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La conferenza di Varsavia sulla tutela dei minori

La visione di Francesco della conversione pastorale

 La visione di Francesco  della conversione pastorale  QUO-213
20 settembre 2021

Ieri pomeriggio, domenica 19 settembre, il cardinale presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori (Pctm), si è rivolto ai partecipanti alla conferenza internazionale sulla salvaguardia dei bambini e degli adulti vulnerabili in Europa centrale e orientale, in corso a Varsavia, ribadendo il concetto della necessaria conversione pastorale. Di seguito, un sunto del discorso da lui pronunciato all’apertura dei lavori, organizzati dalla stessa Pctm e dalla Conferenza episcopale polacca.

Fin dall’inizio del suo ministero, Papa Francesco ha sottolineato l’importanza della conversione pastorale come percorso missionario di tutta la Chiesa. Questa conversione porta con sé quel tipo di trasformazione necessaria a garantire che il Vangelo raggiunga ciascuna persona e ogni parte della nostra vita. Il Santo Padre ci ricorda l’insegnamento di Papa Paolo vi , che richiamò a un profondo rinnovamento a livello personale e da parte della Chiesa tutta. La conversione, a livello personale e istituzionale, è il centro del processo di rinnovamento ed è essenziale per quella che Papa Francesco chiama la “trasformazione missionaria” della Chiesa.

La conversione pastorale è importante per noi mentre concentriamo i nostri sforzi sul rinnovamento della Chiesa di fronte agli abusi sessuali. Dobbiamo lavorare per quel cambiamento che sarà compreso in ogni aspetto della vita della Chiesa, lottando contro gli abusi sessuali ovunque si siano verificati, indipendentemente dalla condizione o dall’incarico della persona che ha commesso il crimine. È mia speranza che i prossimi passi sappiano fornire una guida al ministero della tutela e della cura dei minori e delle persone vulnerabili nella nostra Chiesa.

L’ascolto

Papa Francesco ci ha chiesto di iniziare il cammino di conversione riconoscendo la verità di quanto accaduto. Per fare questo, dobbiamo fare nostro l’approccio di un cuore che ascolta. Le persone che hanno ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti sanno quanto queste esperienze siano difficili e rappresentino una sfida. Personalmente ho incontrato centinaia di sopravvissuti: le loro testimonianze sono strazianti, soprattutto quando raccontano che nessuno ha voluto credere loro quando per la prima volta hanno denunciato l’abuso. Possiamo solo immaginare, ma in verità mai comprendere pienamente, quanto più difficile possa essere stato per coloro che hanno subito gli abusi e sono stati costretti a convivere con le conseguenze per tutta la vita.

Quando le persone che hanno subito abusi da un membro del clero, un religioso o un’altra persona nella Chiesa raccontano la loro storia, dobbiamo ricevere loro e la loro testimonianza con il più profondo rispetto. Dobbiamo istituire canali trasparenti di comunicazione e di incontro attraverso i quali i sopravvissuti possono contattare la Chiesa qualora desiderino farlo. È incoraggiante che ormai molte diocesi hanno una persona di contatto o un servizio di assistenza telefonica o un indirizzo di posta elettronica al quale possono rivolgersi i sopravvissuti o membri della loro famiglia: questa è un’iniziativa buona e importante. Se una diocesi non riceve grandi riscontri dopo avere istituito questi canali di contatto, questo ancora non significa che la realtà dell’abuso sessuale da parte del clero o dei religiosi non esista. La mancanza di risposte può significare invece che i canali di comunicazione stabiliti non siano adeguati o appropriati rispetto alle particolari circostanze di quella diocesi o di quel Paese. È importante che tutti manteniamo l’impegno a fornire opportunità accessibili, accoglienti e non giudicanti ai sopravvissuti e ai loro cari affinché possano contattare e iniziare un dialogo con la Chiesa locale.

Dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che ci sono molte persone nelle nostre comunità che hanno sofferto la tragedia dell’abuso sessuale nella Chiesa e che non hanno mai parlato con nessuno della loro esperienza.

