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Riflessioni sull’inizio del nuovo anno ebraico 5782

Il giorno per l’umanità

 Il giorno  per l’umanità   QUO-202
07 settembre 2021

Nei primi due giorni del mese ebraico di Tishrì, che quest’anno cadono il 7 e l’8 settembre, il popolo ebraico è benedetto da un nuovo anno. Si tratta di una celebrazione prescritta dalla Torah (Levitico 23, 24-25; Numeri 29, 1-6).

Tuttavia, diversamente da Pesach (Pasqua), quando si celebra la partenza dei figli d’Israele dall’Egitto e si festeggiano l’inizio della primavera e la raccolta dell’orzo, e da Shavuot (Pentecoste), quando si celebra la raccolta dei primi frutti e l’inizio della mietitura del grano, la Torah non indica una ragione specifica per cui il nuovo anno debba essere celebrato all’inizio del settimo mese, ovvero quello di Tishrì (i mesi vengono contati a partire da quello in cui gli ebrei ottennero la libertà dalla schiavitù in Egitto). Perché dunque il nuovo anno inizia nel settimo mese?

La risposta può essere individuata nel fatto che Rosh Ha-Shanah (il “capodanno”) viene celebrato insieme con il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur) e con Sukkoth (“capanna”) nello stesso settimo mese di Tishrì. Esiste un motivo che collega queste tre feste.

Sukkoth, che viene celebrata il 15 di Tishrì, per sette giorni con l’aggiunta di altri otto giorni di gioia, segna la fine di un ciclo di lavoro agricolo (Esodo 23, 16; 34, 22). Ricomincia ora il tempo di arare, seminare, attendere con ansia la pioggia, vedere germinare e crescere il raccolto. Il contadino si rallegra nel vedere i frutti delle sue fatiche. Sukkoth è l’espressione dei cicli della natura, della vita. Per questo in tale occasione viene letto il rotolo dell’Ecclesiaste e si riflette sul senso dell’esistenza.

Yom Kippur, che cade il decimo giorno del mese, è il tempo in cui — dopo un processo di pentimento e contrizione (teshuvah) compiuto da ogni individuo — Dio assolve dagli errori e dai peccati commessi. Tale processo viene svolto all’inizio del mese. Per questo il profeta Ezechiele (40, 1) usa il termine Rosh Ha-Shanah (ed è la prima e unica volta che ricorre nella Bibbia) per designare il decimo giorno, che corrisponde a Yom Kippur, giacché fanno entrambi parte dello stesso processo. Non può esserci assoluzione da parte di Dio se prima non ci sono stati pentimento e contrizione da parte degli uomini (Yad Hachazakah, Hilkhot Teshuvah 1: 3; vedi Kesef Mishneh ad locum). Va fatto ogni giorno della propria vita, ma dall’inizio di Tishrì il pentimento deve avvenire in modo più intenso per poter arrivare a Yom Kippur come persona ravveduta che ha compiuto passi per diventare un essere umano migliore.

I saggi del Talmud hanno specificato che il 1° di Tishrì è il giorno in cui Dio giudica tutti gli esseri umani (Rosh Ha-Shanah 1:2). Il Midrash (Vaikra Rabba 29:1) spiega che è questo il giorno di tale giudizio, poiché è il giorno in cui è stato creato il primo essere umano, in cui gli è stato fatto divieto di mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, divieto al quale ha trasgredito, e in cui Dio lo ha giudicato e assolto. Il Midrash conclude dicendo che come Dio ha assolto Adamo, così assolverà anche le persone che sanno come ritornare a Lui.

Rosh Ha-Shanah è, nella tradizione ebraica, il giorno dedicato a tutti gli individui, come parte della grande famiglia umana, per celebrare l’avventura della loro esistenza.

Ma qual è il senso dell’esistenza? Che cosa significa celebrare?

L’Ecclesiaste, il testo letto nella festa di Sukkoth, non trova una risposta a tale domanda perché ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà (1, 9), al saggio e allo stolto è riservata un’unica sorte (2, 13-16). Devono obbedire ai precetti di Dio. È questa l’unica cosa che ci è stata rivelata (12, 13-14). Tuttavia, l’intricata bellezza della natura e la capacità degli esseri umani di ammirare e scoprire le leggi che la governano, le grandi costruzioni umane, il costante miglioramento della tecnologia, la continua conoscenza acquisita nelle scienze sono tutti segnali che l’esistenza dell’individuo non può essere vista come mera routine ripetitiva o insignificante. L’affermazione dell’Ecclesiaste: «Non c’è niente di nuovo sotto il sole» non può essere applicata a ogni tempo. Né può essere applicata alla scoperta dell’amore, alla nascita di un bambino o di un nipote. Una ragione per leggere questo testo nel giorno di Sukkoth potrebbe essere quella di trarne un insegnamento riguardo a una visione non corretta della vita, che non trova un senso all’esistenza e la concepisce solo in maniera edonistica. I saggi del Talmud (Shabbat 30, b) hanno affermato che l’Ecclesiaste è un testo pieno di incongruenze.

Fintanto che si è insensibili alle cose grandi e piccole che costituiscono la propria esistenza, fintanto che non si sa come levare gli occhi verso l’alto e percepire il messaggio di misericordia e di fede proveniente da Colui che ha creato tutte le cose, la vita rimarrà semplicemente un intervallo irrilevante o privo di significato tra la nascita e la morte.

La parola ebraica usata per “anno” è “shanah” e deriva dalla radice consonantica sh-n-h, che significa cambiamento. Ma la stessa radice viene usata anche per suggerire l’idea di ripetizione. Pertanto, spetta a ogni persona scegliere tra i due modi di concepire la vita: optare per il cambiamento e il rinnovamento al fine di migliorare la nostra condizione umana o rimanere in circoli ripetitivi di mediocrità.

Poiché nella tradizione ebraica Rosh Ha-Shanah è il giorno in cui gli esseri umani possono scegliere di trasformare la loro vita e amplificare così il soffio di Dio che è in loro, può essere giustamente chiamato il Giorno per l’Umanità.

Le preghiere del popolo ebraico in questo tempo invocano l’aiuto di Dio per la Sua creatura più importante, affinché sia capace di scegliere una vita che trasforma.

di Abraham Skorka