· Città del Vaticano ·

Il Senegal ricorda il porporato nel centenario della nascita

Hyacinthe Thiandoum un pilastro del dialogo

 Hyacinthe Thiandoum un pilastro del dialogo  QUO-218
25 settembre 2021

Di lui il cardinale Bernardin Gantin disse: «Ha giurato fedeltà viscerale all’Africa e si è dedicato interamente a questo continente». È il cardinale Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo di Dakar dal 1962 al 2000, di cui è stato ricordato stamane a Roma il centenario della nascita, con la celebrazione della messa nella chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli. Alla celebrazione, presieduta dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, erano presenti tra gli altri i cardinali Tagle, ​​prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, e Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, l’attuale arcivescovo di Dakar, monsignor Benjamin Ndiaye, membri del corpo diplomatico, rappresentanti del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e del clero africano, ed esponenti delle associazioni musulmane e cattoliche dei senegalesi residenti nell’Urbe, che hanno pregato anche per le vittime della tragedia della barca Diola (26 settembre 2002).

Primo arcivescovo autoctono di Dakar e primo senegalese a essere insignito della porpora cardinalizia, Hyacinthe Thiandoum ha cristallizzato, nella sua vita e nella sua opera, il genio creativo del suo popolo per aprirlo alla cultura del dialogo. Per questo Giovanni Paolo ii , nel suo ultimo libro Alzatevi, Andiamo!, aveva espresso nei suoi confronti affetto e ammirazione.

Nato il 2 febbraio 1921 a Popenguine, divenne pastore dell’arcidiocesi di Dakar il 4 aprile 1962, due anni dopo l’indipendenza del Paese, in sostituzione di monsignor Marcel Lefebvre, missionario spiritano. Come motto episcopale scelse le parole di Simon Pietro a Gesù, nel Vangelo di san Luca: In verbo tuo, laxabo rete, «Sulla tua parola getterò le reti» (5, 5), guidando l’arcidiocesi della capitale senegalese fino all’anno del Grande giubileo del 2000.

Rievocando quel momento storico decisivo per il Senegal, in un’intervista a Vatican News l’arcivescovo Ndiaye ricorda che Thiandoum «arriva davanti a una sfida: una Chiesa che deve essere africana in terra senegalese, contando sulle sue capacità di autodeterminazione». In questo modo egli si unisce alla linea di quei pastori del continente la cui missione era quella di predicare «una Chiesa autenticamente africana e cristiana».

Più volte relatore al Sinodo dei vescovi, la sua cultura e la sua dimensione pastorale sono andati ben oltre i confini della Chiesa del Senegal. Nel Paese era un punto di riferimento essenziale: la sua voce si levava in poche occasioni, ma risuonava forte e chiara allorché si trattava di prendere posizione in un momento grave o solenne. Aveva una capacità di adattamento intelligente: dote preziosa che gli permetteva di testimoniare la vicinanza del pastore al gregge ma anche di mantenere la distanza critica che si imponeva quand’erano richiesti il suo punto di vista o la sua posizione su aspetti importanti della vita socio-politica.

Come cittadino senegalese, con responsabilità di primo piano nella vita della giovane Nazione, non esitò a intervenire, ogni volta che se ne presentava la necessità, in comunione con altri vescovi del Senegal. Come accadde durante la crisi politica — senza dubbio la più grave nella vita del Paese — che si verificò nel primo anno del suo episcopato e che vide di fronte Léopold Sédar Senghor, presidente della Repubblica, e Mamadou Dia, presidente del Consiglio. Thiandoum non risparmiò alcuno sforzo per evitare una rottura tra i due uomini politici e, dopo la condanna di Dia, per chiedere il suo rilascio e quello dei suoi compagni. La testimonianza personale che lo stesso Mamadou Dia lasciò di lui è molto eloquente: «Il cardinale è stato per me un fratello e un amico dei giorni buoni e cattivi. Durante tutta la mia detenzione a Kédougou, non ha mai perso occasione per chiedere il mio rilascio. Entrambi abbiamo praticato il dialogo islamo-cristiano prima che fosse istituzionalizzato, come anime gemelle. Era una persona particolarmente aperta, in ottimi rapporti con musulmani... È stato un grande patriota che non ha esitato a prendere coraggiosamente posizione sui problemi cruciali» del Paese e anche del continente.

Innamorato della giustizia e impegnato nel rispetto della dignità umana, senza distinzione di religione, etnia o nazionalità, Thiandoum difese i missionari espulsi dalla Guinea nel 1967, sostituiti da sacerdoti diocesani senegalesi che si erano offerti volontari. Gli eventi del maggio 1968 non risparmiarono neanche il Senegal, tanto che egli pubblicò, il 24 giugno di quell’anno, la lettera pastorale Le travail qui sauve sugli scioperi degli studenti dell’università di Dakar e dei lavoratori, denunciando tra l’altro l’espulsione dei domenicani che avevano ospitato manifestanti presso la parrocchia universitaria.

Fervente sostenitore e precursore del dialogo tra cristiani e musulmani, “icona” dell’esperienza senegalese nel campo della tolleranza religiosa, è divenuto un simbolo di fratellanza tra credenti. «Ereditiamo, da questo punto di vista — sottolinea ancora monsignor Ndyaie — un esempio che dobbiamo seguire. E questo contribuisce molto a una conoscenza reciproca e a una stima reciproca, che è il cemento di una comprensione fraterna tra credenti di diversa sensibilità».

Un’eloquente armonia di valori complementari — poiché Thiandoum proveniva da una famiglia ricca di varietà etniche (sérères, safènes e lébous) e religiose (cristianesimo, islam, religioni tradizionali) — ha alimentato il suo messaggio e la sua opera in diversi campi. E questo senso di mediazione gli ha permesso di evitare scontri di tipo religioso in Senegal.

Come non vedere nei suoi molteplici viaggi tra Dakar, Roma ed Econe (in Svizzera), nel tentativo di riportare alla “ragione” monsignor Lefebvre, la manifestazione delle sue qualità di grande mediatore? Allo stesso modo, la sua apertura all’universale lo motivò a essere, durante il concilio Vaticano ii — di cui raccontò i lavori scrivendo articoli ed editoriali sulla rivista senegalese «Horizons africains» — un fervente difensore dell’inculturazione. Thiandoum fu anche un infaticabile artefice della promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, senza mai trascurare quella di un laicato impegnato e responsabile.

In occasione della celebrazione giubilare per i suoi 50 anni di presbiterato, il 18 aprile 1999, l’ex presidente della Repubblica, Abdou Diouf, dichiarò: «Il cardinale è un uomo buono, un uomo di Dio ed è un uomo per il quale nutro la più grande ammirazione, ma anche tanto affetto e rispetto. Sono venuto a mostrargli tutto questo, insieme all’attaccamento di tutto il popolo senegalese, alla loro considerazione e alla loro stima. Il cardinale Thiandoum, in 50 anni di sacerdozio, ha compiuto un viaggio eccezionale dedicato a Dio, alla Chiesa universale, al Senegal e all’Africa».

All’annuncio della sua morte, avvenuta il 20 maggio 2004, Papa Wojtyła aveva inviato un telegramma a monsignor Théodore Adrien Sarr (oggi cardinale) per «rendere omaggio a questo nobile figlio della nazione senegalese che si è donato generosamente per i suoi fratelli, servendo Cristo e la sua Chiesa, rimanendo anche presso il Successore di Pietro una voce illuminata dell’Africa».