Non si può fare a meno di vedere la vita di Gesù come una rielaborazione della persona di Giosuè. Giosuè e Gesù hanno lo stesso nome in ebraico e letteralmente l’opera di Gesù può essere paragonata a quella di Giosuè, erede di Mosè, che fa entrare nella Terra Promessa dopo la traversata del Giordano.
Giosuè è definito come servo di Mosè in Es 24, 13 e Dt 1, 38. Fu Mosè a cambiargli il suo nome Osea in Giosuè che significa “Dio salva” (Num 13, 16). Nato in Egitto durante il periodo di schiavitù egli è testimone di un’epoca chiave della storia d’Israele. Appena usciti dall’Egitto, gli Ebrei devono affrontare Amalek che si oppone a loro. Mosè prega sulle alture con le braccia aperte. Aronne e Hur sostengono le sue braccia. Finalmente Giosuè trionfa su Amalek il suo nemico (Es 17, 9-14). Accompagna poi Mosè sul Sinai quando quest’ultimo riceve le tavole della Torah (Es 24, 13). Aronne e gli anziani restano presso il popolo. Giosuè partecipa poi come rappresentante della sua tribù all’esplorazione della Terra Santa e con Caleb dà un giudizio favorevole per l’occupazione di Canaan (Num 14, 6). Saranno gli unici di quella generazione ad entrare nella Terra promessa.
Succede a Mosè come capo della comunità. Attraversa il Giordano mentre le acque si dividono in due, erige un monumento a Gilgal, circoncide gli Israeliti (Gs 5, 2-9), prende Gerico, le cui mura crollano dopo che i sacerdoti l’hanno circondata sette volte con l’arca. Conquista poi la città di Ai. Offre un sacrificio sul monte Ebal, di fronte al Garizim (Gs 8, 30-35), conclude un’alleanza con i Gabaoniti e viene in loro aiuto. Uccide cinque re amorrei, prima di conquistare le città meridionali e settentrionali di Canaan. Quindi divide il paese tra le tribù. La sua carriera si conclude con la convocazione di una grande assemblea a Sichem dove riunisce tutte le tribù che insieme scelgono come Dio Yhwh. «Eliminate gli dèi che i vostri padri servirono al di là del fiume e in Egitto, e servite solo il Signore. Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete ora chi volete servire... Per me e la mia famiglia, è il Signore che vogliamo servire» (Gs 24, 14). Muore all’età di 110 anni. Ben Sira 46, 1-6 lo celebra in questi termini: «Giosuè figlio di Nun era un potente guerriero e succedette a Mosè come profeta. Giustificando il nome che portava, si mostrò un grande salvatore degli eletti del Signore: castigando i nemici sollevati contro di lui, portò Israele nella sua eredità. Com’era glorioso quando alzava le braccia per brandire la spada contro le città».
Per molti lettori della Bibbia, le guerre del Signore celebrate con la vittoria data da Dio costituiscono un problema. Come spiegare le guerre volute da Dio con il loro seguito di violenza? Per J. Soller l’invenzione del monoteismo sarebbe la causa delle guerre di conquista. Queste sue idee si diffondono sempre di più. È vero che il libro di Giosuè non appartiene alla Torah. Il fatto di essere un libro profetico non giustifica la violenza per la conquista di Canaan. Sottolinea soltanto che la terra è un dono di Dio.
I Padri della Chiesa, proponendo una lettura allegorica del libro, si resero conto ben presto che queste guerre non facevano altro che prefigurare la vita cristiana che è una lotta continua.
In una omelia famosa, Origene commenta il racconto della presa di Gerico (Omelia su Giosuè 7, 1-2). La città che Giosuè sta per conquistare è il simbolo del mondo idolatrico, i cui bastioni di illusione crolleranno davanti alle trombe del Vangelo proclamato da Gesù-Giosuè.
Origene non ha inventato l’interpretazione spirituale della presa di Gerico. Nella liturgia ebraica della Festa delle tende, la caduta di Gerico simboleggiava la distruzione del male. Secondo il Talmud, la settuplice processione intorno all’altare del Tempio di Gerusalemme al canto dello Hoshanna imitava la presa di Gerico. I partecipanti alla cerimonia portavano le palme in mano. Ora Gerico è conosciuta come la città delle palme. Origene commenta: «Gerico è la figura del mondo presente. Vediamo la forza dei suoi bastioni distrutti dalle trombe dei sacerdoti, perché le potenti fortificazioni che servivano a questo mondo di mura, sono il culto degli idoli. Quando venne Gesù, la cui venuta Giosuè simboleggiava, mandò i suoi sacerdoti, gli apostoli portando le trombe tese, cioè raccontando l’insegnamento della sua predicazione. Quando i sacerdoti suonavano le trombe per abbattere le mura di Gerico, anche tutto il popolo gridava forte. Queste grida significavano l’unione dei cuori e delle anime. Se questa unione avveniva tra due o tre discepoli di Cristo, tutto ciò che chiedevano nel nome del Salvatore era concesso loro dal Padre che è nei cieli».
Con l’arrivo di Gesù crollano le mura di Gerico. Ma il male non sembra vinto, poiché è ancora presente nel mondo. Ciascuno porta in sé la Gerico dei propri idoli. È con le trombe sacerdotali della dottrina e con il clamore del popolo unito che questa Gerico interiore crollerà. Finché tutti i popoli non sono entrati nella Chiesa, le potenze del male hanno potere. L’episodio di Giosuè che ferma il sole a Gabaon, permette a Origene di spiegare il ritardo della parusia (Omelia 11, 3): «Finché non crescano le chiese dalle varie nazioni e venga la pienezza dei Gentili, affinché tutto Israele sia finalmente salvato, il giorno si prolunga, il sole non tramonta mai, ma sempre sorge il “Sole di giustizia” che riversa la luce della verità nel cuore di chi crede».
Il prolungarsi della missione ritarda l’arrivo del giorno in cui il male sarà completamente distrutto. Tutte le nazioni sono chiamare ad entrare nella Chiesa. Un doppio movimento caratterizza la storia: la crescita progressiva del Regno e l’espansione delle forze del male. Le due potenze sono impegnate in una lotta fino al giorno in cui il nuovo Giosuè deciderà di intervenire.
di Frederic Manns