che ci si stia mettendo troppo tempo ma il cambiamento in ogni istituzione non si fa in un giorno. La sfida più grande è di riuscire, uomini e donne, ad ascoltarsi, a capirsi. Speriamo davvero che questo sinodo favorisca un dialogo molto più intenso tra i pastori e i fedeli. Ciò esige anche di conoscersi reciprocamente, di superare le paure, talvolta di abituarsi.
Negli ultimi sinodi, la questione del voto delle donne ha suscitato vivo interesse e qualche polemica. E la sua nomina ha suscitato aspettative. La questione del voto delle donne, come la vede lei?
Mi ricollego a quanto detto dal cardinale Grech quando sono stata nominata. Grazie alla chiamata che ho ricevuto e alla funzione che esercito, si è aperta una porta. Ma non posso dire in anticipo ciò che accadrà. Capisco l’interesse che suscita la questione del voto. Noi viviamo in culture democratiche dove il voto ha un ruolo simbolico estremamente importante. Ma quando si esamina a fondo cos’è un sinodo, appare evidente che se la dinamica funziona bene deve produrre un consenso. Di fatto, il voto arriva alla fine del processo quando ci si è messi d’accordo su un testo finale. Durante il Concilio la quasi totalità delle istituzioni e dei testi sono stari votati alla quasi-unanimità. E nell’aula del sinodo avviene lo stesso. Non voglio dunque sminuire l’importanza del voto. Ma ad apparirmi particolarmente importante non è tanto che le donne possano votare alla fine, ma piuttosto che possano partecipare fin dall’inizio del processo all’elaborazione del discernimento comune che dovrebbe portare a un consenso. Il Sinodo non è un parlamento; è una realtà umano-divina, guidata dallo Spirito.
Il Sinodo potrebbe diventare un vettore di rinnovamento e di riforma della Chiesa?
Il Sinodo dei Vescovi è una delle tante forme sinodali che esistono. I sinodi diocesani sono un’altra forma istituzionale di sinodalità. Ma la posta in gioco attuale non è solo di avere dei sinodi, ma anche che lo stile stesso della Chiesa a tutti i livelli diventi sinodale. Oggi siamo chiamati a una sinodalizzazione della Chiesa in tutte le sue istanze, a ogni livello, per fare veramente della sinodalità un modus operandi quotidiano. Nelle nostre società molto individualistiche abbiamo spesso perso la dimensione comunitaria ed ecclesiale della nostra fede. Oggi siamo come in una fase di riapprendimento della sinodalità. Sinodalità che era presente agli albori della Chiesa. Ma non si può fare solo un copia-incolla: il contesto nel quale viviamo è diverso. Questo riapprendimento passa perciò anche per l’esperienza, per il vissuto.
di Romilda Ferrauto