· Città del Vaticano ·

La buona Notizia Il Vangelo della xxiv Domenica del tempo ordinario (Marco 8, 27-35)

Alle sorgenti del Giordano. Il riconoscimento e la conversione

07 settembre 2021

Il cuore del vangelo di Marco è custodito in nuce nell’evento di Cesarea. Per strada. In una sorta di ritiro in terra straniera, avviene il riconoscimento di Gesù, lungamente preparato: dall’inizio del vangelo (Mc 1, 11). È la domanda che percorre, anima, fa vibrare, spinge oltre la narrazione: “Chi è mai costui?”. E dalla grazia totale di questo riconoscimento parte, irrompe, la via verso la croce.

Pietro è mirabilmente implicato: è lui che con la sua docilità e le sue resistenze, con l’intelligenza donata e l’ottusità spavalda, provoca la svolta e origina la tappa decisiva verso il compimento. Simon Pietro è, nel gruppo dei Dodici, colui per primo risponde, si fa avanti per tutti e confessa: l’attesa di generazioni e generazioni si compie. Ma, intuìto il compimento, Pietro, volendo prendere il timone, è subito riportato alla sua posizione di discepolo, con tutti: il capo è colui che si converte perdutamente alla grazia.

Erano ben consapevoli — là a Cesarea, presso le sorgenti del Giordano — di porre un inizio, semplicemente e perdutamente un inizio, cui solo a Dio apparteneva di dare compimento, in una storia di alleanza che rimaneva per loro in gran parte ignota. «Tu sei il Cristo!»: il riconoscimento che apre la lunga storia della Chiesa, santa e peccatrice. Confessa, e subito rinnega. Così è per Pietro, ripetutamente; nell’attimo in cui si crede autorizzato a farsi da sé esegeta della sua pur ispirata confessione del Signore, subito e netta, la smentita: il tuo pensiero non è quello di Dio. Preludio a quella notte suprema (Lc 22, 14ss.) che avrebbe impresso una svolta irrevocabile al riconoscimento, e alla vicenda umana e universale. In quell’ora, Gesù ha pregato per Simon Pietro, rivelandogli che proprio attraverso la sua conversione alla grazia egli avrebbe trasmesso fermezza ai fratelli (Lc 22, 32). L’eletto, è colui che incessantemente si converte alla grazia.

«Tu, seguimi» (Gv 21, 22): il suo posto è sulle orme del Maestro. Così è per lui, così è per tutti i discepoli — ad ogni rinnovarsi della chiamata, e del rinnegamento. Fino alla “terza” chiamata a seguirlo, l’ultima: «Andrai dove tu non vuoi» (Gv 21, 19). La verità sul tuo Signore e la verità su di te, la conoscerai rimanendo fedelmente nell’atteggiamento di chi segue, mette semplicemente, perdutamente, i piedi sulle orme di Lui; di chi si riceve, di chi non conosce più se stesso, di chi — cinto da altri — è condotto altrove dalle sue proprie vie.

È così che la confessione di Gesù come il Messia, il Figlio di Dio venuto nella debolezza della carne, il Rifiutato, subito rivela — così suggerisce Is 50, 5ss, il terzo canto del servo — la sua risonanza sul volto umano, sul volto del discepolo. È come spada che opera un discernimento ultimo delle vie umane, cui pure spalanca splendida libertà, la stessa parresìa del Maestro (Mc 8, 31): «Il Signore mi ha aperto l’orecchio». E cioè (potremmo esplicitare applicando la profezia a Pietro, e a ciascun discepolo): il Signore, che la mia confessione ha accolto come il Messia, di riflesso mi ha reso uomo, donna, in-ascolto. Mi ha aperto l’orecchio di discepolo, mi ha dato una lingua da discepolo: «Tu sei il Cristo». Mi ha reso per sempre capace di stare, anche in rapporto ad altri, nell’ascolto discepolare. L’ascolto, che è “scavare e scavare”: incessante interiorizzazione della potenza di Dio che nel Servo parla, col perdono dà stabilità non vana, dona fecondità alla vita.

Questo sigillo di appartenenza nonostante tutto — questo orecchio scavato, questa lingua sciolta, questa faccia esposta — è Dono, giogo che non ci si può più scuotere di dosso. È la grazia dell’alleanza, di nuova relazione, di reciprocità liberata. È la forma del Servo, intravista da lontano dalla profezia. Che Gesù trasmette ai suoi.

E ci coglie sempre da capo alla sprovvista. Ci mette per via. Ci apre a una comunicazione nuova. La vita umana infatti viene a verità mediante altri, non si autoproduce, neanche a partire da una grande intelligenza. Viene dalla pazienza di mettersi in ascolto. Quell’umiltà schietta, intelligente, di chi accetta di comprendersi in incessante cammino. «Chi perderà la vita propria per causa mia e del Vangelo, la salverà». Per causa di Gesù e per il Vangelo: riceversi da lui, è la vita. Fino al Quo vadis? È così che inizia l’evento decisivo: il riconoscimento che spinge a salire — il piede sulle orme di Lui — fino a Gerusalemme. E oltre: su tutte le strade del mondo.

di Maria Ignazia Angelini