La nostra collega, la dottoressa Ewa Kutz, ha scritto recentemente un articolo profondo, pubblicato su «L’Osservatore Romano», sulla difficoltà riscontrata dalle vittime quando devono raccontare le loro esperienze. Scrive così: «Le persone che sono state ferite, ora parlano. Alcune gridano a pieni polmoni, rivendicando il diritto di parlare e di essere ascoltate. Altre ne parlano timidamente nella serenità di un’assistenza psicoterapeutica, oppure si confidano soltanto con i loro cari. Alcuni urlano. Altri parlano rimanendo in silenzio nel loro silenzio».

Riconoscere i sopravvissuti

Affinché possiamo raggiungere la conversione pastorale alla quale ci chiama il Santo Padre, dobbiamo riconoscere in maniera onesta e trasparente le persone che sono state abusate. Ascoltare il dolore degli altri, le sofferenze del popolo di Dio porta ad ammettere il torto fatto e le sofferenze inflitte. La conversione pastorale richiede che ci allontaniamo da un inappropriato atteggiamento difensivo che può essere dannoso e offensivo, abbracciando al contrario un atteggiamento di profondo ascolto della vittima con la disponibilità a comprendere meglio quanto ha sopportato.

Un ostacolo a questo riconoscimento — in particolare per i pastori — è quello che il Santo Padre, nel videomessaggio inviato per questa Conferenza, definisce «una malintesa preoccupazione per la reputazione della Chiesa in quanto istituzione». Soprattutto in quei luoghi in cui la Chiesa è stata soggetta a persecuzione sistematica per molto tempo, una risposta difensiva alle accuse può apparire spesso come una risposta istintiva. Mentre è vero che i pastori hanno la responsabilità di tutelare la Chiesa e in molti casi hanno sofferto o addirittura dato la vita in difesa della fede, è vero anche che una risposta scettica e a volte perfino mortificante alla denuncia di abusi, può provocare seri danni alle persone che sono affidate alla sollecitudine e alla cura pastorale della Chiesa, e cioè alle persone ferite e distrutte dall’abuso del ministero all’interno della stessa Chiesa.

Il Santo Padre sa che il riconoscimento dei torti che sono stati commessi dai ministri della Chiesa può effettivamente farci sentire vulnerabili. Però, la vulnerabilità può essere vissuta anche come un momento di grazia, un momento di kenosi, l’esperienza dell’azione di Dio nel nostro mondo, che porta guarigione e luce in un luogo buio, in modo che tutti possano vivere in maniera più libera, come discepoli e credenti. Significa che possiamo continuare ad essere lavoratori operosi nella vigna del Signore rimanendo, allo stesso tempo, onesti riguardo agli abusi che sono avvenuti tra i fedeli di Cristo.

Alla ricerca del perdono

Ammettere la verità riguardo all’accaduto ci aiuta a progredire nel cammino di conversione e rinnovamento. Non possiamo predicare quanto noi stessi non accettiamo come “vero”. Per i pastori e per altre persone che sono alla guida della Chiesa, ascoltare e confermare la realtà dell’abuso sessuale da parte di ministri della Chiesa significa l’impegno in un processo di conversione. Se seguiamo le orme di Gesù, che si commuoveva alla vista delle necessità della gente, non possiamo non commuoverci di fronte a quanto ascoltiamo e veniamo a sapere...

Se poniamo questa dinamica nel contesto di un incontro con Cristo riusciremo a vedere nel sopravvissuto una persona che è stata trattata ingiustamente, costretta a soffrire e che, in molti casi, è stata respinta, nella sua sofferenza, dalla stessa Chiesa. Assumendo il ruolo di protagonisti nelle nostre comunità, i sopravvissuti possono dare una visione importante della verità del Vangelo che apre la strada a una nuova evangelizzazione, addirittura della Chiesa stessa. L’ascolto e l’ammissione della realtà degli abusi sessuali vuole portare alla riconciliazione con i sopravvissuti, come ci chiede con urgenza Papa Francesco nel suo videomessaggio: «Solamente affrontando la verità di questi comportamenti crudeli e ricercando umilmente il perdono delle vittime e dei sopravvissuti, la Chiesa potrà trovare la sua strada per essere di nuovo considerata con fiducia un luogo di accoglienza e sicurezza per coloro che sono bisognosi».

È importante fornire ai sopravvissuti delle scuse sincere; ma “chiedere perdono” richiede altro che non rilasciare una dichiarazione o tenere un incontro. Molto di più, è un processo che raramente si compie in un momento e che a volte non sarà compiuto mai. Ogni esperienza e ogni cammino di ogni sopravvissuto è profondamente personale e diverso da quelli di qualsiasi altra persona. Così come il Signore va alla ricerca dei perduti e degli abbandonati, allo stesso modo sacerdoti, religiosi e laici devono cercare il perdono delle persone che sono state ferite. Per il clero e i religiosi il processo di conversione pastorale è sostenuto dalla nostra richiesta di perdono a tutti coloro che sono stati colpiti dagli abusi sessuali. È evidente che questo non è un cammino semplice, ma noi dobbiamo compierlo, questo cammino, insieme con le vittime e con tutte le persone coinvolte...

Percorsi concreti di riforma

Ascoltare i sopravvissuti, riconoscerli e chiedere loro perdono sinceramente sono passi indispensabili in questo percorso di rinnovamento. Sono parte della ricostruzione che deve avvenire se la Chiesa vuole recuperare la propria credibilità e promuovere la guarigione. La comunità chiede che sia mantenuto il giusto ordinamento, ma il giusto ordinamento della Chiesa è stato spezzato dai crimini di alcuni dei suoi ministri.

Ancora una volta, il Santo Padre sottolinea l’importanza di questo passo successivo, quando ci dice che: «Le nostre espressioni di contrizione devono essere convertite in un concreto cammino di riforma, sia per prevenire ulteriori abusi che per garantire agli altri la fiducia nel fatto che i nostri sforzi condurranno a un cambiamento reale e affidabile».

In questa ottica è necessaria l’opera di creazione di politiche, procedure e linee guida da rivedere e aggiornare regolarmente; sono cruciali, in questo ambito, i requisiti per lo screening, la formazione e l’obbligatorietà della segnalazione alle autorità civili. Senza politiche e procedure chiare e definite, le persone si cimentano nell’improvvisazione — spesso con buone intenzioni — ma i risultati troppo spesso sono disastrosi. Sappiamo anche, però, che le sole politiche non sono sufficienti: abbiamo bisogno di metodi efficaci per verificare la conformità e monitorare l’attuazione di queste politiche. La formazione e la verifica del passato del personale ecclesiastico è fondamentale, come pure i controlli per la salvaguardia e la garanzia oltre a intraprendere controlli di salvaguardia e garantire che le nostre procedure canoniche e civili siano aggiornate e in armonia tra loro...

Conclusioni

Il percorso di apprendimento riguardo al crimine e al peccato dell’abuso sessuale nella vita della Chiesa sarà continuo e ci accompagnerà nella vita: abbiamo tanta strada da fare.. Con l’aiuto di persone impegnate e competenti, come quelle qui riunite e tante altre in questa Regione, dedicate al processo di guarigione e di riconciliazione, confido che siamo sulla strada giusta e che possiamo compiere importanti progressi, avendo sempre come priorità, lungo il cammino, la sollecitudine per le vittime e per le loro necessità.

Voglio riconoscere il merito e ringraziare tutti i sopravvissuti che continuano a voler condividere le loro storie: è grazie al loro coraggio che i servizi per la protezione e l’assistenza dei minori e degli adulti vulnerabili stanno diventando sempre più elementi centrali nella vita della Chiesa. Grazie a loro, possiamo dare aiuto a chi è stato gravemente danneggiato dalla Chiesa, e risparmiare ad altri di vivere questo orrore...

di Seán Patrick O’Malley